K.W. Jeter - L'addio orizzontale

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Nella letteratura gialla, si sa, c’è stato
di Raymond Chandier, e in fantascienza
di Leigh Brackett, che in Italia è stato tradotto, purtroppo, con un altro titolo. Sono metafore suggestive, un modo laconico per attirare la nostra attenzione su avventure disperate, forse ai confini del possibile, ma non per questo meno profondamente umane. È perciò che, giocando sulle parole, abbiamo deciso di tradurre letteralmente il titolo di questo romanzo di K.W. Jeter: una storia intensa che ci ricorda i maestri del cyberpunk e dove ogni azione, ogni personaggio sembra fare il doppio gioco, in un intrigo che si risolve solo alla fine. Jeter è più che una promessa della fantascienza, e non esitiamo a raccomandare L’addio orizzontale ai nostri lettori come una storia «diversa» , forte e insolita, ma credibile e senz’altro avvincente come un romanzo hard-boiled.

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— ’Fanculo! — La sua voce risuonò nel buio. Non aveva più paura; la sua mascella tremava per la rabbia, che era più forte di qualsiasi altra emozione. — E adesso affrontiamo anche questa.

Tornò verso la barriera. Con le mani formò una specie di megafono intorno alla bocca e urlò: — Dammi solo dieci minuti, d’accordo? Pensi di potertelo permettere? Poi sarò da te. — Ebbe l’impressione di vedere il megassassino sorridere; comunque fosse, questo non si mosse dall’entrata del settore. Axxter annuì e si diresse verso il treno.

Gli ci vollero meno di dieci minuti; non c’era molto da fare. Aveva trovato un saldatore nel reparto di manutenzione del treno; quello e i cavi ingarbugliati di cui era coperta quella zona, facilitarono le cose.

Un punto della barriera distrutta era abbastanza basso perché la moto potesse oltrepassarlo. Il bordo metallico era fuso e levigato in modo che niente potesse tranciare lo spesso cavo d’acciaio che aveva saldato da un capo all’intelaiatura della moto. Fece passare il cavo sulla barriera e poi indietro, verso il punto in cui aveva saldato l’altro capo a una delle sporgenze del telaio del treno. Si guardò alle spalle: il megassassino stava ancora aspettando là, osservando divertito le sue stravaganze. Non aveva fretta.

Il rombo del motore riecheggiò per tutto il settore mentre Axxter, a cavalcioni sulla moto, attivò l’accensione. In lontananza, il megassassino chinò il capo mentre i punti rossi degli occhi non smettevano di guardarlo. Axxter inserì la marcia e diede gas. Si girò per controllare che il cavo metallico si svolgesse dietro alla ruota; poi si chinò il più possibile, sotto il livello del manubrio, per ripararsi dal vento che gli colpiva il viso. I suoi occhi erano fissi in quelli del megassassino quando spalancò le braccia, pronto ad affrontare l’impatto. In quegli ultimi secondi gli apparve tutto enorme, mentre le rovine del settore sfrecciavano al suo fianco come un’enorme muraglia, una muraglia con occhi e un’immagine nera a spirale, oscurità dentro all’oscurità. Poteva già vedersi schiacciato, ridotto in ossa e brandelli; ma gli andava bene, ogni cosa che fosse successa sarebbe andata bene, era stanco di gingillarsi, doveva far succedere qualcosa…

Poi ci fu l’impatto. Per un attimo sentì le dita del megassassino intorno alla schiena, mentre la ruota anteriore della moto si schiantava sul petto di quell’essere. Fu circondato dalla luce e dall’aria: il vento gli accarezzava le braccia e le gambe ed egli capì di essere sfuggito alla presa del megassassino. Questo ululò ed egli lo udì; non era un urlo di rabbia, ma di paura e spavento mentre cadeva, sbalzato via dall’entrata del settore. Aveva sempre creduto di essere immortale.

Davanti agli occhi di Axxter tutto divenne rosso; alcuni pezzi di metallo si staccarono dalla moto e gli colpirono le sopracciglia. Ma tenne duro, aggrappandosi al serbatoio. La moto mantenne la propria direzione ancora per un po’, volando nello spazio, distante dall’edificio.

Poi si girò e Axxter poté vedere il Cilindro. Lentamente, il cavo si tese al massimo. Per un attimo divenne una linea retta, una perfetta linea nera che solcava l’aria. Si aggrappò ancora più forte alla moto, le gambe e le braccia si strinsero ai pezzi di metallo. Se fosse riuscito a tener duro, se il cavo non si fosse spezzato, se fosse sopravvissuto al viaggio di ritorno verso il muro…

Con una nota acuta, più alta del rombo del vento, il cavo si ruppe.

