«Sono pronta», disse.
Si allontanò dalla porta finché fu con la schiena a contatto della parete opposta, poi se ne scostò di un passo e accennò a Kirtn che poteva mettersi dietro di lei. Il Bre’n le poggiò le mani sulle spalle, e subito un violento flusso di energia le percorse le membra facendo brillare come ruscelli d’oro le sue Linee di Potenza. Quando alzò le braccia e le puntò avanti, facendo tintinnare le catene, vide l’arabesco sotto la pelle pulsare al ritmo di due cuori, il suo e quello di lui.
Dieci lame di luce violetta le scaturirono dalle dita unendosi in un fascio che parve infilarsi nella porta, ma ella controllò con attenzione che il deflusso dai loro due corpi fosse minimo. Questo non era pericoloso, anzi rappresentava il normale sforzo lavorativo di due Akhenet collegati in coppia.
Kirtn sentì la sua forza svuotarsi nel corpo della ragazza, innescando il processo che doveva divenire fuoco nelle sue cellule. Ad occhi chiusi desiderò poterla stringere in un modo che non osava confessare neppure a sé stesso, almeno nell’istante finale. Ma era conscio della disciplina di Akhenet e del suo dovere. L’energia d’innesco che le stava dando non aveva cali né esitazioni. Sentì la temperatura della porta aumentare rapidamente, e i suoi occhi vuoti rifletterono come specchi la luminosità ultraterrena creata dalla Danzatrice del Fuoco. Aumentò il flusso dell’energia che le dava, sperando di vedere il metallo cominciare a fondersi in quei pochi attimi di vita che gli restavano.
Ma Rheba si oppose, bloccando quel sovrappiù. Le sue Linee di Potenza parvero espandersi, mentre gli rimandavano indietro energia in quello che era un chiaro rifiuto di lasciarlo morire. Con una sensazione di estraneità Kirtn si rese conto che avrebbe dovuto esser già consumato dalle fiamme senza calore del suo stesso corpo, e invece continuava a sentirvi vivo. Pur assorbendo la sua energia Rheba gliela restituiva quasi del tutto per altre vie, così sottilmente e astutamente che non se ne era accorto affatto. E la porta non accennava a fondersi, a dare via libera alla ragazza in pagamento del suo sacrificio. Solo allora comprese finalmente che questo era proprio quanto lei voleva. E con un grido terribile precipitò nel rez.
Capitolo 24
LA FURIA ARDENTE
I primi momenti del rez furono ingannevolmente lisci e quieti, come l’iniziale fremito sotterraneo di un terremoto è appena il vago presagio della violenza che s’avvicina. Nella mente di Rheba nacquero immagini inspettate, che non le appartenevano, immagini di sé stessa vista attraverso gli occhi di Kirtn e appartenenti al passato.
Era una bimbetta ai suoi primi passi, e con un gridolino di esultanza riusciva a dar fuoco a una pagliuzza. Era una bambolìna bionda di sette anni, e danzava graziosamente intorno a sette candeline, accendendole con un semplice tocco delle dita. Era una fanciulla diciassettenne, i suoi capelli scintillavano leggiadri sotto i raggi di un sole straniero mentre passeggiava su un tappeto di foglie autunnali, e d’improvviso si voltava a sorridere.
Era una figura china sui comandi del Devalon, un istante prima di balzare in overdrive, gli occhi fissi allo schermo dove campeggiava uno dei tanti mondi che avevano visitato. Era una ragazza alta e splendida nella sua nudità, le braccia levate a costruire nell’aria figure d’energia. Era una Danzatrice del Fuoco che cantava dolcemente una canzone Bre’n, avvicinandosi a Kirtn fino a sfiorarlo, la bocca socchiusa levata verso la sua.
Era una figura in catene distesa su un gelido pavimento, e Fssa rotolava inerte fuori dai suoi capelli.
E poi il rez che scaturiva dalla mente di lui passò attraverso il suo corpo con la violenza di una stella in esplosione. Qualcosa che era come una cascata di metallo fuso bruciò nella sua mente sconvolta. Le catene che aveva ai polsi emisero una vibrazione ultrasonica.
