Fritz Leiber - L'alba delle tenebre
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- Название:L'alba delle tenebre
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- Издательство:Casa Editrice La Tribuna
- Жанр:
- Год:1965
- Город:Piacenza
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— Sì, una cosa ci sarebbe — rispose Jarles con veemenza, incurante della pressione delle dita di Naurya sul suo braccio. — Se la vostra opposizione alla Gerarchia e il vostro amore per il popolo sono sinceri, rinunciate a questa ridicola messinscena e a tutti gli inganni! Non aumentate le superstizioni dei comuni cittadini! Non capite che alla radice di tutto c’è lo stato di ignoranza in cui sono tenuti? Dite loro la verità! Risvegliate le loro coscienze e incitateli a ribellarsi contro la Gerarchia!
— E patirne le conseguenze? — lo canzonò l’Uomo Nero. — Ti sei dimenticato quello che stava per accaderti nella Grande Piazza? E di come i cittadini reagivano alle tue parole?
— Io chiedo un favore — intervenne Sharlson Naurya precipitosamente. — Quest’uomo è un idealista dalla testa particolarmente dura. È sospettoso e criticone di natura. Nominalo stregone d’autorità! Non appena avrà avuto un po’ di tempo per riflettere vedrà anche lui le cose come le vediamo noi.
— No, Persefone. Temo che non potremo fare un’eccezione… neanche per un idealista con la testa dura.
— Allora fallo rinchiudere in una cella fino a quando vedrà la luce!
— No, Persefone, non possiamo ricorrere alla forza, né per obbligarlo a diventare stregone né per imprigionarlo. Anche se ammetto che ci sono volte in cui ne avrei una gran voglia! — Scoppiò a ridere.
Ma un attimo dopo la sua voce ritornò seria, seria quanto può esserlo una voce che trasuda allegria.
— Temo che tu non abbia altra scelta, Armon Jarles: o adesso o mai più. Che cosa hai deciso: vuoi diventare membro della Stregoneria o no?
Jarles esitò e si voltò a guardare il circolo di sagome nere, e a tratti fosforescenti, che a poco a poco si era stretto intorno a lui. Se avesse rifiutato, con ogni probabilità l’avrebbero ucciso. Ormai sapeva troppe cose.
E poi c’era Sharlson Naurya, che pensava d’aver perduto per sempre. Accettare la proposta dell’Uomo Nero significava poter stare vicino a lei. E sembrava che anche lei lo volesse. Dite e Persefone non erano il re e la regina degli Inferi?
E poi c’erano anche quelle altre persone, l’Uomo Nero e gli altri. Verso di loro provava sentimenti contraddittori. Forse non gli piaceva quello che facevano ma non li odiava. Gli avevano salvato la vita.
All’improvviso si rese conto di essere molto stanco. Non gli si poteva chiedere di sfidare la morte, di sua spontanea volontà, due volte nello stesso giorno.
E le dita di Naurya continuavano a trasmettergli un messaggio insistente e ansioso. — Di’ di sì, di’ di sì!
Quando Jaries aprì le labbra fu per rispondere: — Sì.
Ma, come era accaduto nella Grande Piazza, la sua coscienza di idealista si ribellò e la rabbia che provava per tutto quanto era falsità e fantasticheria soprannaturale ebbe di nuovo il sopravvento.
— No! Credo in quello che detto! Non scenderò a patti con la menzogna! Non voglio aver nulla a che fare con la vostra Gerarchia Nera!
— Molto bene, Armon Jaries! Hai fatto la tua scelta! — risuonò la voce stentorea dell’Uomo Nero.
Le mani che lo avevano trattenuto lo lasciarono andare e l’Uomo Nero sembrò avventarsi contro di lui. Jaries cominciò a sbracciarsi in preda al panico. Il quadro che prima sembrava dipinto a pennellate nere e fosforescenti si disgregò in un caos informe.
Altre mani lo afferrarono, mani morbide, ricoperte di guanti di gomma e molto forti. Avvertì la pressione di una specie di campo, anche se diverso dal campo di inviolabilità delle vesti scarlatte dei preti della Gerarchia. Si divincolò invano.
Una cosa piccola, pelosa e dotata di artigli gli afferrò la gamba nuda. Jaries si mise a scalciare convulsamente. Udì la voce imperiosa dell’Uomo Nero che ordinava: — Torna qui, Dickon, qui! — La creatura pelosa mollò la presa.
