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Poul Anderson: Nessuna tregua con i re

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Poul Anderson

Nessuna tregua con i re

Antiche e intoccabili stanno… stanno
le Trombe!
Ancora le Trombe, perché il tremore
abbrividente della terra
rumoreggia sull’oceano delle aspre,
implacabili Trombe…
Le Trombe dell’Avanguardia che hanno
giurato: nessuna tregua con i re!

RUDYARD KIPLING

— Una canzone, Charlie! Cantaci qualcosa!

— Dai, Charlie!

Dentro la mensa erano tutti ubriachi e gli ufficiali di grado più basso, in fondo al tavolo, facevano addirittura più chiasso dei loro superiori che circondavano il colonnello. Neppure i tappeti e i drappeggi riuscivano ad attenuare il frastuono che riecheggiava tra le pareti di pietra, provocato dalle grida, dagli stivali, dai pugni pestati sulla quercia, dal tintinnare delle tazze innalzate nei brindisi. Le bandiere del reggimento, appese in alto alle travi nascoste nell’ombra, si muovevano nella corrente come per prendere parte a quel caos, mentre le lanterne sui loro ganci e le fiamme nel camino illuminavano ammiccanti le armi e i trofei.

A Echo Summit l’autunno è precoce e fuori dall’edificio imperversava la tempesta. Il sibilo del vento tra le torri di guardia e gli scrosci di pioggia nei cortili creavano un sottofondo invadente. In quella notte del diciannove settembre, sembrava veramente che i morti usciti dal cimitero stessero cercando la strada per arrivare alla festa, come voleva la leggenda. Ma nessuno ci pensava nella mensa, e neppure nelle camerate, fatta eccezione per il maggiore. La Terza Divisione, detta dei Catamounts o dei Leopardi, era nota come la più scalmanata dell’intero esercito degli Stati Americani del Pacifico. Il reggimento dei Rolling Stones , poi, era il più scatenato di tutti.

— Forza ragazzo, inizia! Sei l’unico che canta decentemente nell’arco di tutta questa maledetta Sierra — urlò il colonnello Mackenzie. Sbottonandosi il colletto della giubba nera si rilassò sulla sedia a gambe larghe, con la pipa in una mano e un whisky nell’altra. Era tozzo e con due occhi azzurri attorniati da una rete di rughe. Sul volto segnato spiccavano dei baffi rossi e aggressivi che contrastavano con i cortissimi capelli grigi.

— Charlie è quello che preferisco, quello che preferisco, quello che preferisco — cantilenò il capitano Hulse. Il chiasso si attenuò un poco e il giovane tenente Amedeo si alzò in piedi sogghignando e intonando una canzone ben nota a tutti.

«Sono un leopardo e son guardiano di frontiera,
e appena esco, il freddo mi ghiaccia la…»

— Scusi, signor colonnello.

Mackenzie si volse a guardare il sergente Irwin e la sua espressione lo sconvolse.

— Sì?

«Sono un eroe, decorato sul campo,
ornato anche della Lancia Purpurea!»

— È arrivato un messaggio, signore. Il maggiore Speyer desidera parlare subito con lei.

Detestando l’idea di ubriacarsi, il maggiore Speyer si era offerto per il turno di notte, al contrario degli altri che avevano tirato a sorte. Mackenzie riandò con la mente alle ultime novità da San Francisco e gli vennero i brividi.

Intenti a sbraitare il ritornello, gli ufficiali presenti nella mensa non si accorsero neppure che il colonnello aveva vuotato la pipa e si era alzato in piedi.

«Bum-bum-bum fanno i cannoni,
sibilano i razzi, fischiano le frecce,
non c’è posto fra i morti… Oh, cielo!
Voglio tornare dalla mia mamma!
(Hey, doodle dee day!)»

Tutti i Leopardi con la testa a posto sostenevano di ottenere migliori risultati loro quando erano ubriachi fradici che le altre divisioni da sobrie. E infatti il colonnello ignorò l’alcool che gli scorreva nelle vene e si diresse deciso verso la porta, prendendo con un gesto automatico la pistola. Le note della canzone lo accompagnarono lungo il corridoio.

