Patricia McKillip - Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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— Terra. Dimmi cosa vedi.

— Una rosa — mormorò lei.

5

— Da dove viene quella luce? — chiese il Mago, sorpreso.

I Nova si guardarono l’un l’altro, poi lo fissarono. Nel centro del Constellation Club, con i suoi palchi inondati di luce e le pareti che risplendevano a quell’ora di una morbida foschia ametista, la domanda sembrava assurda. Nebraska si tirò gli smorti baffi ricurvi e si guardò attorno compiacente. Il Professore, con il viso nero attraversato da un fulmine argenteo, strinse gli occhi incredulo.

— Ti dispiacerebbe delucidare?

— Io non vedo nulla — disse il Giocatore in tono vago. Appoggiato al palco, dava l’impressione che il suo lungo corpo emaciato sarebbe crollato in un mucchietto informe se il palco fosse scomparso all’improvviso. — Tranne, lo sai, le solite luci.

— Delucidaci — disse Quasar, assaporando ogni sillaba come se fosse commestibile. Lanciò al Mago un sorriso di sbieco, mettendo in mostra i denti scarlatti. — Moi , ti aiuterò a spiegarti meglio, Magico Capo. Dimmi solo dov’è.

— Non viene dal nostro palco — disse Nebraska. — A cosa assomiglia?

— Che cosa?

— La luce — disse Nebraska, stupito. — Hai appena detto…

— Ah! — Mosse appena il capo, ammiccando. — Ho scorto qualcosa con la coda dell’occhio. Ma forse era solo un’impressione. Adesso non la vedo più.

— Nemmeno io — disse il Giocatore, cercando di essere d’aiuto.

— Parlami di questo “delucidare”. È una cosa legale, o sotterranea?

— Underground — mormorò il Professore. — Se è questa la parola che cerchi.

Quasar mosse le unghie che si intonavano al colore della corta chioma arcobaleno. — La méme chose… è lo stesso. Underground, sotterraneo…

— Il primo ha connotazioni politiche, l’altro deriva da un’antica lingua pre-GLM chiamata latino. La radice è analoga. Una preposizione che significa “sotto” e un sostantivo che significa “terra”.

— Possiamo tornare alle cose serie? — supplicò il Mago. — Prima che l’intervallo sia…

— Comunque, il contrario di legale non è sotterraneo, ma…

— Averno — suggerì il Giocatore. Il Mago piegò le braccia e alzò la voce.

— Che sarebbe il motivo per cui ho convocato la riunione, ammesso che qualcuno se ne ricordi ancora.

— Be’, allora? — chiese affabilmente il Professore. — Siamo tutti qui, e ti ascoltiamo. Sidney ha offerto un aumento di stipendio?

— Sidney ci offre una tournée spaziale, con partenza da Averno.

Si zittirono tutti e lo fissarono; e i loro visi vividamente truccati sembrarono sospesi tutt’attorno, immobili come maschere appese in aria.

Poi Nebraska sorrise, e il Giocatore compì una mossa brusca per non scivolare a terra.

— Averno — disse il Professore riprendendo fiato. — Magico Capo…

— Suoneremo lì una sera, poi andremo sulla Luna, a Rimrock e a Moonshadow, poi a Helios…

— Il sole? — chiese sorprendentemente il Giocatore.

— La città spaziale.

— Un caldo terribile — disse Nebraska. Quasar, senza manifestare emozioni, si accese una sigaretta e soffiò uno sbuffo di fumo sopra la testa del Mago.

— Prigione — disse la ragazza con tono incerto. Aggiunse un’altra parola, breve e intraducibile. — Magico Capo…

— Un unico concerto — ripeté lui, in fretta, notando che la mano le tremava mentre si portava la sigaretta alle labbra. — Ci resteremo solo una notte.

— Ma cosa se ne fanno della musica, su Averno? — chiese perplesso il Professore. — Della nostra, soprattutto.

— Stanno avviando un nuovo programma di riabilitazione. — Sorrise freddamente. — Cercano di portare un po’ di rumore su Averno. Ci ha raccomandati Sidney. L’agenzia della Costadoro sta preparando il resto della tournée. — Annuì al fischio del Professore. — Troppo bello per rinunciare. Se ci facciamo un po’ di pubblicità, forse potremo continuare a fare tournée nel Settore.

