Nel vedere Rheba che si avvicinava la donna ansimò qualcosa in lingua universale, e ordinò ai bambini di scappare a nascondersi. I figli si alzarono tremando, indecisi se ubbidire o starle accanto, infine corsero fra i cespugli non troppo distante da lì e si acquattarono spaventati, tenendo gli occhi fissi sulla madre.
«Non aver paura», disse Kirtn, rassicurante. «Non vogliamo far del male né a te né ai bambini, credimi».
Lei non rispose. Da una brutta ferita al fianco sinistro le colava un rivolo di sangue, e appariva ormai allo stremo. Guardò Rheba con occhi dove non c’era paura, ma solo una rassegnazione animalesca a qualunque cosa stessa per accaderle. Tremava per il freddo e per la sfinitezza.
Rifiutando di pensare a un’altra trappola la giovane Senyasi le si accostò con decisione, mentre Kirtn la seguiva cauto a distanza di sicurezza pronto a intervenire in caso di pericolo. Si chinò sulla donna ad esaminare le sue condizioni e il Bre’n rimase di guardia. Era un’umanoide ancor giovane, notevolmente ben fatta e robusta, ma le sue possibilità di sopravvivere erano defluite da lei col sangue che inzuppava il terreno.
Non c’era nulla che Rheba potesse fare per una ferita di quel genere. Non aveva acqua né medicinali, e neppure una veste da fare a pezzi per ricavarne un bendaggio. La donna aveva le labbra screpolate per la sete e respirava con difficoltà, ed i suoi occhi cercavano i bambini come se non riuscisse a pensare che a loro.
«Mi spiace per te», mormorò Rheba. «Come possiamo aiutarti?»
L’altra scosse il capo. «I miei bambini hanno freddo. Se ve ne andate, torneranno da me a scaldarsi».
«Un fuoco! Vuoi un fuoco?», chiese subito lei.
«Sì … Aiutate i miei bambini», gemette lei, comprimendosi il fianco. «Per me è finita, lo sento».
Rheba si volse a fissare un cespuglio isolato. Pochi secondi dopo le fronde si mossero come animate di vita e ne nacquero fiammelle. Kirtn andò a raccogliere una ventina di rami spezzati e li sistemò sul focherello, costruendo un piccolo falò a regola d’arte. Poi con un gesto invitò i due bambini a scaldarsi, e si rimise di guardia. Non rimproverò la Danzatrice del Fuoco d’aver speso altre preziose energie, né le rivelò quel che lui aveva ormai capito di quel gioco mortale: nel Recinto la durata del periodo di Addomesticamento era proporzionale al numero di concorrenti che si riusciva ad uccidere, e non già a salvare. Chi non era spietato, fortunato e vittorioso, era soltanto una vittima destinata a finire fra gli scarti. Tutto faceva pensare che la compassione umana fosse una dote di nessun valore, nella lotta per la sopravvivenza sul pianeta Loo. Anzi poteva essere un lusso pericoloso.
Il Bre’n tenne quelle riflessioni per sé, sapendo che la sua giovane Danzatrice si sarebbe soltanto irritata nel sentirsi esporre una constatazione così cinica. La stessa essenza psichica degli Akhenet, a livello genetico, era tutta una spinta a sacrificarsi per gli altri. E proprio quell’istinto insopprimibile aveva reso peggiore il loro olocausto su Deva.
«Credi che io possa tentare di cauterizzare la ferita?», chiese Rheba.
«Troppo tardi. Per lei è finita».
«E i bambini?»
«Sì. Ma dopo che sarà andata».
A capo chino la ragazza sedette sul terreno scabro. Grigi refoli di nebbia vagavano fra una vegetazione a lei sconosciuta, smossi dall’aria calda che emanava dal fuoco. La donna scivolò pian piano nell’incoscienza, ansimando a tratti,e i due bambini corsero a stringersi a lei. Kirtn era tentato di metter fine rapidamente e senza dolore a quell’agonia, ma gliene mancò la forza. Nell’osservarla aveva l’impressione che tentasse fino all’ultimo di restare aggrappata alla vita, per amore dei suoi piccoli o forse sperando ancora in un miracolo. Non si chiedeva più quale legge avesse dato il diritto a qualcun altro di. condannarla. Tutto ciò che aveva potuto fare era stato di difendere i suoi bambini e poi di morire. Il Bre’n strinse i denti, fissando il fuoco senza vederlo.
