Fritz Leiber - L'alba delle tenebre
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- Название:L'alba delle tenebre
- Автор:
- Издательство:Casa Editrice La Tribuna
- Жанр:
- Год:1965
- Город:Piacenza
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Chulian non voleva ascoltare. Era tutto troppo strano e inquietante. Che cosa spingeva la Gerarchia a fare cose simili? E poi i cittadini comuni avevano riso! I diaconi sparsi in mezzo alla folla li avevano prontamente zittiti, ma loro avevano riso.
Cugino Deth avanzò a grandi passi, seguito dai sacerdoti.
— E adesso che le vostre reverenze hanno edificato il popolo con questa piccola esibizione — stava dicendo il diacono — forse potremo finalmente eseguire gli ordini impartitici dall’arciprete Goniface.
— Impartiti a te, vuoi dire! — lo rimbeccò con rabbia uno dei giovani preti. — Noi abbiamo ricevuto gli ordini dal Centro di Controllo del Santuario e dal Sommo Concilio. Ci era stato detto di procedere nel solito modo.
Deth lo squadrò freddamente — Ma vedete, reverenza, questa non è la solita casa stregata costruita apposta perché voi la demoliate. Temo che questa sia una specie di guerra. E forse la guerra è una cosa con cui solo uno spregevole e illegittimo diacono sa come sporcarsi le mani. Fratello Shawl, preparate il getto a entropia-zero.
Un lungo tubo, sottile e leggero, fu attaccato al contenitore che era stato portato in processione alle spalle di Cugino Deth. Fratello Chulian sentì un brivido percorrere il suo campo di inviolabilità e si allontanò tremando.
— Un breve getto di media intensità contro tutta la costruzione — stava ordinando Deth. — Quel che basta per consolidare le mura esterne. Poi avanti a tutto regime. Ci apriremo una porta da soli. Pronti? Molto bene. La parola a Fratello Jafid.
La voce di Fratello Jafid, potentemente amplificata, era melliflua e sgradevole.
— Che le Acque della Pace Perfetta circondino questo luogo. Che plachino il suo subbuglio. Che lo liberino da ogni moto e da ogni male.
Con un debole stridio, così acuto da essere quasi impercettibile, come quello di una lastra di ghiaccio che sfreghi contro un’altra lastra di ghiaccio, il proiettore a entropia zero si aprì. Fiocchi di neve e di aria ghiacciata riempirono la traiettoria sempre più ampia del suo getto. La casa stregata fu avvolta da una tormenta di neve in miniatura, dalla quale rimbalzarono tutt’intorno folate di aria polare. I cittadini, già accalcati com’erano, dettero l’impressione di arretrare, premendo ancor di più gli uni contro gli altri.
La portata del getto si restrinse, si concentrò attorno all’ingresso e lo ricoprì di una spessa crosta di ghiaccio. Poi il debole stridio cessò.
Un sacerdote si avvicinò alla lastra opalescente e luccicante e la colpì violentemente con la verga dell’ira. I materiali ipergelati si frantumarono, aprendo nella porta un grande vano dentellato. Il prete passò con la verga intorno al bordo per eliminare le parti frastagliate che caddero per terra tintinnando come ghiaccioli.
— Adesso possiamo procedere — sentenziò Deth aspramente. — Prima il proiettore e le verghe. Restate uniti. Fate attenzione a eventuali trappole e alle porte. Seguite i miei ordini. Non appena avrete trovato la giovane strega informatemi.
Poi, mentre i sacerdoti si avviavano, notò Fratello Chulian che se ne stava in disparte.
— Oh, reverenza, stavo quasi per dimenticarmene! Questa era la casa che desideravate tanto vedere. Vi spetta il posto d’onore, Fratello Chulian. Vi prego, guidate voi i sacerdoti all’interno della casa!
— Ma…
— Stiamo aspettando la reverenza vostra, Fratello Chulian. Tutta Megateopoli vi sta aspettando.
Con riluttanza, Chulian si fece strada fra le erbacce ghiacciate. Folate di aria fredda gli gelavano le caviglie attraverso l’apertura inferiore del suo campo di inviolabilità, facendogli tremare le ginocchia.
Senza volerlo, si mise a studiare la casa, i cui muri ghiacciati cominciavano a evaporare ai caldi raggi del sole. Anche nello stato degradato in cui versava, la costruzione conservava una certa bellezza di proporzioni. Nondimeno, la sua potenziale fluidità era ripugnante per chi era abituato alla ponderosa, rigida plasticità dell’architettura della Gerarchia.
