Patricia McKillip - Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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Jase sollevò un sopracciglio a quelle parole, ma disse solo: — Tornate in ufficio con me, dottor Fiori. Intanto sarete ufficialmente registrato come ospite del Mozzo, e dopo chiamerò una squadra di guardie per scortarvi dalla detenuta. Signora Barton, signor Ames, signor Ng… se aspettate qui qualche minuto, verrà qualcuno a mostrarvi il refettorio e il circolo ricreativo, che saranno in pratica i soli locali in cui potrete recarvi senza un mio permesso scritto. Buona permanenza.

Il dottor Fiori rimase in silenzio mentre percorreva il corridoio curvo, ricoperto da un tappeto grigio, che conduceva al raggio di trasporto. Jase posò il palmo della mano contro la tacca d’identità accanto alla porta circolare, che si aprì come il diaframma di un obiettivo mettendo in mostra il lungo tunnel da trasporto, la pista magnetica che scompariva in direzione del Mozzo, e le nicchie lungo la passerella dove le roboguardie, armate di fucili laser, se ne stavano intervallate, immobili, ciecamente attente. Scesero a piedi la rampa fino al primo carrello.

— Sembrate un pochino ostile — disse il dottor Fiori.

Jase inghiottì parecchie risposte. — Mi sentirò meglio quando comincerete a capire dove vi trovate. La donna a cui volete “essere presentato” è responsabile della morte di più di 1500 persone. Io sono responsabile di voi. Lei è pericolosa e non so come reagirà alla vostra presenza. Nello stesso tempo, non voglio che voi le facciate del male.

Il dottor Fiori lo fissò. Le roboguardie, color oro e grigio metallizzato, diventarono una visione confusa lungo le pareti mentre il carrello correva verso il Mozzo.

— Perché ve ne preoccupate? — chiese infine.

— Non me ne preoccupo affatto.

— Be’, allora…

— C’è qualcosa in tutta questa faccenda — disse Jase in tono burbero — che mi mette decisamente a disagio. Quella donna se n’è stata qui tranquilla nell’Anello Scuro, come un ragno nello spazio, per sette anni. Come mai improvvisamente attira la vostra attenzione? Mi sento a disagio perché a volte ho la sensazione che raramente le cose accadano per caso. Accadono perché un evento tira l’altro, perché l’amore, l’odio, i desideri della gente si sovrappongono costantemente, perché un lavoro incompiuto, per quanto venga dimenticato, chiede sempre di essere portato a termine. Quella donna non dovrebbe trovarsi qui. Tuttavia, visto che ce l’abbiamo messa, dovremmo avere il buon senso di lasciarla in pace. — Balzò fuori appena il carrello si fermò e diede il nome e l’impronta di tutt’e due le mani al controllo d’identità. L’apparecchiatura emise una serie di rapidi toni musicali in segno di conferma, e la porta del Mozzo si spalancò. — Almeno — aggiunse Jase — io la penso così. Il dottore siete voi.

Il dottor Fiori lo seguì, oltrepassando la lunga parete ricurva e opaca al centro del Mozzo, dietro cui il computer principale controllava silenziosamente ogni cosa, dalle roboguardie agli impianti idraulici. L’ufficio di Jase si trovava di fronte alla porta principale della sala computer. Il direttore era abituato alle vivaci luci colorate che sostituivano il panorama esterno, sopra la consolle principale, ma il dottor Fiori le fissò per qualche istante, prima di rispondere.

— Avete opinioni ambigue, sulla detenuta.

Jase sospirò. — Ho opinioni ambigue quasi su tutto, dottor Fiori. Sapete una cosa? Sono troppo vecchio per farmene un problema. — Indicò l’intercom. — Ditegli solo il vostro nome e spiegate a grandi linee il motivo della vostra presenza qui. Quello che conta è lo schema vocale. Serve all’archivio del Mozzo, nell’eventualità che si verifichi una situazione d’emergenza durante il vostro soggiorno. — Alzò gli occhi e vide che l’altro sorrideva. — Cosa c’è di divertente?

— Nulla. — Si lisciò i capelli spettinati. — Sono un po’ stanco. Continuo a dire stupidaggini, e voi continuate a darmi risposte sensate. Penso che se siete interessato alla Macchina dei Sogni o a me o alla detenuta, dovreste venire a vedermi al lavoro.

