Robert Heinlein - Guerra nell'infinito

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Don Harvey è nato nello spazio, a bordo di un’astronave in caduta libera oltre l’orbita degli asteroidi, da padre terrestre e da madre di cittadinanza venusiana, si ritrova senza patria quando le colonie di Venere decidono di ribellarsi allo sfruttamento della Federazione Terrestre. È la storia della prima guerra cosmica, sullo sfondo di una grande trasformazione del sistema solare, in orbita intorno alla luna si sta costruendo il Cercatore di Orizzonti. La nave interstellare che porterà uomini e donne in un viaggio di centinaia d’anni, generazioni e generazioni su un mondo artificiale, verso altri sistemi stellari; su Marte e su Venere, gli indigeni intelligenti che i terrestri hanno trovato al loro arrivo sui pianeti gemelli ricordano epoche remotissime, nelle quali la Terra, Marte, Venere e i satelliti di Giove facevano parte di un grandioso Impero… Don Harvey, strappato al suoi studi, alla vita che conosceva, dallo scoppio della guerra, sfugge miracolosamente alla distruzione di Circum-Terra, la stazione spaziale che collega la Terra a Luna City e ai pianeti, e finisce su Venere, tra le paludi e le giungle del pianeta nebbioso, braccato da tutti i belligeranti perche, suo malgrado, egli è latore di un messaggio così importante che, da solo, potrebbe cambiare la storia del Sistema Solare.

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«È tutto pronto.»

«Benissimo, amici miei. Cominciamo.»

I due fili furono inseriti in due comuni traduttori per microfili, collegati e disposti in un circuito binario. Seduto al pannello di controllo, per sincronizzare il messaggio nascosto nei due fili, c’era un uomo dall’aria preoccupata, che aveva una cuffia dai grandi auricolari infilata sul capo… il signor Costello. I fili minuscoli d’acciaio cominciarono a scorrere con estrema lentezza… e dall’altoparlante uscì un frastuono stridulo e incomprensibile. Ci furono delle interruzioni rapidissime, e il tutto parve un codice ad alta frequenza.

«Non sono in sincronia,» annunciò il signor Costello. «Riavvolgere.»

Un operatore, seduto di fronte a lui, disse:

«Detesto anche la sola idea di riavvolgere, Jim. Questi fili si spezzerebbero, anche se ci soffiassi sopra.»

«Prova a rompere un filo… e ci penserà Sir Isaac. Riavvolgi!»

«Forse ne abbiamo inserito uno a rovescio.»

«Sta’ zitto e riavvolgi.»

Dopo qualche tempo, i suoni senza senso ricominciarono. A Don parvero incomprensibili come prima, ma il signor Costello annuì.

«Così ci siamo. È stato registrato dall’inizio?»

Don udì l’inconfondibile accento texano di Joe rispondere:

«Tutto a posto!»

«Bene, fate girare, e cominciate a ritrasmettere la registrazione. E voi cercate di rallentare da venti a uno.» Costello abbassò un interruttore; il suono senza senso cessò completamente, benché la macchina continuasse a far girare il suo filo invisibile. Ben presto, una voce umana uscì dall’altoparlante; era profonda, soffocata, strascicata, e quasi inintelligibile. Joe fermò l’apparecchio, e regolò qualcosa, poi la trasmissione ricominciò. Quando la voce riprese, fu una limpida, piacevole e chiarissima voce di contralto, che parlava con estrema lentezza.

«Titolo,» disse la voce. «Appunti sulle Applicazioni Pratiche delle Equazioni di Horst e Milne. Sommano: Parte Prima — Della Progettazione di Generatori per Realizzare una Traslazione Molecolare Libera da Tensioni. Parte Seconda: La Generazione delle Discontinuità Spazio-Temporali, Chiuse, Aperte, e Piegate. Parte Terza: Intorno alla Generazione di Luoghi di Pseudo-Accelerazione Temporale. Parte Prima, Capitolo Primo: Criteri di Realizzazione di Un Semplice Generatore a Sistema di Controllo. Riferendoci all’equazione diciassette dell’Appendice A, si può vedere che…»

La voce continuò a parlare, apparentemente instancabile. Don era interessato a quelle parole, l’intensità dell’attesa era febbrile, ma non riuscì a capire nulla di quanto veniva detto. Si trovò con la testa pesante, vagamente assonnato, quando la voce bruscamente annunciò, con forza:

«Facsimile! Facsimile! Facsimile!»

Costello toccò un pulsante, fermando la voce, e domandò:

«Cellule pronte?»

«Pronte.»

« Passaggio! »

Osservarono il disegno che si formava… un diagramma, decise Don… a meno che non si trattasse di un piatto di spaghetti. Quando l’immagine fu completamente formata, la voce riprese.

Dopo più di due ore di questa litania, interrotta soltanto da rapide osservazioni dei tecnici che controllavano l’andamento della traduzione, Don si rivolse a Isobel:

«Qui non posso fare niente di buono, e una cosa è certa: non imparo niente. Che ne diresti di andare?»

