Frederik Pohl - L'invasione degli uguali

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L'invasione degli uguali: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando viene arrestato dall’FBI con l’accusa di aver spiato un segretissimo laboratorio di ricerca, Dominic DeSota è sbalordito, perché lui in realtà in quel luogo non c’è mai stato. Ma quando gli vengono mostrate fotografie e impronte digitali che provano inconfutabilmente il suo crimine, la vicenda si trasforma in un incubo. Il fatto è inspiegabile, a meno che non si voglia credere alla più pazzesca delle ipotesi, e cioè che esista un altro Dominic DeSota, proveniente da... un mondo parallelo. Ma il problema è che ci sono tanti Dominic DeSota quante le infinite versioni di storia contenute nell’universo, e in una di queste qualcuno ha scoperto il segreto del paratempo, e con esso la possibilità di viaggiare tranquillamente da una dimensione parallela all’altra. Tuttavia, lo sfruttamento indiscriminato del paratempo non può sfuggire alla più semplice legge di compenetrazione, e infatti ogni trasferimento fra diverse linee temporali sta per raggiungere il punto critico, in un crescendo di situazioni bizzarre e affascinanti, dove la Casa Bianca sta addirittura per essere attaccata... dall’esercito degli Stati Uniti di una dimensione parallela. E allora qualcuno dovrà a tutti i costi escogitare una soluzione per evitare che l’intero universo precipiti nel caos.
Con questo nuovo romanzo, Frederik Pohl conferma la sua inesauribile vena, e si lancia in un’emozionante avventura sul tema degli universi paralleli, piena di verve e di ironia.

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— In un certo senso, Ron — gli diedi spago io, — è singolare che un tipo come lei sia riuscita a diventare Agente Capo.

— Perché è una traditrice? Cribbio, Larry! Dove credi che vadano a reclutarli i loro agenti?

— No, volevo dire perché è una donna — precisai.

— Aah! — sospirò. — Be’… — Su quel fatto non poteva ringhiare, come sapevo bene, perché Janie era tutta per i «diritti femminili», qualunque cosa lei intendesse con questo. — Be’ — continuò. — Sia quel che sia, il fatto è che adesso è legata a doppio filo con quella banda di reazionari che governa l’FBI. Gli stessi che ordirono un complotto contro di me anni fa! Gli stessi che hanno le mani in pasta con gli arabi e con quella marmaglia di fondamentalisti del Congresso che…

In quel momento Dominic lo interruppe. E avrei potuto strangolarlo per averlo fatto, perché proprio allora Ron stava dicendo quello che realmente aspettavo di sentirgli dire. Ma lui esclamò: — Anch’io lo dico sempre! Da quando gli arabi e la Lega Morale si sono messi insieme, quella gente ha riportato indietro le lancette dell’orologio. È forse giusto che la polizia aggredisca cittadini innocenti che stanno facendo una nuotata in piscina? È giusto che un uomo senza la parte superiore del costume si veda multato di cinque dollari?

Ron gettò un’occhiata divertita a sua moglie. — Avresti dovuto vederci qualche anno fa a Hollywood, eh, Janie? Uomini e donne in topless, qualche volta. E qualche volta anche senza topless.

— Via, Ron! — arrossì lei. — Parliamo piuttosto dei problemi di Mr. DeSota.

Le sorrisi, grato. — Buona idea. — Poi mi volsi a Ron e misi sul tappeto la domanda: — Che ne pensi, Ron? La cosa è seria, e non coinvolge solo la questione dei diritti civili. Non vorrei che tu corressi dei rischi…

Lui si erse fieramente. — È una faccenda seria — proclamò. — E riguarda i diritti civili. Sarò al tuo fianco, Dominic.

— Farà questo? — esclamò DeSota.

— Naturale — annuì benevolmente lui. — Per prima cosa scriverò una lettera al New York Times. Poi, vediamo un po’, tu che ne dici, Janie? Potremmo tentare di mettere in piedi una dimostrazione? Ad esempio far marciare un po’ delle tue amiche davanti alla sede dell’FBI di Chicago?

— Se credi, Ron — disse lei. — Però alcune di loro sono già state ammonite. Non so se vorranno affrontare la prigione.

Dominic si accigliò, dubbioso. — Non sono certo di volere che qualcuno vada in prigione per me — disse.

— Uhm! — rifletté Ron. — Allora che ne pensi di questo? Scriviamo una petizione. Dominic può prendere dei registri e piazzare una scrivania giù in piazza, e invitare la gente a firmare una petizione rivolta all’FBI in cui si chieda che, uh, che loro… di preciso cos’è che vuoi ottenere da loro? — chiese.

— Be’, non so esattamente — disse Dominic. — Voglio dire, non sono stato messo sotto accusa.

— Ma sei stato interrogato. E ti hanno picchiato brutalmente!

— Sì, certo, ma non è facile biasimarli, del resto. Avevano quelle foto e le impronte digitali.

