Ann Maxwell - I danzatori del fuoco

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Questo libro della Maxwell ha immediatamente riscosso un enorme successo di pubblico presso gli appassionati di fantascienza.
La giovane autrice americana ha avuto la felice ispirazione di creare due razze assai singolari le cui caratteristiche psico-fisiologiche sono quanto di più originale sia stato dato di leggere sulle pagine di un libro di fantascienza.
Infatti, i componenti la razza dei Senyasi hanno un dominio totale sugli elementi (terra, acqua, fuoco, aria) che deriva loro dalle Linee di Potenza, un intricato arabesco che costella la loro epidermide e che si illumina quando l’individuo che le possiede pone in atto i suoi poteri.
Rheba e Kirtn, i due protagonisti del Ciclo del quale I DANZATORI DEL FUOCO costituisce il primo volume, sono gli unici superstiti di uno spaventoso, rogo che ha completamente distrutto il pianeta loro sede d’origine.
Alla ricerca di altri eventuali superstiti, percorrono la galassia in lungo e in largo e, specificatamente in questo primo episodio delle loro avventure, si trovano a dover evadere dal pianeta Loo dove sono stati ridotti in schiavitù, una schiavitù dalla quale sembra impossibile fuggire…

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«Attenti, voi!», urlò il capo degli schiavi. «Cercano di passare fra noi. Afferrateli. Basta che agguantiate per un braccio uno di loro, e si darà prigioniero! …»

Le grida eccitate dei bambini Gelleani impedirono a Fssa di ascoltare e tradurre il resto di quegli ordini concitati.

Gli J/taals si scontrarono con la banda dei predoni, e non furono capaci di sfondare il loro sbarramento. Appena venivano afferrati, anche solo per una mano, invece di divincolarsi e combattere si arrestavano senza resistere, rendendo così ridicolmente facile agli aggressori avere il sopravvento. Questi non si limitavano a trascinarli via appena presi, ma con fredda e metodica ferocia li percossero finché gli sventurati caddero storditi sotto i colpi. Non un solo J/taal riuscì a raggiungere la zona franca. Quando due schiavi sbatterono a terra una delle tre donne, e la presero selvaggiamente a calci, la sola reazione dei compagni di lei furono gemiti e lamenti disperati.

Kirtn e Rheba osservavano la scena senza credere ai loro occhi.

Gli J/taals erano certo stanchi, ma fisicamente quantomai robusti. Dunque perché non si difendevano?

Un’altra delle donne fu gettata al suolo e picchiata con una pietra, e al truce spettacolo gli J/taals ancora coscienti mandarono esclamazioni angosciose. La furia bestiale dei predoni esplose sui loro corpi inerti, e il sangue cominciò a scorrere.

Ad un tratto una delle bambine Gelleane inciampò quasi addosso a Kirtn, stringendosi gelosamente al petto il sasso cristallino, lo evitò con uno scarto e si volse a strillare insulti ai coetanei. Gli altri tre la inseguirono, riuscirono a prenderla e ruzzolarono tutti a terra confusamente. Uno degli adulti si decise a intervenire e li separò, ma la bambina approfittò della cosa per raccogliere di nuovo il suo sasso e fuggire via. Ignorando i richiami corse verso i due circoli concentrici e li oltrepassò, uscendo dalla zona di sicurezza. Pochi istanti più tardi uno degli schiavi si gettò su di lei e la abbrancò con un grido di selvaggia soddisfazione.

Tenui linee di fiamma scaturirono dalle braccia di Rheba a quella vista, ma la distanza era troppa perché stanca com’era potesse colpire efficacemente qualcuno.

«La bambina …», ansimò. La sua voce si alzò in un grido: «Salvate la bambina!»

Capitolo 9

I MERCENARI

Automaticamente Fssa gridò una traduzione in lingua J/taal di ciò che la ragazza aveva detto. E il risultato della cosa fu incredibile. Sei dei nuovi arrivati erano ormai stesi al suolo svenuti o morti, mentre l’unica rimasta in piedi era una donna che uno dei predoni stava violentando. Nell’udire la voce di Fssa costei parve riscuotersi, sollevò da terra l’individuo che la seviziava e gli spezzò la schiena con una terribile mossa di lotta, poi balzò addosso a un altro e gli ruppe il collo con un secco colpo del taglio della mano. Lo schiavo non era ancora caduto al suolo che già la donna scattava fra i suoi compari, muovendosi con tale velocità che gli occhi faticavano a seguirla. Le sue mani saettavano a destra e a sinistra, in colpi a cui rispondeva il sinistro rumore delle ossa fratturate, e nel giro di quindici secondi della banda di predoni non ne rimase vivo neppure uno.

La piccola Gelleana dimenticò la sua pietra multicolore e scappò via gridando di terrore, finché non fu di nuovo fra le braccia di uno degli adulti. Volgendo le spalle ai cadaveri la donna J/taal attese di vedere la ragazzina al sicuro, e quindi si rivolse a Rheba con una frase.

