K.W. Jeter - L'addio orizzontale

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L'addio orizzontale: краткое содержание, описание и аннотация

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Nella letteratura gialla, si sa, c’è stato
di Raymond Chandier, e in fantascienza
di Leigh Brackett, che in Italia è stato tradotto, purtroppo, con un altro titolo. Sono metafore suggestive, un modo laconico per attirare la nostra attenzione su avventure disperate, forse ai confini del possibile, ma non per questo meno profondamente umane. È perciò che, giocando sulle parole, abbiamo deciso di tradurre letteralmente il titolo di questo romanzo di K.W. Jeter: una storia intensa che ci ricorda i maestri del cyberpunk e dove ogni azione, ogni personaggio sembra fare il doppio gioco, in un intrigo che si risolve solo alla fine. Jeter è più che una promessa della fantascienza, e non esitiamo a raccomandare L’addio orizzontale ai nostri lettori come una storia «diversa» , forte e insolita, ma credibile e senz’altro avvincente come un romanzo hard-boiled.

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Axxter osservò il fascio di luce diventare sempre più debole, poi si ritrovò solo nel buio.

— Sei sicuro che quell’essere non sia qui in giro?

— Smettila di preoccuparti — Sai si riparò gli occhi con una mano, guardando attraverso il cielo. — Hai un buon margine. Il megassassino si trova a molti livelli più sotto rispetto alla superficie; anche se ti localizzasse in questo momento, gli ci vorrebbe comunque un po’ di tempo per arrivare fino a qui.

Axxter si morse un labbro. — Sembra che anche noi ci impiegheremo un bel po’.

— Come ti ho già detto, non preoccuparti: arriverà. Ha una cotta per te.

Un puntino apparve nel cielo; s’ingrandì finché non si videro gambe, braccia e la membrana sulle sue spalle. Poi, alla fine, un sorriso radioso rivolto ad Axxter.

— Ciao, ciao — Lahft fluttuava nell’aria a pochi metri dal punto in cui Axxter era assicurato al muro tramite le corde di sicurezza. L’angelo si girò, mostrandogli l’immagine incisa sul biofoglio.

— È un piacere vederti.

Lei rise e la sua risata sembrava il trillo di un campanellino. Axxter guardò la nuova immagine che si stava formando sul biofoglio e che stava trasmettendo: il suo viso. Il sole splendeva oltre la curva metallica della superficie, oscurando i puntini neri composti in modo da formare occhi, naso, mento. Era il primo autoritratto che si fosse mai fatto; dovette resistere alla tentazione di migliorarlo, girandolo su un profilo di tre quarti in modo che non avesse un’espressione così stupida. Come se non corressi il rischio di essere ucciso. Questo sì che significa essere maniaci della precisione.

— Forza! — Sai lo pungolò. — Dille cosa deve fare. Non hai tutto questo tempo.

Axxter non poteva dire se riuscisse a farsi capire dall’angelo, che si limitava ad ascoltare con gli occhi spalancati.

— Hai capito?

Lei piegò la testa, guardando oltre Axxter. Egli pregò che qualcosa si mettesse in moto nella testa dell’angelo. — Qui… ora — Lei annuì, poi indicò il cielo. — Là, dopo ora.

— Già, esatto. Proprio oltre la Fiera Equatoriale; voglio dire, la grande linea. Vai il più lontano possibile. E rimani là. Hai capito?

Lei gli sorrise.

— Oh, Gesù Cristo. — Si rivolse a Sai. — Non c’è speranza. Non funzionerà mai.

— Come fai a saperlo? — Sai ricambiò il sorriso dell’angelo. — È molto più intelligente di quanto tu creda. È solo sintonizzata su una diversa lunghezza d’onda.

Lahft toccò Axxter sulla spalla. — Quando è adesso? Adesso è già adesso?

Ci volle un po’ perché lui decifrasse quel messaggio. — Esatto! Voglio che tu vada subito.

— Adesso, arrivederci — L’angelo si allontanò, ancora sorridendo. Axxter la guardò con un peso sul cuore.

— Potresti anche cominciare a trasmettere. Così verrà riflesso non appena lei raggiungerà la posizione giusta.

Axxter annuì. Richiamò il file che aveva preparato e lo trasmise, dando un comando: RIPETERE FINO A NUOVO ORDINE “INTERRUZIONE”. Al di là di quelle parole, la sagoma dell’angelo si muoveva lentamente nel cielo. — Quanto tempo staremo qui fuori?

Sai si sistemò contro la parete. — Quanto potremo.

Il sole stava tramontando e scomparendo dietro la barriera di nuvole. Axxter guardò l’intenso colore rosso. Le ore di inattività, legato al muro mentre la trasmissione proseguiva ininterrottamente, l’avevano esaurito e gli avevano indolenzito tutti i muscoli.

