Poul Anderson - Nessuna tregua con i re
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- Название:Nessuna tregua con i re
- Автор:
- Издательство:Fanucci
- Жанр:
- Год:1974
- Город:Roma
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— Va bene. — Mackenzie tornò dalle sue truppe. Speyer fece un cupo cenno di assenso.
— Conviene tenerci pronti, vero?
— Uh-uh. — Il colonnello si mise a impartire ordini a tutti gli ufficiali che gli si avvicinavano. I reparti più avanzati dovevano retrocedere. Bisognava difendere la spiaggia e le prime alture.
I soldati si muovevano veloci, i cavalli nitrivano, i cannoni rotolavano pesantemente. L’aereo da ricognizione fece ritorno, abbassandosi quel tanto necessario per stabilire un contatto. Non c’era alcun dubbio: il nemico stava per attaccare. Era difficile quantificarne le forze, perché i suoi movimenti erano protetti dagli alberi e dai fiumi in secca, ma poteva esserci anche un’intera brigata.
Mackenzie si collocò su un’altura insieme allo Stato Maggiore e ai messaggeri. Ai suoi piedi si spiegò parte dell’artiglieria e dietro di essa aspettavano i cavalleggeri con le lance scintillanti, affiancati da un gruppo di fanti. Gli altri erano scomparsi. Dal mare giungevano le prime cannonate e i gabbiani iniziarono a radunarsi, come prevedendo che ci sarebbe stata molta carne di lì a poco.
— Pensi che potremmo fermarli? — domandò Speyer.
— Certamente! — rispose Mackenzie. — Se arrivano lungo la spiaggia liquideremo in breve la loro prima linea. Se invece vengono dall’interno… questo posto è adatto a una difesa da manuale. Logicamente se altre unità riuscissero a sconfiggere le truppe dell’entroterra rimarremmo isolati. Ma non è il caso di preoccuparsi, per ora.
— Forse credono di poterci aggirare e attaccare da dietro.
— Sono d’accordo con te. Ma non credo che sia un’idea brillante. Possiamo raggiungere Frisco sia avanzando che retrocedendo.
— A meno che la guarnigione che la difende rischi una sortita.
— Sarebbe la stessa cosa. Numericamente le forze sono pari, ma noi abbiamo più munizioni e più alcool. E possiamo contare sulle milizie dei padroni, avvezze alla guerriglia sui terreni collinosi.
— Se riuscissimo a spazzarli via…
— Vai avanti — lo incitò Mackenzie.
— Niente.
— Accidenti! Stavi per dire quello che succederà dopo. Come faremo a conquistare la città senza che ci siano troppi morti da entrambe le parti? Bene. Abbiamo un asso nella manica che potrebbe fare al caso nostro.
Speyer guardò altrove, impietosito. Sull’altura calò il silenzio.
Dovette passare un tempo interminabile prima che il nemico apparisse. Le prime a comparire furono le avanguardie a cavallo tra le dune, poi il grosso delle truppe si riversò giù dalle colline, fuoriuscì dai canali e dai boschi. Intorno a Mackenzie era un incrociarsi di rapporti. Si trattava di un contingente numeroso ma con poca artiglieria e a corto di carburante. Per spostarsi dovevano dipendere quasi esclusivamente dagli animali. La loro intenzione di attaccare era evidente: avrebbero accettato anche delle pesanti perdite pur di falciare con le sciabole e le baionette i Sassi Rotolanti. Mackenzie impartì nuovi ordini.
I nemici si schierarono a poco più di un chilometro di distanza. Guardando con il binocolo il colonnello riconobbe le fusciacche rosse del Madera Cavalleria e l’insegna verde e oro dei Dagos che si agitava nel vento salmastro. Un tempo erano stati suoi compagni. Gli pareva quasi un tradimento adesso sfruttare la conoscenza delle tattiche preferite da Ives contro lui stesso… Un’auto blindata e qualche pezzo leggero, da campagna, tirato da cavalli scintillavano sinistramente nel sole.
Le trombe squillarono. I cavalleggeri di Fallon misero le lance in resta e partirono al trotto. Avanzando acquistarono velocità, finché il terreno tremò sotto il loro galoppo. A quel punto partì la fanteria, fiancheggiata dai cannoni, mentre l’auto blindata avanzava ondeggiante tra la prima e la seconda linea dei fanti. Era strano: non c’era un lanciarazzi sopra la macchina, e dalle feritoie non sporgevano le mitragliatrici. Erano dei bravi soldati, pensò Mackenzie, e procedevano in ordine serrato come si addiceva a dei veterani. Non riusciva a pensare a quello che sarebbe accaduto a momenti.