Da qualche parte aveva letto che le case dell’Età dell’Oro erano regolabili, fatte di muri elastici tenuti insieme da campi di forze, e paragonabili, come struttura e finalità, alla figura mobile del Grande Dio sopra la cattedrale.
Ma quell’idea non piaceva affatto a Fratello Chulian. Per certi versi lui provava riverente soggezione nei confronti dell’Età dell’Oro e dei suoi orgogliosi abitanti, alla stessa stregua dei comuni cittadini. Con ogni probabilità erano stati imprevedibili e cocciuti come le loro case… ribelli e critici come Fratello Jarles, e sfrontati e irriverenti come quella strega.
Chulian pensò a quanto dovesse essere terribile vivere nell’Età dell’Oro, quando la libera individualità di ciascuno era costantemente minacciata da quella degli altri e non c’era la Gerarchia a pianificare la vita e garantire la sicurezza.
Era arrivato molto vicino all’apertura circondata di ghiaccio. E se i vecchi abitanti fossero ritornati in vita insieme alla casa? Che idea stupida. Però…
— Se all’interno ci sarà qualche accenno di movimento, interverremo con un leggero getto di entropia per congelarlo — disse la voce di Deth alle sue spalle. — La reverenza vostra farà bene a camminare più velocemente se non vuole che il suo campo di inviolabilità si arresti.
Affrettando il passo, Chulian entrò nella casa stregata e imboccò la prima porta che vide. Sarebbe stato proprio nello stile di quel meschino d’un diacono mettere in atto quella minaccia, e l’idea di restare bloccato in un posto come quello, anche se solo per pochi istanti, era quanto mai seccante.
La debole luce della sua aureola illuminò parzialmente una stanza di modeste proporzioni, sormontata da una cupola. I mobili che l’arredavano erano scoloriti dal tempo, ma di fattura gradevole e di aspetto comodo. Chulian tossì. La polvere, sollevata dai sommovimenti di poco prima stava lentamente ricadendo per depositarsi ovunque in spessi strati. Il pavimento cedette leggermente sotto i suoi piedi.
Nonostante il generale senso di ripugnanza che provava, quella stanza esercitava uno strano fascino su di lui. Anzi, per taluni versi, quasi gli piaceva. In particolare, lo attirava un certo divano, che assomigliava al letto della sua lussuosa cella al Santuario.
Un suono raggelante, come se qualcuno stesse digrignando i denti alle sue spalle lo fece girare di scatto. Non c’era nessuno.
Ma la porta era svanita. Era rimasto isolato dagli altri.
Il suo primo pensiero fu: — E se i muri cominciassero ad avvicinarsi sempre di più, sempre di più, sempre di più?
A un tratto, il divano che prima aveva attirato la sua attenzione cominciò a strisciare verso di lui, lasciando una scia umida sul pavimento polveroso, come una lumaca gigante.
Con la gola serrata da una risata isterica, Chulian riuscì a schivarlo. Ma il divano invertì repentinamente la rotta e lo seguì. Accelerando.
Non c’erano porte. Chulian cercò di frapporre mobili più solidi fra sé e la cosa, ma la cosa riusciva a spostarli. Con un balzo, il sacerdote riuscì a sfuggirgli di nuovo, ma il divano scartò bruscamente nella sua direzione, come se fosse una lumaca maligna e molto intelligente. Chulian inciampò, cadde maldestramente, ma ciò nonostante riuscì a tirarsi in piedi e a lanciarsi in avanti alla cieca.
L’aveva intrappolato in un angolo. Poi, molto lentamente, come se stesse gongolando per il terrore che lo attanagliava, il divano avanzò serpeggiando finché d’un tratto si sollevò sui piedini posteriori, e, vibrando in modo osceno, allungò verso di lui i braccioli tozzi… una disgustosa personificazione dei piaceri della carne così cari a Chulian. Poi lo abbracciò.
Premendo contro il petto di Chulian, il divano disattivò i controlli del suo campo di inviolabilità, mettendolo fuori gioco. Automaticamente, anche l’aureola, sorretta sopra la sua testa dal prolungamento imbutiforme del campo, si spense e intorno a lui fu l’oscurità più completa.
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