— Grazie, Aaron.
— Strano che sia arrivato da queste parti. Quelli come lui pensano che il mondo fuori della Discarica sia pericoloso.
Il Mago, che stava per dare le carte, alzò lo sguardo con aria incredula. — Tu hai parlato con loro?
— Sono stato in quella zona due o tre volte. È un luogo bizzarro. Hanno le loro piste, i loro territori, i loro rifugi per nascondersi da gente come me, gente dell’esterno. Si possono seguire i loro sentieri attorno a montagne e vallate di porcherie, e rifiuti di un altro secolo… Ho visto relitti d’aeroplani, persino vecchie spaziomobili arenate su un fianco. Raramente si vede qualcuno; si scorge un movimento, un’ombra, forse un ragazzino che non ha ancora imparato a nascondersi in fretta. C’è sempre silenzio, un silenzio di morte, e ci si sente osservati…
— Come sei riuscito a parlare con loro?
— Non tutti hanno paura. Alcuni sono solo dei vecchi eccentrici che vivono nella discarica perché è più tranquilla della città. Non gliene frega niente se non hanno notizie del resto del mondo.
— Come hai fatto — chiese semplicemente Sidney — a trovare il coraggio di andarci?
— Cercavo qualcuno.
— L’hai trovato?
— Trovata. — Resistette all’impulso di sottrarsi allo sguardo curioso del Mago. — No.
— I reietti di questo secolo nel cimitero del precedente — disse pensosamente Sidney. — Chissà che musica suonano… — Si accorse del sorriso del Mago. — No, parlo sul serio. Prova a immaginare quali strumenti possono aver inventato, quale musica possono aver prodotto nel loro stato d’isolamento… Parlando di isolamento, mi viene in mente una cosa: ti piacerebbe un viaggio gratuito su Averno?
Il sorriso del Mago svanì. Il viso perse completamente espressione; sembrava, pensò Aaron, essersi tramutato nel proprio ritratto. Poi fu di nuovo in mezzo a loro, ma la sua voce era secca, lievemente turbata.
— C’è anche il biglietto di ritorno?
— Mi sono espresso così male? — chiese Sidney.
— Be’, no, ma perché mi vuoi mandare su Averno? Credevo che la mia musica ti piacesse.
— Certo. È questo il punto. Lassù qualche anima creativa ha capito che il silenzio quasi assoluto di Averno potrebbe avere effetti negativi sui detenuti che a fine pena dovranno reinserirsi nella società terrestre. Dovranno vivere in mezzo a noi: è questo lo scopo del programma di riabilitazione. Entro certi limiti possiamo determinare come saranno, quando torneranno a vivere con noi. — Sparpagliò con le dita il mazzo di carte come per ricavarne suggerimenti. — Stanno lassù in quella ciambella ritorta e girano nel vuoto. Sulla Terra un detenuto può udire il vento. La pioggia. Un grillo. Lo scorrere dell’acqua. Il superamento della barriera del suono. Il traffico aereo. Nel carcere di Corcrow sentono il mare e i generatori delle fabbriche. Tutti i piccoli rumori della vita quotidiana di una società da cui sono esclusi e in cui ritorneranno, per viverci nella continuità del tempo terrestre, con tutt’e due i piedi per terra.
Il Mago emise un brontolio d’assenso. — Su questo non discuto — disse gentilmente. — Ma perché…
— Perché proprio tu? Il direttore del programma di riabilitazione vuole che io vada su ad ascoltare il loro silenzio. Vuole anche che suggerisca un programma sperimentale di musica, fra le altre cose. Ho pensato subito ai Nova. Siete pittoreschi, siete troppo disciplinati per cacciarvi nei guai su Averno, e sapete cosa penso io della vostra musica. È ora che abbiate un po’ di pubblicità. Farete solo un concerto su Averno, e se siete tutti d’accordo girerò l’intera faccenda all’agenzia della Costadoro, che penserà a organizzarvi una tournée spaziale.
Il viso del Mago si era imporporato, sotto le sbavature rosso magenta. Ancora una volta era rimasto senza parole. Aaron sogghignò.
— Hai detto che avevi bisogno di un cambiamento, Magico Capo.
— Sei d’accordo?
— Una tournée spaziale? Con il tuo sostegno? Sidney, è la cosa… è la cosa…
— Ci sarà poco tempo per i preparativi, meno di un mese. Ma lassù avrai un pubblico avvinto, e non solo su Averno. — Ridacchiò con indulgenza al gioco di parole. — Pensaci. Parlane con gli altri.