I suoi uomini attendevano, fermi sulla sabbia. Dalle colline, dove si erano appostati i fucilieri e i mortai, giunsero i primi colpi. Un cavalleggero cadde a terra, un fante si premette il ventre con le mani e si lasciò andare in ginocchio. I loro compagni tapparono i vuoti. Mackenzie fissò i suoi obici. Gli uomini aspettavano, tesi. Lasciamoli venire a tiro… Adesso! Yamaguchi, fermo a cavallo dietro gli artiglieri, sguainò la sciabola abbassandone la lama. Il cannone tuonò schizzando fumo e fuoco. La sabbia si sollevò e i proiettili piovvero sugli avversari protesi all’attacco. Gli artiglieri ricaricarono immediatamente, puntarono, spararono: tre colpi al minuto. I nemici cadevano e i cavalli nitrivano aggrovigliati nelle loro stesse budella. Ma non erano molti i morti. I cavalleggeri del Medea continuavano ad avanzare al galoppo. Erano ormai tanto vicini che Mackenzie con il binocolo inquadrò un volto nelle prime file, rosso e ricoperto di lentiggini, un giovane mandriano con il volto distorto dal dolore.
Entrarono in azione gli arcieri, schierati dietro i cannoni. Le frecce sibilarono nel cielo più veloci dei gabbiani e descrivendo una parabola precipitarono verso terra. L’erba della collina e i boschetti di querce erano assaliti dal fumo. Sulla sabbia erano caduti degli uomini ancora in vita che si dimenavano orribilmente, simili a insetti calpestati. L’artiglieria di sinistra del nemico si fermò, si girò, rispose al fuoco… era inutile… che coraggio quell’ufficiale! Mackenzie notò che le prime linee ondeggiavano. I suoi cavalleggeri e i suoi fanti li avrebbero distrutti con un solo attacco.
— Prepararsi all’assalto — disse nel minicom. Subito tutti furono pronti.
L’auto blindata del nemico rallentò e si fermò. Al suo interno si udì un tintinnio tanto intenso che si poteva sentire nonostante le esplosioni.
La collina più vicina si ricoprì di una cortina biancoazzurra che costrinse Mackenzie a chiudere gli occhi abbagliato. Quando li riaprì distinse a fatica un fuoco d’erba. Un soldato si gettò fuori dal riparo urlando, ricoperto dalle fiamme. Cadde a terra e si rotolò nella sabbia. Contemporaneamente un’ondata terrificante si mangiò la spiaggia e si schiantò contro la collina con la sua cresta alta sei metri. Il soldato in fiamme e i suoi compagni scomparvero.
— Un’esplosione psi! — gridò qualcuno orribilmente tra la confusione e le vibrazioni della terra. — Gli Espisti…
Incredibilmente, si udì una tromba e la cavalleria della Sierra avanzò. Oltrepassò la linea dei propri cannoni e piombò sugli avversari che si sparpagliarono… cavalli e cavalieri vennero sollevati da terra e furono attratti in un vortice invisibile ed enorme. Quindi precipitarono al suolo con un terribile schianto. I cavalieri arretrarono, si voltarono su se stessi e scapparono dovunque gli capitasse.
L’aria si colmò di un ronzio pauroso. Mackenzie si sentiva avvolto da una foschia strana. Gli pareva che il suo cervello fosse scosso dentro la scatola cranica. Un secondo bagliore accecante arrivò dalle colline, ancora più alto, e arse vivi i soldati.
— Ci spazzeranno via — urlò Speyer. La sua voce giungeva a scatti. — Approfitteranno del fatto che siamo tutti sparpagliati per riordinare le file…
— No! — gridò Mackenzie. — Gli Espisti devono trovarsi sull’auto blindata. Vieni!
La maggior parte dei cavalleggeri si era ripiegata su se stessa in mezzo a una tremenda confusione. La fanteria stava immobile, ma pronta a darsi alla fuga. Un’occhiata a destra permise a Mackenzie di notare che il caos regnava anche tra i nemici: era stata una terribile sorpresa anche per loro. Ma non appena compresa la situazione avrebbero attaccato di nuovo e non ci sarebbe stato più modo di fermarli… Spronò il cavallo senza neppure rendersene conto. L’animale fece resistenza. Era tutto ricoperto di schiuma e in preda al panico. Mackenzie lo obbligò a voltarsi con la forza, affondando gli speroni. Scesero a precipizio la collina diretti ai cannoni.
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