Ann Maxwell - I danzatori del fuoco

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I danzatori del fuoco: краткое содержание, описание и аннотация

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Questo libro della Maxwell ha immediatamente riscosso un enorme successo di pubblico presso gli appassionati di fantascienza.
La giovane autrice americana ha avuto la felice ispirazione di creare due razze assai singolari le cui caratteristiche psico-fisiologiche sono quanto di più originale sia stato dato di leggere sulle pagine di un libro di fantascienza.
Infatti, i componenti la razza dei Senyasi hanno un dominio totale sugli elementi (terra, acqua, fuoco, aria) che deriva loro dalle Linee di Potenza, un intricato arabesco che costella la loro epidermide e che si illumina quando l’individuo che le possiede pone in atto i suoi poteri.
Rheba e Kirtn, i due protagonisti del Ciclo del quale I DANZATORI DEL FUOCO costituisce il primo volume, sono gli unici superstiti di uno spaventoso, rogo che ha completamente distrutto il pianeta loro sede d’origine.
Alla ricerca di altri eventuali superstiti, percorrono la galassia in lungo e in largo e, specificatamente in questo primo episodio delle loro avventure, si trovano a dover evadere dal pianeta Loo dove sono stati ridotti in schiavitù, una schiavitù dalla quale sembra impossibile fuggire…

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«Forse Fssa ne sa qualcosa. Lui è qui da parecchio».

Kirtn fischiò un richiamo al serpente, che si decise a rispondergli solo dopo un po’ e con evidente riluttanza. Qualunque cosa stessa facendo, era chiaro che non gli andava d’essere disturbato.

«Lascia che faccia ciò che vuole», sospirò Rheba.

Nel vederla sofferente il Bre’n alzò la voce. «Ehi, serpente! Qui sta succedendo qualcosa. Non hai mai sentito dire se i Loos si divertono a torturare gli schiavi con qualche forma di radiazione?»

Fssa tornò alla sua forma di rettile e s’affrettò a strisciare fino a loro. «Tortura? Vuoi dire che state soffrendo?»

«Da cani», gemette Rheba. «Il dolore viene e va. Mi sento scoppiare la testa, e tutti abbiamo sintomi identici nel medesimo tempo».

Fssa prese a cambiare aspetto ripetutamente, come se stesse passando in rassegna tutte le possibili metamorfosi di cui era capace il suo corpo. Alla fine riferì: «Se in questo momento c’è qualche tipo di radiazione puntato su di noi, non riesco ad avvertirla. Può essere che l’abbiano interrotta».

«Dai sintomi che avverto, può darsi», ammise Kirtn. «Dove vai?»

«Ho da fare», fischiò il serpente.

«Resta qui e stai in ascolto», ordinò Kirtn, e vedendo che Fssa si mostrava riluttante a ubbidire scattò: «La Danzatrice del Fuoco soffre, maledizione. Fai come ti dico».

«Mi spiace per lei», rispose l’altro. «Ma anch’esso soffre».

«Esso? Di chi stai parlando?»

«Il sasso».

Kirtn si guardò attorno, senza capire. «Quale sasso?»

Con una mossetta del capo Fssa indicò il pezzo di roccia con cui i bambini Gelleani avevano giocato. «Quello là».

Rheba si rialzò a sedere, appoggiandosi a una spalle del compagno. «Vuoi dire che è una creatura del Primo Popolo?»

Fssa esitò. «Potrebbe esserlo, ma …» Di colpo tornò a tramutarsi in fungo scaglioso. «Non sente come uno di loro. Però vive e soffre. Ricevo da lui dei frammenti d’immagini e di sensazioni, colori e forme». Si volse a Rheba. «Tu puoi aiutarlo, Danzatrice del Fuoco? Ti prego … non è un bambino, tuttavia è vivo».

La ragazza faticava a pensare. Si strinse ancora la testa fra le mani e sospirò: «Se insisti, vai pure. Anzi, preferisco che Kirtn vada a recuperare quel dannato sasso e lo porti qui, così vedremo meglio quel che si può fare. Dì alla J/taal che mandi i clepts a scortarlo».

Fssa aveva evidentemente assimilato anche la lingua dei cani da guerra, perché si rivolse direttamente a loro con un paio di strani ululati. Quando Kirtn si mosse verso i limiti della zona franca, i clepts lo scortarono vigili e ubbidienti. Subito uscirono dai cespugli tre individui dall’aria minacciosa, ma non fecero neppure in tempo a palesare le loro intenzioni che i cani da guerra scattarono come fulmini e li aggredirono a zanne scoperte. Uno degli schiavi cadde a terra gridando, e venne sgozzato. Il secondo fu morso ferocemente alle gambe. Il terzo fece dietro front e si tuffò nella vegetazione, riuscendo ad allontanarsi. Kirtn notò che i clepts non lo inseguivano, e che anche il ferito veniva lasciato strisciar via. Era evidente che avevano avuto ordine di attaccare solo chi persisteva nel mostrarsi aggressivo. I tre animali si rimisero in formazione attorno a lui, scrutando la boscaglia con occhi oblunghi e argentati, inespressivi. Le loro bocche colavano ancora sangue umano. Nessuno lo disturbò, mentre andava a raccogliere il misterioso sasso cristallino.