Gridando e contorcendosi ella deviò il rez come avrebbe respinto su nell’alta atmosfera la furia infuocata di una stella in esplosione, se fosse stata ancora sulle postazioni insieme agli altri Danzatori del Fuoco di Deva. Ma era troppo sola e troppo giovane, contro quella furia ardente. E lui era un Bre’n in preda al rez.
Bruciami! Bruciami in cenere e fuggi!
L’energia libera e incontrollata stava costruendo selvagge forme di luce nell’interno della cella. Colori impossibili e ombre nate dal nulla lottavano sulle pareti di pietra. Rheba cercò di riassorbirla e incanalarla verso l’obiettivo, e sentì un odore aspro di bruciato, ma non era la carne a mandarlo. Lei non lo avrebbe permesso.
Bruciami o morirai!
Io non voglio!
Urlò ancora fino a stordirsi. I suo capelli erano una corona di fuoco che le aleggiava intorno alla testa, e l’aria si stava riscaldando come se nella cella divampasse un incendio. Le mancava il fiato. Sotto i suoi piedi nudi il pavimento era caldo, e sui muri s’inseguivano rivoli di lingueggianti energie multicolori.
Bruciami!
Mai!
Il suo grido si perse, sovrastato da quello di Kirtn che il rez faceva echeggiare come un ululato ininterrotto. Strani fantasmi si formavano nel fumo che nasceva dalla porta, e l’energia del suo fascio ardente le ritornava addosso da tutte le direzioni, riflessa dalle pareti. La sua pelle lampeggiava, palpitando a un ritmo insostenibile. Nuove Linee di Potenza si formavano e crescevano in rapidi istanti, create dallo sforzo terribile che stava facendo per non morire, per togliere energia al Bre’n e incanalarla nel fascio. Assorbire e incanalare … assorbire e incanalare…
Bruciami!
Rheba non rispose. Non poteva. La cella era un inferno dove luce e calore le davano l’allucinante impressione che lo spazio si restringesse a chiuderla, a soffocarla. Dovevano uscire da lì, pensò: andar via o bruciare, respirare o morire. Anelava a una via di fuga, a una fessura da cui strisciar fuori per raggiungere l’aria fresca e pura, a un luogo dove non vi fossero la furia Bre’n e la paura che tutto annientava.
Qualcosa che aveva l’aspetto di un rettangolo arancione fumava e scintillava di fronte a lei. Metallo, comprese: il battente della porta riscaldato al calor giallo. Dietro le sue spalle c’era solo il rez , che stava uccidendo lei e l’uomo che amava in un solo furoreggiare di energia libera.
Dovevano fuggire.
La porta doveva fondersi e cedere.
Non c’era altra via che quella.
Bruciami!
Con la parte ancora lucida della sua mente Rheba capì che era necessario smetterla di difendersi da tutta quell’energia, per usarla fino all’ultima particella contro la porta. Appena la sua mente fu salda intorno a quel concetto irrigidì le braccia puntate in avanti, e il raggio che divampò dalle sue mani divenne ardente come il cuore di una stella. Il battente assunse un colore bianco nella zona centrale, e nel vederlo si concentrò in quel punto. L’aria era quella di una fornace. Il rez scivolava fuori da Kirtn e dentro di lei, percorrendo come fiamma le sue braccia alzate. Il suo corpo era una cosa che soffriva, un intreccio di cavi elettrici in cui fluiva l’alta tensione.
Il riflesso del calore la costrinse a chiudere gli occhi. Premette la schiena contro il petto di Kirtn. Solo i campi magnetici delle sue Linee di Potenza la stavano proteggendo dai bagliori della porta in fusione, ed a sua volta ella riparò il compagno come poteva.
Ma il calore era eccessivo, e l’aria praticamente irrespirabile. Quant’era spesso quel battente? Quanto avrebbero resistito due esseri di carne e sangue prima di bruciare? Il rez poteva fare di loro cenere nera dopo averli uccisi, era energia Bre’n fuori controllo, era morte. Ma un bel po’ di quell’energia ella l’aveva già estratta a forza da lui dirottandola altrove, usando il suo corpo come una batteria e il proprio come una pistola a raggi puntata sul bersaglio. Doveva farcela.
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