Fssa tradusse all’instante: «Ti sta domandando se ritieni che la bambina sia in salvo».

Lei allargò le braccia. «Certo. Rispondile di sì».

La donna parlò ancora, e come un eco il serpentello riportò in universale la sua domanda. A Rheba quel sistema di traduzione sembrava così perfetto che le parve quasi d’aver installato nel cranio uno dei mitici traduttori biologici Zaarain.

«Ho il tuo permesso di occuparmi dei miei compagni, e di chiamare i nostri clepts?», fu la richiesta di lei.

«Il mio permesso?», Rheba si volse a Fssa. «Hai un’idea di cosa voglia dire?»

«Gli J/taals sono mercenari. Tu li hai assunti».

«Io … cosa ?» Sbarrò gli occhi sul serpente, poi senza attendere la sua risposta si volse alla donna. «Fai pure il necessario per i tuoi amici. Se avete bisogno di cibo e acqua qui potrete trovarli, e se volete Kirtn accenderà un fuoco per voi. Purtroppo non siamo in grado di curare le vostre ferite». Tornò a guardare Fassa. «E va bene, signor serpente: spiegami questa faccenda».

Il piccolo rettile assunse una tinta bianca e oro e tornò alla sua forma allungata, che presso i Fssireeme era considerata la più elegante. Le sue movenze fecero capire alla ragazza che esitava, un tantino a disagio.

«Ecco …», cominciò. «Quando tu hai chiesto che la bambina venisse aiutata, io … be’, ho tradotto la frase nella formula che chiede agli J/taals un contratto per le loro prestazioni. Loro non possono combattere finché non vengono assunti da qualcuno, ed erano i soli a poter intervenire per salvare la piccola. Capisci? Gli J/taals hanno bisogno di essere sotto contratto, altrimenti non agiscono neppure per difendere sé stessi. È una cosa che fa parte della loro struttura mentale, proprio come l’arte del tradurre è per me».

«E come la necessità di proteggere i bambini è per me», borbottò Rheba, accigliata. «D’accordo, serpente. Ho capito». Scosse la testa, ancora impressionata dall’efficienza con cui la donna aveva eliminato i nove aggressori. «Mercenari … Ma io non posso pagarli. Sono una semplice schiava. Qui».

Fssa si agitò imbarazzato. «Naturalmente. Gli schiavi non posseggono denaro. Tuttavia…»

Un sospetto balenò alla mente di Rheba. «Serpente, che cosa hai promesso alla J/Taal come pagamento?»

«La libertà, e il ritorno a casa loro».

Dalla bocca di lei uscirono alcune parole brucianti che Fssa non avrebbe potuto tradurre e le sue scagliette divennero color grigio pallido. Dopo una lunga pausa per ricercare la calma, Rheba parlò col tono che si adopera coi bambini duri di comprendonio:

«Io non posso dare la libertà a nessuno, forse neppure a me stessa. Te ne rendi conto?»

«La donna J/taal questo lo sa», fischiò dolcemente il rettile. «Io le ho precisato che potrai mantenere l’impegno solo se uscirete vivi dal Recinto, e se riuscirete a fuggire con la vostra astronave».

La ragazza volse a Kirtn un’occhiata disperata. «E va bene, va bene. Chiedile se intanto ce la fa a curare da sola i suoi amici».

Fssa mutò linguaggio e forma nello stesso istante, e dopo che ebbe parlato alla donna J/taal costei disse:

«Io ringrazio il Primo e l’Ultimo Dio per la tua gentilezza. I miei compagni sarebbero onorati di morire per mano tua. Pochi J/taaleri, gli assoldatori di J/taals, sono così gentili. Ma non sarà necessario che tu ti bagni le mani col loro sangue. Ho già provveduto io a dare la pace a chi non poteva guarire né suicidarsi».

«Hai ucciso … Ma per i Fuochi della Galassia, è mostruoso. Serpente, non tradurre questo! »

Il rettile rimase silenzioso. Kirtn e Rheba la videro tornare presso i cadaveri dei suoi, e chinarsi ad accarezzare dolcemente i loro volti. Le sue dita li sfioravano come per imprimersi le fattezze nei polpastrelli. Al termine di quel breve rito si alzò. La sua pelliccia nera era sporca di polvere e di sangue, e non sembrava reggersi bene sulle gambe. Poi esaminò i feriti.

«Col tuo permesso, J/taaleri», disse, «farò la guardia ai miei compagni finché non saranno di nuovo capaci di badare a sé stessi».

Rheba si volse a Fssa. «Non vorrei offendere le loro usanze, ma che ne pensi di portare i feriti all’interno dei due circoli?»

«Buona idea. Fuori sono in costante pericolo. Dille di chiamare i loro clepts. Adesso che è sotto contratto con te, può usare i suoi cani da guerra. Ed è meglio che li faccia venire alla svelta».

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