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Poul Anderson: Il viaggio più lungo

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Poul Anderson Il viaggio più lungo

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Il tempio era un’opera egregia. All’interno d’un quadrangolo di muri di basalto guardato da imponenti teste di pietra erano diversi edifici costruiti con il medesimo materiale e coperti con fronde tagliate di fresco, unica cosa viva. Con Iskilip che ci conduceva, sorpassammo alcuni novizi e sacerdoti e giungemmo a una capanna di legno dietro il sanctum. Due guardie erano alla porta, ma si inginocchiarono davanti a Iskilip. L’imperatore fece un gesto brusco con il suo strano scettro.

Avevo la bocca secca e il cuore in tumulto. Mi sentivo pronto all’apparizione di qualsiasi essere, orribile o meraviglioso che fosse, ma quando la porta fu aperta fui stupito di vedere nient’altro che un uomo, e di statura non eccezionale. Una lampada all’interno permetteva di discernere una stanza pulita, austera, ma non scomoda; avrebbe potuto essere l’abitazione di un qualsiasi hisagaziano. L’uomo era vestito d’un semplice perizoma di tessuto vegetale. Aveva le gambe storte e sottili, arti da vecchio, e così era il corpo, ma tuttavia eretto, con la testa canuta orgogliosamente ritta. Di carnagione più scura che i montaliriani, e più chiara che gli hisagaziani, con occhi bruni e una barba sottile, il suo volto era leggermente diverso nei tratti del naso, delle labbra, degli zigomi, da qualsiasi altra razza che io avessi mai incontrato. Ma era umano, e nient’altro.

Entrammo nella capanna, chiudendo fuori i guardiani. Iskilip si dilungò in una cerimonia mezzo religiosa di presentazione, e vidi che Guzan e i principi, per niente compresi di rispetto, si muovevano passando da un piede all’altro. Per il loro rango, erano da tempo abituati a questo genere di riti. Il volto di Rovic era imperscrutabile; s’inchinò davanti a Val Nira, Messaggero del Cielo, e con poche parole spiegò la nostra presenza; mentre parlava, i loro occhi si fissavano e mi resi conto che egli stava valutando l’uomo delle stelle.

— Ecco, questa è la mia casa — disse Val Nira. Parlava per lui l’abitudine e le parole già dette davanti a tanti giovani nobili erano ormai piatte e consunte. Non aveva ancora notato come noi disponessimo di oggetti di metallo, oppure non si rendeva conto di che cosa potevano significare per lui. — Per… quarantatré anni, è giusto, Iskilip? sono stato trattato nel migliore dei modi. E se talvolta son quasi giunto al punto di gridare per la solitudine, questo è quanto ci si può attendere da un oracolo.

L’imperatore si mosse a disagio nei suoi paludamenti. Spiegò: — Il suo spirito lo ha lasciato, ora è solo un uomo in carne e ossa: ecco il segreto che noi manteniamo. Non è stato sempre così. Mi ricordo la prima volta, quando giunse: predisse cose immense, e tutti correvano a vedere con i loro occhi. Ma a un certo punto il suo spirito è tornato alle stelle, e anche l’arma potente che egli aveva con sé si è svuotata della sua forza. Il popolo, però, non ci crederebbe quindi continuiamo a pretendere che sia così, altrimenti si spanderebbe l’inquietudine.

— A minacciare i tuoi privilegi — aggiunse Val Nira in tono stanco e ironico. Poi rivolto a Rovic: — Iskilip era giovane, allora — disse — e la successione al trono imperiale non era facile. Gli diedi la mia influenza ed egli in cambio promise di fare certe cose per me.

— Ho cercato — disse il monarca. — Domanda a tutte le canoe affondate, a tutti gli uomini morti in mare, domanda se non ho cercato. Ma il volere degli dèi era un altro.

— Evidentemente — osservò Val Nira alzando le spalle. — Capitano Rovic, in queste isole sono rari i minerali metalliferi e nessuno è in grado di riconoscere quelli di cui avevo bisogno. E troppo lontano per le canoe hisagaziane. Non nego, Iskilip, non nego che tu abbia cercato… un tempo. — Volgendosi a noi, ci strizzò l’occhio. — Amici miei, questa è la prima volta che degli stranieri sono penetrati tanto a fondo nella fiducia dell’imperatore: siete certi di poter tornare indietro sani e salvi?

— Come, come, come, sono nostri ospiti! — gridarono Iskilip e Guzan, quasi all’unisono.