La mano di Sai sulla sua spalla lo scosse. — Senti?

— Sentire cosa? — Poi capì cosa: un basso rombo che vibrava attraverso il metallo dell’edificio fino dentro alle sue ossa.

— Stai qui. E continua a trasmettere — Sai si arrampicò verso l’entrata del cunicolo. In meno di un minuto fu di ritorno. — Bene, le trasmissioni sono finite. È ora di muoverci.

— È qui? Ci ha trovato?

— Quasi. Forza, andiamo.

Mentre scivolavano nel tunnel, poté sentirne di nuovo l’odore nauseante, quel puzzo d’olio e metallo bollente. Il megassassino era là, da qualche parte nel buio dell’edificio. E si avvicinava sempre più a lui. Dovette resistere all’impulso di fuggire e tornare sulla superficie.

Sai spostò un pannello del muro del tunnel, abbastanza largo perché potessero infilarvisi. Si mise un dito sulle labbra per fargli capire di stare zitto, poi spinse Axxter attraverso l’apertura. Egli si girò e diede un’occhiata dietro alle spalle di Sai, verso l’apertura del cunicolo vuoto.

Ma restò vuoto solo per un secondo: un’ombra nera, chinata sotto il soffitto, riempiva tutto lo spazio. Si fermò e i pistoni delle sue braccia si contrassero: continuava ad aprire e chiudere i pugni.

L’enorme testa si girò e due luci rosse, due piccole chiazze di sangue, si fissarono negli occhi di Axxter.

— Muoviti! — Urlò Sai, spingendolo avanti. — Corri! — Dietro di sé sentì il rumore del muro metallico che veniva squartato. Quando raggiunse lo spazio con il soffitto più alto, proseguì camminando a carponi. Per un attimo, tutto quello che riuscì a fare fu sollevare la testa tentando di riprendere fiato. Oltre al battito accelerato del suo cuore, vicino al suo orecchio poteva sentire il respiro di Sai, che cercava di farlo rialzare.

— Devi farcela, amico. Prendi il treno e vai.

— Come… come funziona?

— È già programmato… ha una sola velocità e può seguire un’unica strada. Devi solo premere il bottone verde e sarai fuori di qui… Dove stai andando?

Axxter si diresse sull’altro lato del treno. In uno spazio un po’ illuminato trovò la moto che aveva visto prima.

— Gh, Cristo! Non hai tempo per giocare con quella adesso…

— La voglio — Axxter tolse la moto dal cavalletto e la spinse verso il treno. — Devo avere qualcosa quando arriverò di là. — Era troppo pesante per spingerla da solo nella cabina di guida. — Forza, dammi una mano con quest’affare!

— Tu hai davvero perso il lume della ragione… — Malgrado le sue proteste, Sai si spostò dietro la moto e la spinse, mentre Axxter la issava dall’alto. Alla fine riuscirono a infilarla nello stretto spazio dietro al pannello dei comandi del treno.

Ansimando per lo sforzo, Sai rimase fuori dalla cabina, aggrappato alla porta del treno. — Sei contento adesso? Come ti ho detto, l’unica cosa che devi fare è…

Poi scomparve. Una mano di metallo, larga come una cassa toracica, lo spinse via, mandandolo a gambe all’aria. La figura del megassassino riempiva il vano della porta d’entrata.

— Merda… — Axxter fece qualche passo indietro. La moto si rovesciò e lo bloccò contro la parete della cabina. Mentre il megassassino ghignava al pensiero d’averlo raggiunto, la mano di Axxter riuscì ad arrivare al pannello dei comandi. Con le dita tastò qualcosa di rotondo e lo schiacciò.

Il treno fu scosso da una vibrazione. Sentì il motore mettersi in moto sotto di lui mentre il megassassino gli aveva già tolto la moto di dosso. Il serbatoio si sollevò dal suo torace, ma vi ricadde immediatamente, non appena il treno acquistò velocità, lasciandosi dietro il megassassino. Un urlo di frustrazione risuonò nel cunicolo, mentre le dita di metallo del megassassino graffiavano il treno.

La velocità del mezzo aumentò e il rombo del motore era musica per le orecchie di Axxter. La moto si spostò di nuovo e il suo peso gli fece battere violentemente la testa contro la parete. Per qualche secondo ancora, mentre la cabina cominciava a girare e a diventare scura, Axxter continuò a sentire in lontananza il grido di rabbia del megassassino.

Una piccola luce rossa si accendeva a intermittenza. La scorse con la coda dell’occhio, prima di vedere qualsiasi altra cosa, prima ancora di rendersi conto che poteva vedere. Quella pulsazione rossa s’ingoiava a poco a poco la grigia nebbia che lo avvolgeva.

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