Il Giocatore era tornato in vita, e si teneva quasi eretto. Aveva un’aria terrorizzata. — Volare?

Il Mago chiuse gli occhi e li riaprì. — L’idea generale sarebbe questa.

— Spazio?

— È onnipresente — disse serio il Professore.

— No.

— No cosa?

— No e basta. Magico Capo, non posso. Non ho equilibrio.

— Non ti sto chiedendo di camminare su una fune tesa fino ad Averno. Cosa vuol dire, che non puoi? Tu vieni con noi. Non possiamo fare a meno di portarti.

— Qui. — Il Giocatore si toccò l’orecchio. — Non ho equilibrio, qui. Sto male. Rimetto. Anche in cima a un palazzo. Dappertutto.

Il Mago lo fissò con aria distaccata, come se avesse appena versato una pinta di birra nel piano. — Esistono delle cure — disse con decisione.

— Non posso…

— Non puoi tirarti indietro proprio adesso, ecco cosa non puoi. Hai suonato la mia musica per cinque anni. Forse è l’unica cosa che hai dentro quello che chiami cervello, ma la conosci come le tue tasche, e se pensi che i Nova affrontino una tournée spaziale con un cubista raccolto per strada e solo tre settimane di prove, vuol dire che ragioni con i piedi. Verrai con noi e basta.

— Non posso. — Si sottrasse alla collera del Mago, drappeggiando lungo il palco le pallide braccia nervose. Solo le sue spalle, ampie e diritte per l’uso continuo dei cubi, suggerivano la presenza di muscoli sotto la casacca. — Non volo nemmeno su un elicar. Magico Capo, devo restare a terra. Non mi piace l’aria sotto i piedi. Per niente. Mai. Per me — si portò il palmo alle labbra e poi al pavimento — la Terra. Ci amiamo. Non posso farci niente. Sapevo che ti saresti arrabbiato con me un giorno o l’altro.

— Cosa?

— Ho lasciato il complesso di prima proprio per questo. Dovevamo cominciare ad andare in giro. Volare. Sapevo che sarebbe successo anche ai Nova. — Sospirò. — I complessi migliori mi abbandonano sempre. — Stringendo con le dita il bordo del palco, come se temesse di vederlo volar via, aggiunse: — Mi spiace.

Il Mago lo guardò senza espressione ancora per qualche istante. Poi si girò verso il Professore. — Il tuo equilibrio come sta? — chiese in tono pericolosamente calmo.

— Magnificamente — si affrettò a rispondere il Professore. — Per me — baciò l’aria — lo spazio. Sono con te, Magico Capo.

Il Mago guardò Quasar, che continuava a tirare rapide boccate di fumo. — Non possiamo andare senza il Giocatore — disse lei con noncuranza, ma evitò di guardarlo negli occhi.

— Andiamo lo stesso.

— Ma…

— Il Giocatore verrà con noi o ci troverà un sostituto. Buono quanto lui.

— Buono come me? — disse il Giocatore, dubbioso. Il Mago spostò lo sguardo da Quasar quanto bastava per lanciargli un’occhiata inviperita.

— E lo troverai in fretta. — Tornò a girarsi verso Quasar, concentrando su di lei tutta l’attenzione, perché mentre le sue sopracciglia inarcate con grazia suggerivano indifferenza, gli occhi erano cupi, inespressivi, e il movimento della sigaretta troppo brusco. La ragazza non avrebbe tradotto la propria riluttanza in parole, eppure quella sensazione restava sospesa tra loro, tangibile come la nebbiolina di fumo che la circondava.

— Suoneremo per i detenuti — le disse, perché la donna si opponeva all’autorità costituita istintivamente e senza rimorso. — Quelli dell’Anello Chiaro; non per i poliziotti. — E poi se ne accorse: i suoi movimenti aspri e nervosi confinati in uno spazio troppo stretto, i suoi occhi che si sforzavano di penetrare un’oscurità artificiale.

Respirò a fondo in silenzio; allora lei lo guardò, con un pallido sorriso che prendeva malignamente in giro il proprio terrore.

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