Clifford Simak - Il pianeta di Shakespeare

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Il pianeta di Shakespeare: краткое содержание, описание и аннотация

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Un’astronave in viaggio ormai da tempo verso mondi abitabili, guidata da un centro di comando che riunisce le menti di tre esseri umani del passato, corrispondenti all’equipaggio conservato in animazione sospesa per tutto il volo siderale. Purtroppo al termine del viaggio, cioè all’arrivo su un pianeta abitabile, l’unico superstite è Carter Horton. Per fortuna ha con sè il robot Nicodemus, che è in grado a seconda dei casi di attingere a numerosi cervelli positronici, riservando qualche sorpresa. Ma su quel pianeta c’è anche qualcun altro…

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Qui non c’è nulla , disse Horton. Il villaggio è abbandonato. Non abbiamo visto nulla in tutto il giorno.

Se si nasconde, non potete vederla. Dovete stare attenti.

Forse lo stagno , disse Horton. Forse c’è qualcosa che vive nello stagno. Carnivoro ne sembra convinto. Crede che ci sia qualcosa che divora la carne, quando la butta li dentro.

Forse , disse Nave. Carnivoro, ci sembra di ricordare, ha detto che non era vera acqua, ma piuttosto una broda. Non ti sei avvicinato?

Puzza , disse Horton. Non viene certo voglia di avvicinarsi.

Non riusciamo ad ubicare quell’intelligenza , disse Nave. Sappiamo solo che è nella vostra area. Non troppo lontano. Forse si tiene nascosta. Non correte rischi. Siete armati?

Sì, certo , disse Nicodemus.

Bene , disse Nave. State in guardia.

D’accordo , disse Horton. Buonanotte, Nave.

Non ancora , disse Nave. C’è un’altra cosa. Quando leggevi il libro, abbiamo cercato di seguirti, ma non siamo riusciti a capire tutto quel che leggevi. Questo Shakespeare… l’amico di Carnivoro, non l’antico drammaturgo. Cosa ne pensi?

Un umano , rispose Horton. Su questo non c’è dubbio. Il suo teschio, almeno, è umano, e la sua scrittura sembra un’autentica grafia umana. Ma era in preda alla pazzia. Forse a causa di un tumore maligno al cervello. Parlava di un inibitore, un inibitore del cancro, credo, ma diceva che era quasi finito e che, quando fosse rimasto senza, sarebbe morto tra dolori atroci. Per questo ha indotto con un trucco Carnivoro ad ucciderlo, ridendone.

Ridendo?

Rideva sempre di Carnivoro. E gli lasciava capire che rideva di lui. Carnivoro ne parla spesso. Lo addolorava profondamente, e il pensiero gli pesa ancora adesso. All’inizio credevo che questo Shakespeare fosse un furbastro… sai bene, uno con un complesso d’inferiorità che gli imponesse di nutrire continuamente il suo ego, senza correre rischi. Un modo per riuscirci consiste nel ridere segretamente degli altri, covando la finzione di una superiorità immaginaria. All’inizio la pensavo così, come ho detto. Ma adesso credo che quell’uomo fosse pazzo. Sospettava di Carnivoro. Pensava che stesse per ucciderlo. Era convinto che Carnivoro avrebbe finito per eliminarlo.

E Carnivoro? Cosa ne pensi?

È a posto , disse Horton. Non è cattivo.

Nicodemus, tu cosa ne pensi?

Sono d’accordo con Carter. Non costituisce un pericolo, per noi. Ah, avevo intenzione di dirtelo… abbiamo trovato una miniera di smeraldi.

Lo sappiamo , disse Nave. Ne abbiamo preso nota. Anche se pensiamo che non ne verrà fuori nulla. Al momento le miniere di smeraldi non c’interessano. Comunque, non sarebbe male portarne via un sacco. Chissà. Chissà quando, chissà dove, potrebbero tornare utili.

Lo faremo , disse Nicodemus.

Ed ora , disse Nave, buonanotte, Carter Horton. Nicodemus, fai buona guardia mentre lui dorme.

È quel che intendo fare , disse Nicodemus.

Buonanotte, Nave , disse Horton.

15.

Nicodemus svegliò Horton, scuotendolo. «Abbiamo una visita.»

Horton si raddrizzò nel sacco a pelo. Si soffregò gli occhi incrostati dal sonno per essere sicuro che non lo ingannassero. Una donna stava a qualche passo dal fuoco. Indossava un paio di calzoncini gialli e stivali bianchi che le arrivavano quasi al ginocchio. E nient’altro. Su un seno nudo aveva tatuata una rosa rossoscura. Era alta e snella come un ramo di salice. Alla vita aveva allacciata una cintura che reggeva una strana pistola. Su una spalla portava appeso uno zaino.