«Nel rancio i vermi sono a decine.
Mordi un po’ un panino, e quello morde te!
Il caffè è purissima melma di Sacramento,
il sugo pare sangue sparso in battaglia.
(Coo-oro!)
Bum fa il tamburo! Oh-oh, come rimbomba!
E la tromba sembra quella degli angeli… »

In corridoio le luci erano molto distanziate tra di loro. I quadri dei precedenti comandanti fissavano i due uomini con occhi nascosti nelle tenebre. I passi riecheggiavano fastidiosamente.

«Ho una freccia proprio nel sedere,
su, dietro front, compagni, facciamogliela pagare!
(Hey, doodle dee day!)»

Il colonnello oltrepassò i due pezzi del bottino di Rock Springs, guerra del Wyoming nella generazione precedente, che fiancheggiavano la scala e salì. In quel forte le distanze andavano sempre al di là delle sue possibilità fisiche. Del resto si trattava di una vecchia fortezza situata in un punto chiave dei confini della nazione e si era ingrandita con il passare dei secoli. Era massiccia e impastata con il granito della Sierra. Contro le sue mura si erano scontrati numerosi eserciti prima che sulle paludi del Nevada scendesse la pace e ancora di più erano stati quelli che ne erano partiti per andare incontro alla morte in mezzo a popoli sconosciuti e crudeli… troppi da ricordare.

Ma ancora nessuno l’ha assalita da Ovest. Questo glielo puoi risparmiare, Dio, chiunque tu sia!

L’ufficio del comando era deserto, quello del sergente Irwin immerso nel silenzio: nessun rumore di penne, nessun portaordini che andava avanti e indietro, nessuna donna che attendeva di essere ricevuta dal colonnello per qualche problema del Villaggio e colorava l’ambiente con i suoi vestiti. Quando aprì la porta del suo ufficio Mackenzie sentì il vento ululare. La pioggia scrosciava sui vetri scuri creando dei veri e propri torrenti che alla luce delle lanterne parevano di metallo fuso.

— È arrivato il colonnello, signore — disse Irwin con voce incerta. Deglutì e richiuse la porta.

Speyer aspettava in piedi, vicino alla scrivania. Il mobile era vecchio e in cattivo stato; vi erano appoggiati sopra solo pochi oggetti: un calamaio, un cestino per la posta, un citofono e una fotografia di Nora ormai sbiadita dal tempo (erano passati ben dodici anni dalla sua morte). Mackenzie osservò il maggiore. Aveva una figura allampanata, con il naso aquilino e un’incipiente calvizie e la sua uniforme era sempre sgualcita… ma possedeva la mente più acuta di tutti i Leopardi. Nessun altro poteva aver letto quanto lui! Più che il suo aiutante, Phil era il suo più importante consigliere.

— Allora? — chiese. L’alcool non lo disturbava, anzi lo rendeva più lucido. Avvertiva l’odore caldo delle lanterne — chissà quando avrebbero avuto delle lampade elettriche! — e la durezza del pavimento. Sentì il freddo che la stufa non riusciva a scacciare e notò persino una crepa nella parete a Nord. Per apparire spavaldo infilò i pollici nella cintura e iniziò a dondolarsi. — C’è un altro guaio, Phil?

— È arrivato un telegramma da Frisco — rispose Speyer porgendogli un foglio di carta con il quale aveva giocherellato fino a quel momento.

— Perché non hanno usato la radio?

— Per non essere intercettati. Questo telegramma è addirittura in codice. Lo ha decifrato Irwin.

— Ma cosa significa tutto ciò?

— Guardalo un momento, Jimbo, e lo capirai. È indirizzato proprio a te. Viene dal Quartier Generale.

Mackenzie cercò di concentrarsi sugli scarabocchi di Irwin. Lesse le formalità di rito e poi…

«Con la presente la informiamo che il Senato degli Stati del Pacifico ha approvato con la prescritta maggioranza la messa in stato di accusa di Owen Brodsky, Giudice degli Stati Americani del Pacifico, e lo ha privato della sua carica. In base alla Legge di Successione, dalle ore venti di oggi viene riconosciuto Giudice degli SAP il vice Humphrey Fallon. A causa della presenza di pericolosi dissidenti il Giudice Fallon si è visto costretto a proclamare la legge marziale su tutta la nazione, che entrerà in vigore a partire dalle ore ventuno di oggi. Pertanto le vengono notificate le seguenti normative:

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