Poul Anderson - Nessuna tregua con i re

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Potremo riposare a San Francisco. La città sarà sicura, con le mura intorno, i cannoni e le macchine degli Espisti a difenderci da un lato e il mare dall’altro. Possiamo rimetterci in forze, riunire gli uomini, far arrivare truppe fresche dallo Stato di Washington e dal Sud via mare. Non è ancora detta l’ultima parola… che Dio ci aiuti.

Chissà se tutto questo avrà una fine.

E poi Jimbo Mackenzie ci verrà a trovare e seduti vicino al camino ci racconteremo quello che abbiamo fatto? O parleremo d’altro… qualsiasi altra cosa? Diversamente sarebbe un prezzo troppo alto da pagare per avere vinto.

Anche se forse non sarebbe un prezzo troppo alto per quello che abbiamo imparato. Degli stranieri sul nostro pianeta… chi altri sarebbe stato in grado di costruire simili armi? Gli adepti dovranno dirci la verità, a costo di farli torturare.

Rammentava le storie che narravano i pescatori nelle baracche quando era un bambino e con il buio arrivavano gli spettri. Prima della catastrofe c’erano innumerevoli leggende sulle stelle, e non erano scomparse. Egli stesso si domandava se sarebbe mai riuscito a guardare il cielo di notte senza avvertire un brivido.

Quella maledetta nebbia…

Un rumore di zoccoli. Danielis afferrò la pistola. Si trattava di uno dei suoi esploratori, che alzò una manica inzuppata d’acqua per salutarlo.

— Colonnello, c’è un contingente nemico molto grosso sulla strada, a circa quindici chilometri da qui.

È arrivato il momento di combattere.

— Ci hanno visto?

— No, signore. Sono diretti a Est, lungo la catena.

— È probabile che intendano occupare le rovine di Candlestick Park — mormorò Danielis. Si sentiva troppo sfinito per provare la benché minima emozione. — Una buona postazione, quella. Bene, caporale. — Si voltò a Lescarbault e impartì degli ordini.

La compagnia si predispose per il combattimento e le pattuglie si avviarono. Quando giunsero le prime informazioni Danielis abbozzò un piano che avrebbe potuto andare bene. Non voleva uno scontro diretto, intendeva solo obbligare gli avversari a farsi da parte e dissuaderli dall’inseguirli. Doveva risparmiare i suoi uomini il più possibile, riservarli per la difesa della città e la controffensiva finale.

Lescarbault tornò indietro.

— Signore! Le interferenze della radio sono finite!

— Cosa? — Danielis si riscosse.

— Sì, signore. Stavo usando un minicom… — Lescarbault sollevò il polso al quale era legata una piccola ricetrasmittente. — Questo minicom per riferire i suoi ordini ai comandanti dei vari battaglioni. Le interferenze sono terminate qualche minuto fa e adesso si sente bene.

Danielis si avvicinò il polso di Lescarbauit alle labbra.

— Pronto, pronto. Carro radio, parla il comandante. Mi sentite?

— Sì, signore — rispose una voce.

— Sono finite le interferenze dalla capitale. Datemi la banda aperta dell’esercito.

— Sì, signore. — Ci fu una pausa. Gli uomini bisbigliavano tra di loro e l’acqua scorreva invisibile nei ruscelli. Un lembo di nebbia passò davanti a Danielis come fumo. L’elmetto gli sgocciolava sul collo e la criniera del cavallo pendeva inzuppata.

Come lo stridere di un insetto.

— …immediatamente qua! Tutte le unità in campo si dirigano subito a San Francisco! Siamo stati attaccati dal mare!

Danielis lasciò andare il polso di Lescarbauit e si mise a fissare il vuoto mentre la voce continuava a gridare senza finire mai.