«Prima o poi», sussurrò Rheba, «incontrerò ancora il Loo-chim. Quei due dovranno assaggiare l’inferno per mano mia».
Kirtn la guardò inespressivo. «Lascia uno di loro anche per me, Danzatrice del Fuoco».
Lei gli sfiorò una mano velata di peluria. «Te lo prometto», disse sottovoce.
Il corpo della donna ebbe un lieve sussulto, come un ultimo tentativo di sollevarsi, poi la vita si spense nei suoi occhi miti ed ella ricadde inerte. Kirtn e Rheba si alzarono e s’avvicinarono al maschietto e alla femminuccia, che inconsapevoli della morte della madre si stringevano ancora al suo corpo. Un ramoscello che si spezzò sotto un piede della ragazza li fece sussultare.
Per un attimo ancora i due piccoli si addossarono al cadavere, sbarrando gli occhi su di loro in preda al panico. Poi, prima che Kirtn riuscisse a fermarli, balzarono in piedi e fuggirono disperatamente.
«No, tornate indietro!», gridò Rheba. «Per favore, vogliamo solo aiutarvi!»
Ma gli altri due non la ascoltarono neppure. Avevano già capito troppo bene quali leggi brutali imperassero nel Recinto, e non potevano più fidarsi di nessuno. Ignorando i richiami accorati della ragazza scapparono lungo il sentiero.
«No!», urlò Rheba, nel rendersi conto che si precipitavano dritti fra gli alberi viventi del Secondo Popolo. « Noo! »
Il Bre’n e la giovane Senyasi li inseguirono di corsa, e pochi secondi dopo videro di nuovo il boschetto: disturbati dal passaggio dei bambini gli esseri vegetali stavano agitando i rami.
«Tornate indietro!», gridò ancora lei.
Il maschio fu quello che raggiunse per primo la riva dello stagno circolare, ma una volta lì si arrestò di colpo, spaventato dall’odore di acido che permeava la zona. Poi si volse e spinse lontano la sorellina, che rotolò al suolo. Proprio in quel momento una grossa radice si sollevò e lo colpì con forza, mandandolo a cadere nel liquido mortale. Il bambino mandò un grido acuto, annaspò qualche attimo e scomparve sotto la superficie argentea dell’acido, che s’increspò di bolle ed emanò una nuvoletta di vapore. La femminuccia si rialzò e vacillò fra le radici, gemendo. La peluria del suo corpo rifletteva i bagliori metallici dello stagno. Continuava a guardarsi attorno in cerca del fratello, senza rendersi conto che era scomparso e che lo stomaco liquido degli esseri del Secondo Popolo l’aveva già ingoiato. Poi corse indietro, ma le radici scattarono intorno a lei come un groviglio di tentacoli e la afferrarono, sollevandola da terra.
Rheba, che stava sopraggiungendo di corsa, a quello spettacolo non poté reprimere un grido d’orrore. I rami semoventi stringevano il corpicino della sventurata e la squassavano da una parte e dall’altra nel tentativo di trascinare anche lei nella polla. Rheba urlò ancora, come in un incubo, e continuò a urlare anche mentre Kirtn la tirava indietro a viva forza.
Solo in quel momento la ragazza si rese conto d’essersi gettata anch’essa fra la vegetazione, nel cieco tentativo di raggiungere la piccola. I rami sferzavano l’aria colpendoli da tutte le direzioni. Con un guizzo si divincolò dalle braccia del Bre’n, e all’istante un bagliore di energia fuori controllo la avvolse con un crepitio, costringendo sia il compagno che i viticci vegetali a scostarsi da lei. Poi corse avanti, senza udire le grida del suo Mentore che cercavano di far presa sui suoi riflessi condizionati. Kirtn la raggiunse e la afferrò per le spalle.
Di colpo tornò a rendersi conto della presenza di lui, udì quel che le stava urlando nelle orecchie e si fermò. Le radici e i viticci a lei più vicini vennero carbonizzati dalla vampa che diresse contro un albero, e la grossa pianta arse in un istante fino alla cima. Gli altri vegetali reagirono scostando le fronde, spaventati dal loro più terribile nemico, il fuoco. Ma l’energia proiettata da Rheba dardeggiava ovunque, e i rami si contorsero e si spezzarono fiottando linfa rossa come il sangue. Un gemito ultraterreno che sembrava provenire dal sottosuolo vibrò nell’aria, quando le piante senzienti dimenticarono ogni altra cosa nel dolore agonizzante dell’incendio che le divorava. Il corpo della bambina venne lasciato cadere a terra.
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