Donald guardò il vecchio drago. Una creatura che aveva vissuto per molti secoli… aveva accumulato saggezza attraverso le epoche, da quando la razza umana ancora non si era affacciata alle soglie dello spazio… una creatura aliena, bizzarra, forse mostruosa, secondo i suoi criteri di giudizio, ma intelligente e saggia e antica. La sua mente fu attraversata da una ridda di pensieri… sopra ogni altro, il pensiero che Costello aveva ragione… non esisteva alcun simbolo, nella lingua dei draghi, per definire ‘menzogna’, dato che i draghi, apparentemente, non erano mai arrivati a un’idea simile… oppure non ne avevano mai sentito il bisogno. Sir Isaac avrebbe potuto dire una menzogna? O era così umanizzato, da potersi comportare e pensare come un essere umano? Fissò Sir Isaac, e otto occhi inespressivi, oscillanti al termine dei loro peduncoli, restituirono quello sguardo. Come faceva un uomo a capire quello che un drago pensava?
«Lo chieda a lui!» insisté Costello.
Don non si fidava di Phipps; non poteva, logicamente, fidarsi di Costello… non ne aveva alcun motivo. E Isobel non figurava nello schema.
Ma un uomo doveva fidarsi di qualcuno, prima o poi! Un uomo non poteva andare avanti da solo… nessun uomo l’aveva mai potuto fare, ed era questo il senso dell’esistenza umana… ebbene, se doveva fidarsi di qualcuno, che fosse pure il drago con il quale una volta aveva ‘diviso il fango’.
«Non è necessario,» disse Don, bruscamente. «Ecco.» Si infilò la mano in tasca, estrasse l’anello, e lo infilò sulla punta di uno dei tentacoli di Sir Isaac.
Il tentacolo s’increspò, si curvò intorno all’anello, e lo assorbì nella massa che pulsava lentamente.
« Ti ringrazio, Nebbia-Sulle-Acque. »
CAPITOLO XVI
MULTUM IN PARVO
Donald guardò Isobel, e vide che la sua espressione era sempre solenne, non sorrideva, ma gli parve d’intuire un moto di approvazione in lei. Il signor Costello sedette stancamente sull’altra sedia, e sospirò profondamente, scuotendo il capo.
«Signor Harvey,» dichiarò, dopo un momento; «Lei è un uomo molto ostinato. Le confesso che mi aveva preoccupato.»
«Mi dispiace. Dovevo riflettere.»
«Adesso non conta più.» Si rivolse a Sir Isaac. «Immagino che farò meglio a cercare Phipps. Giusto?»
«Non sarà necessario.» La voce giunse da un punto alle loro spalle; si voltarono tutti… tutti, meno Sir Isaac, che non aveva bisogno di voltare il suo corpo. Phipps era in piedi, sulla porta. «Sono arrivato in tempo per ascoltare la tua ultima frase, Jim. Se avete bisogno di me, sono qui.»
«Be’, sì.»
«Un attimo solo. Ero venuto qui per un altro motivo.» Si rivolse a Don. «Signor Harvey, le devo delle scuse.»
«Be’, non ha importanza.»
«No, mi lasci finire. Non avevo alcun diritto di cercare di convincerla a collaborare con la forza. Non mi fraintenda; noi vogliamo quell’anello… noi dobbiamo averlo a tutti i costi. E intendo discutere, fino a quando non l’avremo ottenuto. Ma sono stato sottoposto a una grande tensione, in questi ultimi tempi, e ho scelto il metodo sbagliato. Una tensione tremenda… è l’unica scusa che posso offrirle.»
«Be’,» disse Don, «Ora che ci penso, anch’io mi trovo nella medesima situazione. Così dimentichiamo tutto.» Si rivolse al suo ospite. «Sir Isaac, posso?» Allungò la mano, verso il tentacolo prensile di Sir Isaac, e tese il palmo. L’anello cadde sulla sua mano; Don lo prese, e lo diede a Phipps.
Phipps lo fissò, con aria attonita, per un momento. Quando sollevò lo sguardo per fissare Don, il giovane si accorse, con sorpresa, che gli occhi dell’uomo erano velati di lacrime.
«Non la ringrazio ora, signor Harvey,» disse. «Perché quando lei vedrà cosa sta per nascere da questo suo gesto, tutto le sembrerà più grande di qualsiasi ringraziamento personale che io possa offrirle. Ciò che questo anello contiene è d’importanza enorme, di vita e di morte, per molte, moltissime persone. Vedrà lei stesso.»