Lasciò andare la moto. Il megassassino era sparito, caduto tra le nuvole. Ora voleva liberarsi di qualunque cosa. Spalancò le braccia e reclinò il capo all’indietro: in cuor suo provò un’improvvisa ondata di gioia. Un’altra figura, la cui sagoma si stagliava in un fascio di luce, uscì dalle nuvole e si diresse verso di lui. Axxter tentò di raggiungerla, ma era troppo lontana, e proseguì la sua caduta.

16

Si stava muovendo, lentamente ma con ritmo costante, verso la parte alta del muro, quando udì il rombo di una moto provenire dal basso. Si guardò alle spalle con un sussulto e vide un viso familiare sorridergli da sopra il manubrio.

— Ehy, Ny! — Guyer Gumble lo salutò con la mano. — Stai fermo lì! — Si precipitò verso di lui.

Gli si fermò accanto e spense il motore. Il suo sorriso divenne ancora più ampio e fiero, assolutamente deliziato. — Cristo, Ny, speravo proprio di trovarti qui fuori. Come diavolo stai?

Si appoggiò alle corde, allontanandosi dal muro, scrollò le spalle e tentò di sorridere. — Sto bene, credo. Almeno sono tutto d’un pezzo — Non si era sentito così dolorante nemmeno il giorno prima, quando era rinvenuto legato al muro; ogni sua parte sembrava essergli stata strappata e poi rimessa insieme e tenuta unita solo dal sacco della sua pelle. Era l’effetto dell’impatto contro il megassassino. Era stato felice quando aveva potuto smettere di sputare il sangue che gli arrivava in bocca.

— Timido figlio di puttana… hai avuto avventure a destra e a manca, non è vero? Hai idea di quanto sei diventato famoso?

Axxter scosse il capo. — Vuoi dire che sono famoso per aver attraversato tutto l’edificio? — La donna doveva aver seguito tutta la storia, immaginò lui, attraverso i programmi d’intrattenimento. Guyer scoppiò in una risata. — Per quello e molte altre cose. Stai andando ai livelli alti?

— Già — Axxter annuì e quel movimento gli fece comparire dei puntini rossi davanti agli occhi. — Devo vedere il mio agente. — Aveva già incontrato una presa e aveva cercato di chiamarlo, ma in cambio aveva ottenuto solo un silenzio mortale. Tutto quel casino doveva aver provocato qualche danno.

— Ti ci vorrà un gran pezzo per arrivare, arrampicandoti in quel modo. Forza, sali; ti darò un passaggio. Anch’io sto andando da quelle parti.

Riuscì ad arrampicarsi nel sidecar e ad allacciarsi le cinture di sicurezza. La sua giacca si sollevò e Guyer intravvide i suoi lividi.

— Stai bene? Sembri un po’ sconvolto.

— Sto bene. — Si sistemò nell’abitacolo. — Più o meno.

La donna mise in moto e si diresse verso l’alto. Axxter si girò a guardare. Aveva fatto ben poca strada da quando era partito. Poteva ancora vedere le corde con cui Lahft, o forse un altro angelo, l’aveva assicurato al muro: era svenuto quando l’avevano aiutato. Forse era diventato lo sport favorito degli angeli quello di afferrarlo ogni volta che cadeva verso le nuvole. Per ben due volte era stato fortunato: non se la sarebbe sentita di fare un terzo tentativo.

— Stai per entrare nel bel mezzo dell’azione, Ny. — Gli urlò Guyer per coprire il rumore del motore e del vento. — Tutto l’edificio è in subbuglio, dalla testa ai piedi. Ogni cosa è sottosopra, ragazzo.

Axxter si sporse verso di lei. — Perché? Che sta succedendo?

La donna sogghignò. — Te ne accorgerai, ragazzo. Quando arriverai là sopra. Il tuo agente ti metterà al corrente di tutto.

La testa gli faceva troppo male per riuscire a fare delle ipotesi. Si appoggiò comodamente allo schienale e chiuse gli occhi.

— Ny, Cristo, che piacere vederti! — Brevis lasciò la sua scrivania per andare a stringere la mano di Axxter. — Non sapevo che diavolo ti fosse accaduto, se tu fossi vivo o morto. Ma ho continuato a sperare.

Axxter lasciò che il suo agente lo facesse accomodare. — Che cazzo sta succedendo qua intorno? — E indicò la porta. — Cos’è, una rivolta o qualcosa di simile? — Non qualcosa di simile, lo sapeva bene: era proprio una rivoluzione. Arrivare dal punto in cui l’aveva lasciato Guyer fino all’ufficio di Brevis era stato più difficile di quanto pensasse: folle urlanti insorgevano e si vedevano fiammate di spari ed esplosioni. Aveva individuato almeno una mezza dozzina di tribù militari impegnate a combattersi a vicenda. Procedere scivolando lungo i muri gli era sembrata la cosa più saggia da fare. C’era qualcosa di molto grosso in ballo, era ovvio.

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