L’amico stava diventando troppo ragionevole per i miei gusti. E per quelli di Ron. — Stai esponendo il loro punto di vista — osservò Ron. — Dimostri larghezza di vedute, certo, e questo è bene. Ma… giustificarli fino a questo punto è assurdo. Sono dei dannati fascisti.

Ringraziai Dio di quella parola. Mi schiarii la gola. — Quando dici fascisti, Ron — puntualizzai, — intendi che il loro…

— Intendo dire che l’FBI è diventato una copia esatta della Gestapo e del KGB — dichiarò.

— Dunque tu sei contro di loro.

Inarcò un sopracciglio nella mia direzione. — Ah, Larry — disse, servendosi una porzione di agnello arrosto. — Non sono precisamente contro di loro, dico però che ogni americano ha il dovere di resistere loro.

— Vuoi dire mediante dimostrazioni e petizioni.

— Se queste sono sufficienti, sì — affermò orgogliosamente. — Se non lo sono, allora con qualunque altra misura sia necessaria. Io penso…

Ma Janie non gli lasciò dire quello che pensava. — Ron, caro — lo rimproverò dolcemente. — Stai impedendo a Seth di passare le patate. Perché non te ne servi qualcuna e lo lasci proseguire?

— Ma certo, amore mio — disse Ron, e l’argomento fu messo in disparte. Non me la presi. Anzi ero abbastanza soddisfatto. Quando finimmo con le portate principali feci notare che erano già passate le undici, e cominciai a manovrare per levare le tende.

— Oh, no, Ron, niente dessert. No, neppure il caffè, grazie. Domattina presto Dominic dev’essere al lavoro, lo sai. Si, la cena è stata deliziosa, grazie. E grazie per il tuo aiuto, Ron. Ah… se tu ordinassi che mi vadano a prendere l’auto…

— Non avete dimenticato nulla? — chiese amabilmente Janie, guardandosi attorno in cerca di cappelli o borse.

Scossi il capo. — Ho già tutto ciò di cui ho bisogno — la rassicurai, ed era la pura verità.

Lasciai DeSota alla più vicina stazione del tram interurbano. Lui protestò risentito, visto che a quell’ora le uniche corse transitavano all’incirca ogni sessanta minuti, ma, come gli feci notare, io ero già in ritardo, e non poteva pretendere che stessi tutta la notte in giro per scarrozzarlo qua e là. Erano quasi le due quando arrivai al condominio sulla Lake Shore Drive. Lasciai la macchina nel garage sotterraneo, agitai il lasciapassare davanti al portiere notturno ed entrai nell’ascensore. Stavo ripensando a Ron. Povero vecchio ingenuo! Aveva del tutto perso il contatto col sistema politico che era emerso in America. Le sue sciocche e sentimentali cognizioni risalivano ai tempi di Franklin D. Roosevelt e di gente come… bah, io non ricordavo neppure quei nomi. Comunque, semplicemente non capiva come oggi andavano le cose.

Quello che cercavo di non dimenticare mai era che io stesso avrei potuto crescere con le idee un tantino rosse, se nonno Joe si fosse portato dietro i suoi princìpi quando venne in America. Là in Russia era stato un rapinatore di banche e un rivoluzionario. Quando il terreno cominciò a scottargli sotto i piedi s’imbarcò per Ellis Island anche lui, portando nella valigia ciò che restava dei frutti delle rapine ma lasciandosi alle spalle tutte le sue idee rivoluzionarie. Fu così che la Douglas Figli cominciò l’attività. E dalla Douglas Figli era venuto il denaro che mi aveva mantenuto a Yale.

Ma che sarebbe successo se il nonno avesse lasciato alle sue spalle il malloppo, per cercar fortuna nel nuovo mondo armato solo delle stracotte idee rivoluzionarie, come aveva fatto il suo amico Lenin? E come me la sarei cavata io, se quei provvidenziali corsi di scienze politiche a Yale non mi avessero fatto aprire gli occhi?

A passi lunghi mi diressi al grande appartamento-ufficio del 14° piano. All’interno le luci erano spente, ma le tende della larga finestra panoramica, aperte, lasciavano entrare i riflessi delFilluminazione stradale. Mi spogliai e scivolai nel letto a due piazze. Poi passai un braccio attorno alle spalle della mia ragazza, le accarezzai un seno e mordicchiandole un orecchio sussurrai: — Nyla… tesoro?

Come al solito aprì gli occhi di colpo, subito sveglia. La sua voce non suonò neppure troppo secca: — Com’è andata?

— Questo — dissi, cominciando ad accarezzarla anche con l’altra mano, — potrai giudicarlo tu stessa quando avrai sentito quel che c’è nel mio registratore.

Si volse, premendomi il naso contro il collo. — E vuoi farmelo ascoltare?

— Certo, dolcezza, puoi contarci — dissi. — Ma prima c’è un’altra faccenda di cui vorrei occuparmi. La mancanza dei pollici non aveva mai pesato sulle capacità di Nyla Christophe, a letto o altrove.

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