— Accetteranno. Mi toccherà rimettere a posto il Pianto volante.
— L’agenzia potrebbe mettere a disposizione una spaziolancia.
— No. Preferisco adoperare le cose mie. Sono cinque anni che non faccio alzare da terra il Pianto volante. Sidney, è una cosa… Grazie.
— Sei diventato troppo bravo per un locale come questo — disse Sidney — e te lo meriti. — Rimise a posto il mazzo di carte. — Su, facciamo ancora una mano. Qualcosa di facile.
— Un poker pazzo. È rapido e facile. Si danno sette carte, due delle quali fanno da jolly, e le carte cambiate restano scoperte. Come puoi aspettarti che riesca a mantenere una faccia da poker dopo un’offerta del genere?
— È la mia tecnica — disse Sidney con serietà. Un orologio interiore tarato sugli inquieti movimenti ondeggianti della notte spinse Aaron a scostarsi dalla parete con un’alzata di spalle. Però non si allontanò, e rimase a guardare Sidney che raccoglieva le carte.
L’istante successivo si ricordò di respirare. Si appoggiò di nuovo alla parete e inviò a Sidney un messaggio mentale: “Non battere le palpebre, non cambiare tono di voce; fai finta di non avere gioco…”
Sidney spinse un gettone a centro tavola. Il Mago ne aggiunse altri cinque.
Sidney coprì il rilancio. Il Mago alzò gli occhi. — Allora un po’ di gioco ce l’hai… o stai imparando a bluffare?
In piedi alle spalle del Mago c’era qualcuno: una confusa macchia rossastra, una maschera. Sidney diede al Mago una carta, scoperta: asso di picche. Il Mago la guardò e aggiunse altri gettoni. Sidney coprì la puntata e scoprì l’ultima carta.
A quel punto gli occhi di Aaron furono attirati, quasi controvoglia, dal viso alle spalle del Mago. Lunghi capelli rosso-rosa, punteggiati di forcine nere a forma di cuore. Un viso aggraziato, dipinto d’oro. Spalle ampie e dritte. Occhi grigi che fissavano quelli di Aaron, seri, opachi, riservati. Poi Sidney diede un’occhiata alla ragazza, e lei sorrise.
— La Regina di Cuori — disse Sidney, sorpreso.
Il Mago emise un mormorio indistinto d’assenso, e Aaron guardò la carta che Sidney aveva girato: di nuovo il viso di lei, stilizzato, enigmatico. Resistette all’impulso di dire a Sidney di puntare tutto il Constellation Club.
— Cinque per l’asso — disse il Mago.
— Sei — disse Sidney a casaccio.
— Vedo.
Sidney scoprì le sue carte, a una a una. Dieci, fante, regina, re, asso di cuori, e le due carte dal valore immaginario, i jolly, le matte.
— Scala matta.
Il Mago emise un fischio muto. Poi si appoggiò allo schienale della sedia e scoppiò a ridere, sparpagliando un’inutile combinazione di picche e quadri. — Hai vinto, Sidney. Raccogli i gettoni.
Aaron alzò di nuovo gli occhi, sentendosi bizzarramente fuori dal tempo e dallo spazio, come se qualcosa, in qualche luogo di un universo alternativo, fosse terminato o stesse per iniziare. Ma il Mago aveva rimesso nel mazzo la Regina di Cuori, e la ragazza era sparita.
Sidney Halleck e il dottor Fiori arrivarono su Averno la mattina dello stesso giorno. Il direttore Klyos, d’umore nero perché la sua richiesta di trasferimento al Settore Polosud era stata respinta senza nemmeno un commento, fece condurre Sidney nei quartieri del Mozzo riservati ai visitatori ufficiali, dove Jeri Halpren era in attesa. Poi si occupò del dottor Fiori. Il dottore aveva condotto con sé tre assistenti, due uomini e una giovane donna molto graziosa e molto annoiata, il cui viso cambiò solo quando vide il piccolo, spartano padiglione d’infermeria che Jase aveva riservato loro. La Macchina dei Sogni seguiva ancora l’orbita di Averno, e sarebbe stata raccolta in seguito dal personale dello scalo. Intanto, diceva il dottor Fiori, dopo un’intensa occhiata alla stanza in cui sarebbe stata sistemata l’apparecchiatura, avrebbe gradito essere presentato alla detenuta.
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