Kim Robinson - La Costa dei Barbari

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2047: l’America soffre le conseguenze di un attacco nucleare portato a termine in maniera insospettabile da esecutori di nazioni diverse. Da quasi sessant’anni la più grande potenza mondiale è regredita a un’economia di pura sussistenza, e le comunità vivono un’esistenza separata, ristretta ognuna ai propri confini. Lo stato subisce una quarantena mantenuta con ferrea disciplina dalle squadre di sorveglianza militare giapponese e avallata dalle Nazioni Unite.
È in questo scenario apocalittico che si svolge la vicenda di Henry Fletcher, un giovane della comunità californiana di San Onofre, che per il suo sostentamento dipende interamente dalla pesca e dai raduni di baratto che si svolgono periodicamente nella valle. Dopo l’arrivo di alcuni viaggiatori di San Diego che hanno osato sfidare la vigilanza dei guardiani giapponesi. Henry viene gradualmente a conoscenza del nuovo mondo e delle sue insidie. La sua guida spirituale è Tom, l’uomo più anziano della valle, sopravvissuto alla catastrofe tristemente nota come II Giorno.
La scoperta di un mondo da cui gli americani vengono ingiustamente esclusi, il contatto con gli “stranieri” che vivono a pochi chilometri di distanza, le testimonianze di chi è riuscito a sfuggire alla prigionia in patria trascinano il giovane in un’avventura che segna la fine dell’adolescenza e la transizione verso la maturità, a cui si accompagna la speranza della redenzione per il popolo americano.

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Aprii lo smilzo e ammuffito libretto, cominciai a leggere… un compito che mi risultava ancora assai difficile, assai piacevole. «“La giustizia è di per sé impotente: ciò che per natura governa è la forza. Tirare quest’ultima a fianco della giustizia, in modo che con la forza la giustizia governi… è il problema dell’abilità politica, certo assai grave; si capisce fino a che punto, se si considera quale sconfinato egoismo riposi in quasi ogni cuore umano; e che parecchi milioni di individui sono siffatti da dover essere mantenuti nei confini della pace, dell’ordine e della legalità. Stando così le cose, è una meraviglia che il mondo nel suo insieme sia pacifico e rispettoso delle leggi così come facciamo in modo sia”» a questo punto il vecchio scoppiò a ridere e continuò a lungo «“situazione che, tuttavia, determina solo il meccanismo dello stato. Infatti l’unica cosa che può produrre un effetto immediato è la forza fisica, dal momento che è l’unica cosa che gli uomini in generale capiscono e rispettano…”»

«Ehi!»

Era Steve Nicolin, che irruppe in casa come Satana nella camera da letto di Dio. «Ti ammazzo qui e subito!» gridò, avanzando verso il vecchio.

Tom saltò in piedi. «Provaci!» gridò. «Non hai la minima possibilità!» E per un po’ si accapigliarono, con Steve che teneva il vecchio per le spalle, a distanza sufficiente per non farsi prendere dai suoi colpi feroci.

«Dove vuoi arrivare riempiendoci la testa di menzogne, vecchio figlio di puttana?» disse Steve, scuotendo Tom avanti e indietro con rabbia sincera.

«E tu dove vuoi arrivare, irrompendo in casa mia a questo modo?» Tom perse subito il piacere del solito divertimento. «E poi, quando mai ti ho detto menzogne?»

Steve sbuffò. «E quando mai non le hai dette? Ci hai raccontato che i morti li seppellivano in bare listate d’argento. Ora sappiamo che è una menzogna, perché ieri notte siamo stati a San Clemente, abbiamo dissepolto una bara e c’era solo plastica.»

«Che storia è questa?» Tom guardò dalla mia parte. «Cos’avete fatto?»

Gli raccontai della spedizione a San Clemente. Quando arrivai alla storia delle maniglie, cominciò a ridere; si abbandonò sulla poltrona e rise, hii, hiii, hi hi hiiii, per tutto il resto del racconto, compreso l’inseguimento degli sciacalli accompagnato dall’ululato di sirena.

Steve rimase in piedi: incombeva su di lui, mandava fiamme dagli occhi. «Così ora sappiamo che dici menzogne, chiaro?»

« Hiiiii, hi hi hi hi hi hi.» Un paio di colpi di tosse. «Niente menzogne, ragazzi; solo la verità, dice il vecchio Tom Barnard. State a sentire… perché secondo voi le maniglie della bara erano color argento?» Steve mi lanciò un’occhiata significativa. «Perché di solito erano d’argento, ovviamente. Avete disseppellito un poveraccio morto senza un soldo. La famiglia gli ha comprato una bara a buon mercato. Ma come mai vi siete messi a disseppellire bare?»

«Volevamo l’argento» disse Steve.

«Sfortuna nera.» Si alzò a prendere un’altra tazza, la riempì fino all’orlo. «Ti dico che la maggior parte la seppellivano avvolta nell’argento. Siedi, Stephen, bevi una tazza di tè.» Steve tirò più vicino una piccola sedia di legno, sedette e cominciò a sorbire l’infuso. Tom si rannicchiò nella poltrona, strinse le dita nodose intorno alla tazza. «Quelli davvero ricchi li seppellivano nell’oro» disse piano, fissando il vapore che si alzava dalla tazza. «Uno di loro aveva sul viso una maschera d’oro che riproduceva le sue sembianze. Nella camera mortuaria c’erano statue d’oro a immagine di sua moglie, e dei suoi cani, e dei suoi figli… calzava scarpe pure d’oro; e intorno, alle pareti della stanza, c’erano piccoli mosaici di pietre preziose, che illustravano i momenti più importanti della sua vita…»

«Ma va’…» protestò Steve.