Jaries fece in tempo a urlare: — Sono tutte menzogne, Naurya! Tutte menzogne! — E a udire riecheggiare dalla tenebra la sua risata irosa e il suo grido di condanna: — Idiota! Idealista!
Poi una forza, a cui non riusciva a opporre resistenza, lo trascinò via: fuori dalla porta, lungo un corridoio stretto che girava e poi girava ancora e ritornava indietro, come il budello di un labirinto. Lui vacillava e incespicava e le sue spalle rimbalzavano contro muri invisibili. Poi salì una scala. Qualcuno gli passò rapidamente una benda attorno agli occhi. Un altro corridoio. Altre scale. La sua mente cominciò a vorticare all’impazzata, come il suo corpo.
Infine, l’aria fredda della notte gli ferì le narici e gli gelò il sudore sulla pelle. Sotto i suoi piedi la pietra gelida e liscia dell’acciottolato.
E nelle orecchie la voce beffarda dell’Uomo Nero. — So che gli idealisti non cambiano mai idea, Fratello Jarles. Ma se tu dovessi essere l’eccezione che conferma la regola, ritorna nel posto in cui ti lascerò e aspetta. Può darsi che ci metteremo in contatto con te. Potremmo decidere di offrirti una seconda opportunità.
Ancora pochi passi e poi si fermarono.
— E adesso, Fratello Jarles, va e metti in pratica quello che predichi!
Una brusca spinta lo mandò a ruotare su se stesso finché inciampò e cadde sul selciato. Si tirò in piedi di scatto, strappandosi la benda dagli occhi.
Ma l’Uomo Nero era scomparso.
Jarles si ritrovò all’imboccatura di una delle strade che si aprivano sulla Grande Piazza.
Il cielo era appena rischiarato dalla prima luce dell’alba, che ingigantiva l’immensità vuota della piazza e accarezzava con incantevoli ombre di opalescenza le cupole e le guglie del Santuario, facendo impallidire il nimbo azzurro del Grande Dio.
E dalle terre arate delle colline soffiava un vento tagliente che, dopo essersi gonfiato spazzando la Grande Piazza, sferzò la carne nuda del prete rinnegato.
5
Il tintinnio argentino di cimbali nascosti e un potente coro di voci invisibili, emozionante eppure di una dolcezza celestiale, annunciarono l’appropinquarsi degli esorcisti alla casa stregata. I cittadini comuni che bloccavano la strada si ritrassero per lasciarli passare. Ma poiché le vie che attorniavano la piazza erano gremite di gente e altri popolani ancora spingevano per vedere la processione, e poiché nessuno era disposto a metter piede sul terreno incolto e maledetto che circondava la casa stregata e tutti opponevano una disperata resistenza a chi cercava di spingerli in quella direzione, parecchi furono gentilmente convinti a farsi di lato a suon di sberle da mani sacerdotali inviolabili e guantate di rosso, e uno o due bambini furono scaraventati a terra, prima che gli esorcisti facessero il loro ingresso nella piazza.
Furono accolti da un mormorio di eccitazione. Megateopoli era in gran subbuglio per la voce che correva di bocca in bocca di accadimenti straordinari nel mondo soprannaturale e per la presenza così vicina del tanto temuto Satanas, che era di nuovo risalito dall’Inferno per sfidare l’onnipotenza del suo signore.
Quel mattino, di buon ora, si era sparsa la notizia che la Gerarchia avrebbe purificato la casa stregata dal male. Era parsa a tutti un’idea estremamente saggia e razionale, dal momento che si trattava di un resto dell’Età dell’Oro e, come tale, di un possibile covo di Satanas e dei suoi accoliti, a cui piacevano così tanto quegli antichi, arroganti peccatori che avevano osato prendere d’assalto il cielo. Per quanto dura fosse l’epoca in cui vivevano, dal punto di vista delle manifestazioni del soprannaturale era straordinaria. Quello nessuno poteva davvero negarlo.
La musica e il fasto del corteo avevano lo scopo di esaltare l’aspettativa della folla.
Aprivano la processione quattro giovani sacerdoti, alti e belli come angeli, ciascuno dei quali reggeva dinanzi a sé, come fosse un bastone di comando, una scintillante verga dell’ira.
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