Fritz Leiber - L'alba delle tenebre

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L’alba delle tenebre

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L’oscurità e le carezze oscene e soffocanti della cosa. Chulian lottò disperatamente per liberarsi dalla stretta, tirando la testa all’indietro e scalciando con tutta la forza che aveva in corpo.

Se solo gli avesse toccato il viso sarebbe impazzito, pensò.

E il divano gli accarezzò il viso, dapprima delicatamente, in un modo che gli ricordò le morbide dita di Sharlson Naurya. “Addio, Piccolo Fratello Chulian.”

Poi, con sempre maggior trasporto, finché per poco non lo soffocò nel tentativo di incontrare le sue labbra. E Fratello Chulian desiderò con tutto il cuore di impazzire.

Un pensiero assolutamente inutile in quel momento continuava a martellargli in testa. Se mai fosse riuscito a uscire vivo di lì, non sarebbe mai più riuscito a dormire tranquillamente sul suo lettino al Santuario.

All’improvviso la pressione diminuì. Una porta si aprì nel muro di fronte lasciando filtrare una flebile luce. Chulian la fissò con sguardo ebete. Vacillò, si sentiva debole come l’acqua. Poi la sua mente paralizzata dal terrore riuscì ad afferrare il significato di quella immagine: la possibilità di fuggire, di salvarsi… Avanzò barcollando verso la porta.

Appena ebbe varcato l’uscio fu investito da un’ondata scarlatta di preti in fuga. Fra di loro c’era anche Cugino Deth. Dal pavimento sul quale era finito lungo disteso, Chulian intravvide il viso contorto e giallognolo del diacono, gli occhi fuori dalle orbite.

Cugino Deth stava urlando: — La cosa! La cosa nel buco!

Mezzo carponi e mezzo strisciando, Chulian arrancò tutto dolente dietro gli altri sacerdoti oltre la porta d’ingresso della casa, lacerata e ricoperta di ghiaccio.

Nelle sue orecchie riecheggiò il riso demente e ormai incontrollabile della folla.

Le dita dell’Uomo Nero scorrevano agilmente sulla fitta tastiera dei comandi. I suoi occhi scintillanti scrutavano la tenue miniatura solidografica della casa stregata che aveva di fronte. Vide i minuscoli manichini rossi precipitarsi fuori e scomparire improvvisamente dal campo visivo del congegno non appena avevano varcato la porta della costruzione. Guardò Fratello Chulian arrancare dietro di loro.

La sua concentrazione era evidente nel sorriso sempre allegro, ma teso. Il naso rincagnato e i capelli rossi, corti e ispidi, accentuavano la sua espressione maliziosa.

Fece una rapida digressione rivolgendosi alla sua compagna: — Comincia a piacermi molto quel pretonzolo grasso. Si spaventa che è un goduria vederlo. — Fece un balzo all’indietro. Con una luce accecante la piccola scena si era disintegrata davanti ai suoi occhi.

— Finalmente l’hanno fatta saltare in aria — esclamò. — Ma ride bene chi ride ultimo e Satanas ride sempre per ultimo!

E avvicinando un microfono alle labbra, vi riversò dentro una risata diabolica.

Fu come assistere all’eruzione di un vulcano. La casa stregata avvampò, arse, si contorse fra le fiamme e si squagliò. Alla fine, i quattro sacerdoti sulla montagnola avevano ricevuto l’ordine di azionare la loro arma esplosiva. Ma la sua fiammata rossa e fumosa ricordava più l’inferno del paradiso e dalla folla si levarono urla di dolore, quando una momentanea buffata del suo calore, maldestramente regolato, ustionò molte persone. Tutte le stradine che circondavano la piazza si riempirono di cittadini terrorizzati che si davano alla fuga. Altri cercarono scampo arrampicandosi sui tetti delle case più vicine.

La casa stregata crollò e cesso di esistere.

Ma fra le rovine fiammeggianti e disintegrate dal calore risuonò una risata trionfante che raggelò tutti i presenti.

L’Uomo Nero disattivò i comandi principali e si alzò, lanciando un’occhiata di rimpianto alla grande tastiera.

— Che peccato che non serva più a niente. Mi divertivo un sacco a usarla. Sentirò la sua mancanza, Naurya.