— …stanno bombardando Potrero Point. Ci sono navi cariche di truppe, forse intendono sbarcare…

La mente di Danielis vagò precedendo le parole. Era come se l’ESP non fosse stato un inganno, come se stesse vedendo di persona quella città tanto amata e sentisse le ferite sulla propria pelle. Non doveva esserci la nebbia sul Golden Gate, altrimenti non sarebbe stato possibile dare una descrizione tanto ricca di particolari. Magari alcuni tentacoli di nebbia giungevano sotto i resti arrugginiti del ponte, candidi come neve contro l’acqua verdeazzurra e il cielo splendente. La maggior parte della Baia doveva essere illuminata dal sole. Sul lato opposto sorgevano le colline dell’Eastbay, verdeggianti di giardini e costellate di ville. Oltre lo stretto, Marin si ergeva contro il cielo guardando i tetti e i muri che formavano San Francisco. Il convoglio era riuscito a passare attraverso quelle difese costiere che in condizioni normali l’avrebbero annientato. E per giunta era un convoglio molto ingombrante e fuori orario: ma era simile alle chiglie panciute con le vele bianche e i fumaioli che da tanto tempo portavano i rifornimenti alla città. Si era parlato di un piccolo scontro con i vascelli dei nemici, poi alla flotta era stato concesso di entrare nella baia, dove San Francisco non aveva mura di protezione. Solo allora i cannoni erano stati scoperti e dalle stive erano usciti uomini armati.

È vero, le golette pirata si sono impossessate di un convoglio. Hanno sfruttato le interferenze radio per soffocare ogni avvertimento. Hanno buttato a mare i nostri rifornimenti e hanno portato a bordo i soldati dei padroni. Qualche traditore gli ha rivelato i segnali di riconoscimento e le porte della città gli si sono spalancate davanti. Con pochissimi uomini in difesa e con la Centrale Espista quasi priva di adepti… e mentre le truppe del Comando della Sierra premono da Nord… Laura è senza di me.

— Stiamo arrivando! — urlò Danielis. I suoi uomini si misero in marcia dietro di lui. Con una feroce disperazione penetrarono tra le file nemiche e si dispersero in piccoli gruppi. Nella nebbia si combatteva con le sciabole e i coltelli, ma Danielis era già stato colpito al petto da una granata.

Nella zona portuale e tra i ruderi del muro della penisola permaneva qualche combattimento sporadico. Dirigendosi a cavallo verso un punto più elevato Mackenzie osservò che quelle zone erano rese quasi invisibili dal fumo: solo il vento permetteva di intravvedere le macerie che un tempo erano state case. Gli arrivava ancora il crepitare degli spari. Per il resto la città era intatta, con i suoi tetti e i suoi muri bianchi incastrati in una ragnatela di strade, con i campanili che si stagliavano nel cielo come alberi di una nave, con il Palazzo Federale e la Torre di Guardia. Tutto era come nei suoi ricordi da bambino. La bellezza della baia era addirittura insolente.

Ma lui non aveva tempo per ammirarla, né tantomeno per pensare a Laura. L’attacco ai Twin Peaks si doveva svolgere in fretta, perché certamente la Centrale degli Espisti si sarebbe difesa.

Sul versante opposto alle due grosse gobbe, Speyer avanzava alla testa di metà dei Sassi Rotolanti. Yamaguchi giaceva sulla spiaggia trivellata dalle esplosioni e Mackenzie guidava di persona la rimanente metà. Attraversarono Portola, che presentava alla loro vista tutte le ville e le finestre sbarrate. I cavalli scalpitavano, i cannoni rombavano e cigolavano e si poteva sentire il battito degli stivali sull’asfalto e il tintinnio delle armi, nonché il respiro pesante dei soldati. I Corpi Antimalocchio fischiettavano contro i demoni. Ma su tutto quel frastuono imperava il silenzio. A Mackenzie venne da pensare a quella volta in cui si era trovato in un corridoio senza uscita. Anche se non si difenderanno, dobbiamo fare in fretta a prendere la Centrale, per evitare che i nostri nervi crollino , pensò stordito.

La strada prese a salire tortuosamente sulla destra e le case terminarono. Le colline erano coperte solo dall’erba incolta fino alla cima sulla quale sorgevano le costruzioni vietate ai non iniziati. Erano due grattacieli altissimi e iridescenti, simili a zampilli di fontane. Erano stati costruiti di notte, nel giro di poche settimane. Mackenzie sentì un suono simile a un gemito alle sue spalle.

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