«Lieto di avervi accanto», borbottò il Bre’n. «Ma non vorrei avere sulla coscienza altri cadaveri, se possibile». Tornando indietro rigirò la roccia fra le mani. «Vivo o no, amico sasso, sei sporco in modo vergognoso».

Dove non era incrostato di fango, l’oggetto rivelava sfaccettature cristalline che sembravano levigate artificialmente. Incuriosito Kirtn andò al pozzo e lo lavò, ed il risultato li sorprese, perché pulita e scrostata la pietra rifletteva tutti i colori dell’iride.

Rheba ne fu affascinata. «È stupenda. Sembra che nel suo interno sia intrecciato un arcobaleno».

«E probabilmente è inutile quanto un arcobaleno», fischiò il serpente in tòno stridulo.

«È stata tua l’idea di aiutarla», si stupì Kirtn. «Adesso ti è diventata antipatica?»

«Non è bella come un arcobaleno», insisté cocciuto Fssa.

Kirtn ridacchiò. «Ehi! Il nostro amico è geloso».

«Geloso, io?», protestò il rettile, indignato. «Figuriamoci se sono geloso di una pietra!»

Fssa strisciò verso Rheba, le salì in grembo e le si arrotolò a un avambraccio. La ragazza lo accarezzò. «Sei molto bello anche tu».

«Questa è la terza volta che me lo dici oggi», osservò il serpente. «Il nostro accordo lo prevedeva solo per due volte al giorno».

«Tu sei più bello di due volte al giorno», lo complimentò Rheba, facendolo quasi contorcere dal piacere. «Però … sei geloso, vero?»

«Non è facile essere belli. Io faccio del mio meglio, e mi costa fatica», fu la risposta, in tono petulante.

«Ma non puoi pretendere di avere l’esclusiva della bellezza. E Arcobaleno non è brutto». Rheba sorrise, inventando lì per lì un nome per il minerale vivente.

«Avrei lasciato stare quel … quell’Arcobaleno, se avessi saputo che era tanto bello per te. E poi forse non è neppure intelligente. Comunicare con lui è difficile».

Fssa si avvicinò al sasso, tornò di colpo alla forma fungoidale, e prese a fremere lievemente. Pochi istanti più tardi Rheba mandò un grido di dolore e si portò le mani alle terapie, stordita dalla fitta che le aveva attraversato il cranio come un ago rovente.

«Fermati!» gridò. Afferrò il serpente e lo scosse con forza, ansimando. «Fermati … basta!»

D’un tratto la sua sofferenza ebbe termine ed ella si accasciò al suolo tremando. Anche Kirtn stentava a mantenere l’autocontrolo, e digrignava i denti.

«Che vi succede?» chiese Fssa. «Io non stavo … Non capisco. Vi sentite male?»

Il Bre’n controllò le condizioni di Rheba, poi gli rivolse una smorfia. «Qualunque cosa tu stessi facendo col tuo amico Arcobaleno, ci hai provocato un forte dolore alla testa».

«Io?», si meravigliò il serpente. «Ma tutto ciò che ho fatto è stato di porgli una domanda, e poi mi sono messo in ascolto. Certo che se … Dopotutto trasmette su frequenze complesse, a più livelli e con molte risonanze. Mi chiedo se …»

L’aspetto di Fssa mutò, facendosi più basso e appiattito, e sulla sua superficie corporea si rincorsero rapide vibrazioni. Pochi momenti dopo, in corrispondenza della risposta di Arcobaleno, Rheba gemette. Il fungo ebbe un fruscio di scaglie, trasformandosi ancora in serpente.

«Mi spiace, ma dovevo esserne sicuro», riferì Fssa. «Arcobaleno è vivo. Non credo che appartenga al Primo Popolo, però non potrò esservi più preciso finché non avrò decifrato la sua lingua. Sarà una cosa breve, ora che sono sintonizzato con lui».

«Nossignore!», esclamò Rheba. «Non m’importerebbe neanche se fosse il Dio di Cristallo del Primo Popolo. Tutte le volte che parla con te ci fa scoppiare il cranio. Digli di starsene zitto, altrimenti io … Oh, cielo! Sta ricominciando!» Strinse i denti, con un mugolio. «E pensare che l’ho definito stupendo. Fallo smettere , ti dico. Fallo tacere! »

Pian piano la sofferenza che l’aveva invasa si placò. A pugni stretti fissò con odio la strana roccia. In ogni sfaccettatura cristallina brillavano luci vivide, e nel suo interno cento colori diversi giocavano fra loro. Era una gemma limpida e senza difetti, bella da togliere il fiato e degna di ornare il trono di un imperatore.

Rheba emise un borbottio di disgusto, desiderando di non avervi mai posato gli occhi sopra.

Capitolo 11

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