«È venuta dal sentiero,» disse Nicodemus.

Il sole non si era ancora levato, ma c’era già la prima luce dell’alba. Era un mattino umido, vaporoso, dolce.

«Sei venuta dal sentiero,» disse Horton, confuso, non ancora perfettamente sveglio. «Vuoi dire che sei arrivata dal tunnel?»

La donna batté le mani, soddisfatta. «Meraviglioso,» disse. «Anche tu parli la lingua antica. Che gioia trovarvi tutti e due. Avevo studiato la vostra lingua, ma finora non avevo mai avuto occasione di servirmene. Come sospettavo, adesso mi rendo conto che la pronuncia che ci hanno insegnato aveva perduto qualcosa, nel corso degli anni. Sono rimasta sbalordita, e felice, quando l’ha parlata il robot, ma non osavo sperare di trovare qualcun altro che la conoscesse.»

«È stranissimo, quello che dice,» fece Nicodemus. «Carnivoro parla la stessa lingua, e l’ha imparata da Shakespeare.»

«Shakespeare,» disse la donna. «Shakespeare era un antico…»

Nicodemus indicò il teschio con il pollice. «Le presento Shakespeare,» disse. «O quel che resta di lui.»

La donna guardò il teschio e batté di nuovo le mani. «Meravigliosamente barbarico!»

«Sì, non è vero?» fece Horton.

La donna aveva il viso scarno, quasi ossuto, ma dai lineamenti aristocratici. I capelli argentei erano pettinati all’indietro e annodati in una piccola crocchia alla nuca. Quella pettinatura poneva in risalto la magrezza del volto. Gli occhi erano d’un azzurro penetrante, le labbra sottili ed esangui, senza traccia di sorriso. Anche quando batteva le mani per la gioia, non c’era ombra di un sorriso. Horton si chiese se poteva sorridere.

«Viaggi in strana compagnia,» disse lei a Horton.

Horton si guardò intorno. Carnivoro stava uscendo dalla porta, e sembrava un letto sfatto. Si stirò, levando le braccia sopra la testa. Sbadigliò, mettendo in mostra tutto lo splendore delle zanne lucide.

«Preparerò la colazione,» disse Nicodemus. «Ha appetito, signora?»

«Una fame tremenda,» disse lei.

«Abbiamo carne,» disse Carnivoro, «sebbene non uccisa di fresco. Mi affretto a darti il benvenuto nel nostro piccolo accampamento. Io sono Carnivoro.»

«Ma un carnivoro è una cosa,» obiettò la donna. «Una classificazione. Non un nome.»

«È un carnivoro, e se ne vanta,» disse Horton. «E si chiama così.»

«Mi ha chiamato così Shakespeare,» disse Carnivoro. «Io ho un altro nome, ma non ha importanza.»

«Io mi chiamo Elayne,» disse la donna. «E sono lieta di conoscervi.»

«Io mi chiamo Horton. Carter Horton. Puoi chiamarmi con un nome o con l’altro, o con tutti e due.»

Uscì dal sacco a pelo e si alzò in piedi.

«Carnivoro ha detto ‘carne’,» fece Elayne. «Diceva sul serio?»

«Sicuro,» disse Horton.

Carnivoro si batté il petto. «La carne fa bene,» disse, «Dà sangue e ossa. E tono ai muscoli.»

La donna rabbrividì, delicatamente. «Avete solo la carne?»

«Potremmo combinare qualcosa d’altro,» disse Horton. «I viveri che avevamo con noi. Quasi tutti disidratati. Non hanno un sapore ideale.»

«Oh, al diavolo,» disse Elayne. «Mangerò la carne con voi. È solo il pregiudizio che mi ha impedito di assaggiarla in tutti questi anni.»

Nicodemus, che poco prima era entrato nella casa di Shakespeare, ne uscì, tenendo un coltello in una mano e nell’altra un grosso pezzo di carne. Ne tagliò una robusta fetta e la porse a Carnivoro. Carnivoro si accoccolò sui talloni e cominciò a dilaniarla, mentre il sangue gli scorreva sul muso.

Horton vide l’espressione d’orrore sul viso della donna. «La nostra la faremo cuocere,» disse. Andò a un mucchio di legna da ardere e sedette, indicando il posto accanto a lui. «Vieni a farmi compagnia,» aggiunse. «Nicodemus cucinerà. Ci vorrà un po’.» Poi, a Nicodemus: «La sua bistecca falla ben cotta. La mia al sangue.»

«Prima metterò a cuocere quella della signora,» disse Nicodemus.

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