— E poi — sorrise Rovic — il segreto ci era già in gran parte noto. Anche il mio paese ha dei segreti di questa importanza. Certo, credo che tutto andrà liscio, signor mio.

L’imperatore tremò; con voce rotta mormorò: — Avete davvero, anche voi, un Messaggero?

Cosa? - Val Nira ci guardò a occhi sbarrati per un istante. Sul suo volto il rosso e il bianco si susseguivano incessantemente. Poi si sedette su di una panca e cominciò a piangere.

— Be’, non esattamente — ammise Rovic posandogli una mano sulla spalla scossa dai singhiozzi. — Confesso che nessun vascello celeste ha gettato le ancore a Montalir, ma abbiamo altri segreti e d’altrettanto grande valore. — Io solo, che un po’ conosco i suoi modi, potevo sentire la sua tensione. Dominava Guzan con gli occhi come fa il domatore colla fiera selvaggia e nello stesso tempo parlava a Val Nira con parole gentili. — Se ho capito bene, amico, la tua Nave è naufragata su queste rive ma può essere riparata se solo tu potessi disporre di certi materiali?

— Sì, sì… ascoltatemi. — Balbettando e incespicando nelle parole al pensiero di poter rivedere ancora una volta la sua casa prima di morire, Val Nira cercò di spiegare.

Le implicazioni dottrinali di quello che egli raccontò sono così stupefacenti, addirittura pericolose, che lor signori certamente non vorranno farmi ripeter molto. Non credo però che fossero menzogne; se davvero le stelle sono tanti soli come il nostro, e ciascuna è circondata da pianeti come il nostro, questo demolisce la teoria della sfera cristallina: ma Froad, l’astrologo, quando più tardi seppe di tutto ciò, disse che non pensava che questo avesse relazione con la vera religione. Le Scritture non affermano mai, fra tante cose, che il Paradiso debba trovarsi direttamente superposto al luogo ove nacque la Figlia di Dio: questo era ritenuto soltanto in quei tempi, in cui si credeva che il nostro mondo fosse piatto. Perché mai il Paradiso non potrebbe trovarsi su quei pianeti di altri soli, ove in magnificenza vivono uomini che conoscono le arti e che possono volar di stella in stella con la medesima facilità con cui noi possiamo veleggiare da Lavre all’occidente di Alayn?

Val Nira era convinto che i nostri avi fossero giunti su questo pianeta molte migliaia di anni fa; per venire tanto lontani da ogni mondo umano, dovevano forse fuggire le conseguenze d’un crimine o d’una qualche eresia. La loro nave naufragò e i sopravvissuti ricaddero nella barbarie, e solo lentamente e per gradi i loro successori hanno riguadagnato un po’ di conoscenza. Non comprendo ove questa spiegazione possa contraddire il dogma della Caduta: piuttosto, lo amplifica. La Caduta non coinvolse l’umanità tutta, ma soltanto una piccola parte di essa, questa nostra impura discendenza; gli altri uomini hanno continuato in letizia a prosperare nei cieli.

Ancor oggi il nostro mondo si trova lontano dalle rotte commerciali del popolo del Paradiso, perché sono pochi coloro che hanno interesse a cercar nuovi mondi. Val Nira era fra questi. Aveva viaggiato per mesi e mesi, prima di capitare sul nostro pianeta, dove il castigo colpì egli pure. Qualcosa non funzionò e la sua Nave dovette calare in Ulas-Erkila, e non se ne sollevò mai più.

— Io so qual è il danno — sostenne con fervore. — Non ho dimenticato, come potrei! Non è passato giorno, in tutti questi anni, che non mi ripetessi quello che andava fatto. Un certo motore speciale, nella Nave, ha bisogno di argento vivo. — (Egli e Rovic discussero a lungo prima di mettersi d’accordo su che cosa egli intendesse con quella parola.) — Quando il motore si guastò, atterrai così duramente che i serbatoi esplosero. Tutto l’argento vivo, sia quello che stavo utilizzando, sia quello che tenevo di riserva, fuoriuscì: era in tal quantità che, in quello spazio chiuso e surriscaldato, mi avrebbe avvelenato. Allora fuggii, dimenticando di chiudere il boccaporto. Essendo il ponte inclinato, l’argento vivo se ne uscì dietro a me, e quando potei riavermi dal panico un uragano tropicale aveva spazzato via tutto il fluido metallico. Certo, fu questa malaugurata serie di incidenti la causa della mia condanna all’esilio per la vita. Sarebbe stato più sensato morire!

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