— Ma ne valeva senz’altro la pena. — Lei lo stava fissando seriamente.

— Certo, per Satanas! Sentire i comuni cittadini ridere dei preti… è una grande conquista. Anche se quei poveri diavoli si pentiranno di aver riso quando per punizione la Gerarchia raddoppierà le decime. Ma ciò non toglie che questo fosse un giocattolo delizioso e che abbia il diritto di piangere la sua scomparsa. Vedi, la prima fila di tasti controllava i muri, la seconda i pavimenti e i soffitti. Non ci crederai, ma mi ci sono volute ore e ore di esercizio per imparare bene la tecnica per assestare colpi come quello che prima fa volare in alto e poi fuori dalla finestra. Era tutta una questione di coordinazione e di tempi. La terza fila le finestre e le porte. La quarta i ventilatori e i mobili che decidevamo di animare di volta in volta. Compreso l’appassionato divano di Fratello Chulian. — Accarezzò teneramente una decina di tasti.

— Ma dimmi — lo interrogò Sharlson Naurya, protendendosi in avanti con curiosità — nell’Età dell’Oro era normale che la gente vivesse in case dotate di congegni simili?

— Per Asmodeo, no! Immagino che si trattasse solo di una moda, e anche costosa. Il concetto era quello di avere una casa che potesse cambiare forma a seconda dei capricci del suo proprietario. Prendiamo il caso di uno che volesse invitare molti ospiti e avesse bisogno di una sala da ballo più grande. Gli bastava azionare l’apposito comando e, in un batter d’occhio, i muri si allontanavano. E perché non trasformarla addirittura in una stanza ovale o ottagonale già che c’era? Non ci voleva nulla.

L’Uomo Nero rise di cuore.

— Naturalmente tutto avveniva molto più lentamente. Ma quando abbiamo appurato che le vecchie attrezzature erano ancora in buono stato per noi è stato un gioco da ragazzi potenziarle e renderle più veloci, in modo che quel vecchio rudere potesse ballare la giga, se gliel’avessimo ordinato. Dopodiché le abbiamo collegate con i nostri comandi a distanza ed è stata fatta.

Sharlson Naurya scosse la testa. — Non posso fare a meno di pensare che il lusso di una casa come quella sia semplicemente vergognoso. Pensa solo all’idea di ordinare a una sedia di avvicinarsi perché sei troppo pigro per camminare! O di cambiar la forma di un divano per farti passare un crampo alla schiena. È troppo voluttuoso! — Arricciò il naso in segno di disgusto.

Nella sua tunica nera, che lasciava le gambe e le braccia scoperte e lo faceva assomigliare a un giullare dei secoli passati, l’Uomo Nero fece una piroetta e le puntò contro un dito con aria canzonatoria.

— Sei stata contagiata dalla morale della fatica fine a se stessa che la Gerarchia è andata a riesumare dal passato più deteriore! — l’accusò ridendo. — Comunque, è un destino che tocca a tutti, quello di sgobbare. Per fortuna con me la sorte è stata più benigna: mi ha dato da fare i conti con un desiderio irrefrenabile di fare agli altri degli scherzi terribili e complicatissimi!

Naurya lo studiò attentamente, appoggiando il braccio sul bordo del pannello di comando che occupava gran parte della minuscola stanza spoglia e senza finestre. Lui si abbandonò contro lo schienale della sedia imbottita che si trovava di fronte alla tastiera — l’unico mobile della stanza — e la osservò divertito. Lei sembrava molto più saggia ed esperta di lui, con quel suo viso freddo e determinato e quegli occhi enigmatici.

— Lo scopo della tua vita è quello di fare tiri mancini agli altri? — gli chiese alla fine. — Ti guardavo prima quando manovravi quei comandi. Mentre fissavi quelle minuscole figurine scarlatte, sorridevi come se la tua massima ambizione fosse quella di giocare a fare il semidio perfido e sènza scrupoli.

— Ebbene, lo ammetto, hai scoperto il mio punto debole. Ma ti assicuro che il telesolidografo darebbe a chiunque la sensazione di sentirsi potente come un dio. Non puoi non averla provata anche tu. Confessa!

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