«Dico sul serio! Era proprio così. Siete stati lassù, avete visto le rovine… vorreste dirmi per caso che non buttavano argento nel terreno insieme con i loro morti?»

«Ma perché?» domandai. «Perché la maschera d’oro e tutto il resto?»

«Perché erano americani.» Sorseggiò il tè. «E questo era il meno, vi dico.» Per qualche minuto guardò intensamente dalla finestra, perso nei ricordi. «Viene la pioggia» disse. Per un altro minuto sorseggiò il tè, in silenzio. «Come mai vi è venuta tutta questa voglia d’argento?»

Lasciai che fosse Steve a rispondere, visto che l’idea era stata sua.

«Per scambiarlo» rispose Steve. «Per procurarci quello che vogliamo, ai raduni. Per andare da qualche parte, magari giù lungo la costa, e avere qualcosa da scambiare per procurarci il cibo.» Diede un’occhiata al vecchio, che lo fissava attentamente. «Per viaggiare, come facevi tu.»

Il vecchio non raccolse l’insinuazione. «Ci si procura tutto quel che si vuole, scambiando i prodotti del proprio lavoro. I pesci, nel tuo caso.»

«Ma non si può andare dove si vuole! Non si viaggia portandosi il pesce sulla schiena!»

«Tanto, non si può più viaggiare. A quanto sembra, hanno fatto saltare tutti i ponti di una certa importanza. E se riesci ad andare da qualche parte, i locali ti ucciderebbero per rubarti l’argento, probabilmente. E anche se fossero persone oneste, prima o poi finiresti l’argento e saresti costretto a lavorare di nuovo, là dove ti trovi. Scavare pozzi neri, o cose del genere.»

Il fuoco crepitò, mentre stavamo seduti a guardarlo. Steve, testardo, emise un lungo sospiro. Il vecchio sorseggiò il tè e continuò: «Occorrono tre giorni di viaggio per arrivare al luogo dei raduni, se le condizioni atmosferiche lo permettono. Un viaggio più lungo di quelli che eravamo soliti fare, lascia che te lo dica. E incontriamo sempre meno gente nuova.»

«Sciacalli compresi» dissi.

«Meglio non litigare, con questi giovani sciacalli» disse Tom.

«L’abbiamo già fatto» replicò Steve.

A quel punto fu Tom a sospirare. «Ci sono state già fin troppe liti. Di questi tempi c’è così poca gente in vita. Non c’è motivo.»

«Hanno iniziato loro.»

Goccioloni di pioggia colpirono la finestra. Li guardai scivolare sul vetro e rimpiansi che casa mia non avesse finestre. Anche con la porta chiusa e il cielo coperto di nuvole scure, tutti i libri, le terraglie, le lanterne, perfino le pareti, luccicavano di grigio argento, come se contenessero una luce propria.

«Non voglio che facciate a pugni, al raduno» disse Tom.

Steve scosse la testa. «No, se non saremo costretti.»

Tom si accigliò e cambiò argomento. «Hai imparato a memoria la lezione?»

Steve scosse la testa. «Ho avuto troppo da lavorare… mi spiace.»

Dopo un poco, dissi: «Sai a me cosa sembra?»

«Cosa?» chiese Tom.

«La linea costiera, qui. Mi dà l’impressione che una volta non ci fossero altro che montagne e vallate giù fino all’orizzonte. Poi un giorno un gigante traccia una linea retta; a ovest della linea tutto sprofonda e vi si riversa l’oceano. Dove la linea incrociava una montagna, lì c’è un dirupo; dove incrociava una vallata, c’è una palude salmastra e una spiaggia. Ma sempre in linea retta, vedi? Le montagne non sporgono nell’oceano e l’acqua non viene a riempire le valli.»

«La linea di faglia» disse Tom, con tono sognante e gli occhi chiusi, come se nella mente consultasse un libro. «La superficie della terra è fatta di immense placche che scivolano lentamente. Verissimo! Molto lentamente… nell’arco della tua vita si sposteranno di due centimetri… della mia, cinque, eh, eh… e noi ci troviamo nelle vicinanze di una faglia, dove le placche s’incontrano. La placca del Pacifico scivola verso nord; la terra qui, verso sud. Ecco perché c’è la linea retta. E i terremoti, li hai già sentiti, sono provocati dall’incontro delle due placche, che scivolano e si stritolano l’una con l’altra. Una volta, ai vecchi tempi, c’è stato un terremoto che ha distrutto ogni città di questa costa. Gli edifici sono crollati come nel Giorno. Sono scoppiati incendi, e non c’era acqua per domarli. Le autostrade come quella qui sotto puntavano al cielo e nessuno poteva intervenire a dare aiuto, sulle prime. Per un mucchio di gente è stata la fine. Ma quando gli incendi si sono estinti da soli… Sono arrivati da tutte le parti. Hanno portato macchine gigantesche e materiali, usato come pietrisco le macerie. Un mese dopo, ogni città era ricostruita, proprio come prima, con tanta precisione che non si sarebbe detto che c’era stato un terremoto.»

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