«D’accordo.»

Scesero la rampa, e si diressero verso la galleria che portava agli appartamenti. Lungo la strada s’imbatterono in Phipps, che aveva il volto illuminato da un’espressione di grande felicità Don fece un segno di saluto, e fece per passare oltre; Phipps lo fermò.

«Stavo proprio venendo a cercare lei.»

«Me?»

«Sì. Pensavo che lei volesse questo… come ricordo.» Gli porse l’anello.

Don lo prese, e lo esaminò, con curiosità. C’era una minuscola screpolatura, in una estremità della «H», dove lo smalto era stato sciolto dal solvente. Il circolo che racchiudeva la lettera era una scanalatura vuota, in chiaroscuro, una scanalatura così sottile e minuscola che Don riuscì appena a infilarvi la punta dell’unghia.

«Non le serve più?»

«È stato vuotato completamente. Un giorno lei potrà venderlo a un museo, e ottenere una somma enorme in cambio.»

«No,» disse Don. «Penso che lo consegnerò a mio padre… prima o poi.»

CAPITOLO XVII

ALLA RICERCA DI UN MONDO NUOVO

Don uscì dalle colossali stanze che gli erano state assegnate; le lasciò per i quartieri occupati dagli altri esseri umani. Sir Isaac lo avrebbe lasciato restare fino a quando il Sole non si fosse raffreddato, monopolizzando almeno un acro di spazio abitabile, ma a Don non pareva soltanto stupido, per una persona, occupare delle stanze costruite nelle dimensioni e con l’altezza comuni ai draghi, ma anche non del tutto comodo… tanto spazio aperto aveva il potere di mettere a disagio un uomo avvezzo alla guerriglia, agli spazi racchiusi nelle giungle e negli acquitrini, ai ripari segreti. E ormai da molto tempo Don aveva dovuto sincronizzarsi su quel sistema di vita.

Gli ospiti umani occupavano un appartamento per draghi, dove gli immensi saloni erano stati divisi in cubicoli, grazie a paratie impenetrabili. La ‘piscina’ era comune, e tutti vi facevano una nuotata, e da uno spazio libero era stata ricavata una mensa comune. Don ebbe come compagno di camera il dottor Roger Conrad, un giovane alto e allampanato, con un perpetuo sorriso dipinto sul volto. Don scoprì, con un po’ di stupore, che Conrad era tenuto nella massima considerazione da parte degli altri scienziati.

Vide pochissimo il suo compagno di camera, e anche gli altri… perfino Isobel era occupatissima ad aiutare gli altri. Il gruppo lavorava giorno e notte, con intensità incredìbile, spinto da un’urgenza che a ogni ora si faceva più pressante. L’anello era stato aperto, e gli scienziati possedevano i dati tecnici sui quali lavorare, certo… ma la squadra d’assalto stava orbitando nelle arcane distese degli spazi astrali, lungo una traiettoria che si avvicinava sempre più al rosso globo di Marte. Nessuno sapeva… nessuno poteva sapere… se essi avrebbero potuto ultimare in tempo il loro lavoro… in tempo per salvare i loro colleghi scienziati.

Conrad aveva tentato di spiegare a Don la situazione, una notte, quando era venuto in camera a dormire a un’ora impossibile.

«Qui non abbiamo i mezzi adeguati per realizzare quello che dobbiamo. Le istruzioni sono state elaborate per un’applicazione di tecniche terrestri… o marziane. I draghi fanno le cose in maniera diversa. Noi abbiamo pochissimi materiali adatti, abbiamo pochissime attrezzature adatte, ed è enormemente difficile rimediare quello di cui abbiamo bisogno con quello che i draghi ci possono fornire. L’idea originaria era quella d’installare gli apparecchi… tu conosci quelle piccole ‘cavallette’, i veicoli di cui si servono su Marte per spostarsi?»

«Ho visto delle foto.»

«Neanch’io le ho mai viste direttamente. Come astronavi sono inservibili, naturalmente, ma sono pressurizzate, e abbastanza grandi. Ora noi dobbiamo adattare gli apparecchi a un traghetto.» Un traghetto ultrastratosferico ‘con le orecchie staccate’ — e cioè con le ali per il volo a vela rimosse e portate via — aspettava in una località nascosta, una specie di gola coperta che si trovava nelle vicinanze della dimora di Sir Isaac. Il traghetto avrebbe compiuto il viaggio per Marte… se fosse stato possibile adattarlo. «È un enorme grattacapo, e dobbiamo risolverlo,» aggiunse lo scienziato.

«Be’, possiamo farcela?»

« Dobbiamo , ed è un po’ diverso. Non possiamo rifare i calcoli di progettazione; sarebbe pazzesco, in questo momento. Non siamo in possesso delle macchine adatte, anche se avessimo il tempo per riprogrammare il lavoro… e non abbiamo neanche un minuto da perdere.»

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