Don fu imbarazzato, di fronte alla nuda intensità delle emozioni di quell’uomo. Lo era sempre, quando vedeva crollare la maschera di durezza, o d’impassibilità, di un’altra persona.
«Posso immaginarlo,» riuscì a dire, in tono un po’ incerto. «Il signor Costello mi ha detto che il messaggio significava una protezione dalle bombe, e il raggiungimento di astronavi più veloci… e l’intuito mi dice che, in prospettiva, io e voi dell’organizzazione ci troviamo dallo stesso lato della barricata; naturalmente, per arrivarci ci vorrà molto tempo… ma spero che l’intuito mi abbia consigliato bene.»
«Bene? Sì, il suo intuito le ha dato un eccellente consiglio… e non si tratta di una battaglia in prospettiva, come lei ha detto, ma di una cosa che avverrà ora , in questo momento! Ora che noi abbiamo questo…» sollevò l’anello. «Abbiamo finalmente l’occasione di combattere per salvare la nostra gente che si trova su Marte.»
«Marte?» ripeté Don. «Un momento… che cosa c’entra Marte? Chi dovrà essere salvato? E da che cosa?»
Apparentemente, la catena dei misteri e delle sorprese non aveva fine, rifletté Don, sempre più sconcertato.
Phipps parve altrettanto sconcertato.
«Eh? Ma non è stato questo a convincerla a consegnare l’anello?»
« Che cosa avrebbe dovuto convincermi?»
«Ma Jim Costello non…»
«Be’, io pensavo, naturalmente, che fossi stato tu a…»
A questo punto il voder di Sir Isaac li interruppe, affermando:
«Signori, apparentemente è stato erroneamente dato per scontato che…»
« Un momento! » esclamò Don. Quando Phipps fece per riaprire la bocca, Don si affrettò a proseguire. «A quanto sembra, questo nostro incontro è nato all’insegna della confusione. E siamo di fronte a un nuovo circolo vizioso. Questa volta, però, sarei lieto che qualcuno volesse chiarire subito la situazione… Cos’è questo discorso a proposito di Marte?»
Costello voleva e poteva chiarire la situazione, e si affrettò a farlo. L’Organizzazione aveva costruito, nel corso di molti anni, nel massimo segreto, un centro di ricerca su Marte. Si trattava del solo luogo del sistema solare nel quale la maggioranza degli esseri umani erano scienziati. La Federazione manteneva sul pianeta rosso soltanto un avamposto, con una ridottissima guarnigione. Marte non era considerato un mondo di qualche importanza strategica o commerciale… ma semplicemente un luogo nel quale degli innocui scienziati potevano scavare tra le rovine e studiare le usanze e le tradizioni dell’antica razza che popolava ancora il pianeta, avviandosi verso una lenta estinzione.
Gli ufficiali della sicurezza dell’I.B.I. avevano dedicato a Marte un’attenzione minima; apparentemente, non ce n’era alcun bisogno. Di quando in quando veniva inviato un ispettore, che poteva essere facilmente trattato, condotto in luoghi privi d’importanza, e annoiato a morte con interminabili visioni di ricerche prive di valore strategico.
Il gruppo esistente su Marte non aveva le colossali facilitazioni reperibili sulla Terra… le mastodontiche macchine cibernetiche, le fonti illimitate di energia atomica, gli acceleratori molecolari a frequenza illimitata, i giganteschi laboratori… ma gli scienziati che lo componevano possedevano la facilitazione più grande che potesse esistere: possedevano la libertà. Le basi teoriche per nuovi sviluppi nello studio della fisica erano state elaborate su Marte; erano nate grazie a uno studio attento delle antiche rovine, e a un’applicazione delle strane documentazioni rimaste dal Primo Impero… quell’antica epoca ormai quasi mitica, nella quale il sistema solare aveva costituito una sola unità politica. Don rimase compiaciuto nell’apprendere che le ricerche dei suoi genitori avevano contribuito ampiamente a raggiungere la conoscenza necessaria per affrontare questa parte del problema. Era noto… o così parevano affermare gli antichi documenti marziani… che le astronavi del Primo Impero avevano viaggiato tra i pianeti, nello spazio siderale, non in viaggi di estenuanti, lunghissimi mesi, e neppure di settimane, ma di giorni.
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