Jase rimase in silenzio, sorpreso. — Forse lo farò — disse, e rimase sorpreso di nuovo, stavolta di se stesso.

Terra Viridian era seduta in un angolo della sua cella, che faceva parte del vasto alveare di celle costruito nelle enormi pareti dell’Anello Scuro. Il dottor Fiori, circondato da guardie nell’ascensore che portava alle celle esterne, guardò la parete dell’anello con gli schermi individuali che luccicavano delicatamente e che gli fecero venire in mente la bizzarra immagine di uno sciame d’insetti dalle tremule ali trasparenti pronti a spiccare il volo. Terra, dentro la cella, non notava nemmeno più la presenza dello schermo: era semplicemente uno sfondo per le sue visioni.

Linee verticali dense e confuse dietro un fiotto di luce nebbiosa e guizzante… Lo schermo della cella svanì; le dense linee diventarono umane: guardie armate di fucili. Lei le guardò senza interesse; appartenevano a un’altra visione, a un’altra dimensione. La sua mente le rendeva incorporee, linee di colore che potevano venir grattate via dall’aria e scartate.

— Terra. Terra Viridian.

Udì il suo nome come se provenisse da un’altra galassia, attraverso nuvole di polvere e risacche di spazio tenebroso senza stelle. In uno spazio sconosciuto qualcosa riposava. Avvertì i confini indistinti del proprio corpo.

Rispose stancamente, senza battere le palpebre: — Sì.

— Sono il dottor Arturo Fiori. Cercherò di aiutarti. Capisci?

— Sì — rispose con indifferenza. I suoi occhi, enormi, drogati dalla visione, fissarono il grappolo di facce. Le parole potevano provenire da tutte o da nessuna: non aveva importanza. Le stelle presero il posto delle facce. Il sole rosso.

Le facce ritornarono, o forse non erano mai sparite. Le comparve davanti un vassoio di cibo. Qualcuno ne aveva mangiato un pochino. E poi qualcuno si era riposato, sospeso in un silenzio senza tempo, dentro una nebbia ametista.

— Per favore, vieni con me.

Si aspettava un’altra doccia, o un periodo di passeggiata in cerchio. Invece la condussero in luoghi non familiari che si insinuarono con insistenza nei suoi pensieri. Il dottor Fiori le stava parlando. Campi di forza si spensero ammiccando al suo accostarsi, porte d’ascensore si spalancarono. Camminò su o giù o di lato per Averno, cercando di ignorare il dottor Fiori, che parlava di pagnotte. Il pane non faceva parte della visione. Né le porte spalancate, la troppa luce, il troppo movimento, qualsiasi parte dell’altra sua vita quotidiana. Della vita di Terra. Il suo respiro accelerò; poteva sentire il battito del suo cuore. Batté in fretta le palpebre, innervosita, ma le pareti scure continuarono a incombere su di lei; non riuscì a trovare la visione.

— Un linguaggio senza parole — disse il dottor Fiori, e lei rispose immediatamente: — Sì — fermandosi così bruscamente che un fucile le pungolò la schiena. — Sì. — I suoi occhi riacquistarono espressione. Finalmente vide il dottore, un uomo con i capelli ricci e neri più basso di lei. E nello stesso istante ricordò che lei stessa esisteva dentro quel mondo silenzioso infinitamente pieno di curve. Aveva dita, una bocca, un nome. Come aveva fatto a finire lì dentro?

— Il cielo è rosso — borbottò, ricordando.

— Alienata — mormorò una guardia. — Completamente fuori dal mondo.

— Per favore — disse il dottor Fiori. Il fucile le batté sulla spalla.

— Andiamo!

Lei si girò di scatto, terrorizzata dalla lunga camminata, da una libertà a cui non era più abituata. — State per uccidermi? — Le guardie si fusero in un cerchio tutt’attorno, a fucili alzati. Il dottor Fiori si fece strada e le fu a fianco, dentro il cerchio. Per un istante ebbe paura, ma non della donna. Terra se ne accorse, lo capì, tenendolo avvinto nel suo sguardo nebuloso. La voce del dottore era gentile.

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