Samuel Delany - Il tempo considerato come una spirale di pietre semipreziose
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- Название:Il tempo considerato come una spirale di pietre semipreziose
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- Год:1978
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— Credo che non ti fidi di me — disse Maud.
Il mio sguardo le confermò che aveva ragione.
— Hai mai avuto a che fare con gli stupefacenti? — mi chiese all’improvviso.
Aggrottai la fronte.
— No. Parlo sul serio. Voglio cercare di spiegarti qualcosa… Un’informazione che potrebbe rendere la vita più facile a tutti e due.
— Marginalmente — dissi io. — Sono sicuro che hai già tutte le informazioni nel tuo archivio.
— Io ci ho avuto a che fare assai più che marginalmente, e per parecchi anni — disse Maud. — Prima di entrare nel Servizio Speciale, ero nella Divisione Stupefacenti del Servizio Regolare. E quelli con cui avevamo a che fare per ventiquattro ore al giorno erano drogati, spacciatori di droga. Per prendere i grossi dovevamo fare amicizia con i piccoli. Per prendere quelli più grossi ancora, dovevamo fare amicizia con quelli grossi. Dovevamo seguire gli stessi orari, parlare lo stesso linguaggio, vivere per mesi nelle stesse strade, nello stesso caseggiato. — Si scostò dalla ringhiera per lasciar passare un giovane. — Per due volte, mentre ero nella squadra stupefacenti, dovetti andare a farmi disintossicare: ero diventata morphadinomane. E io me la cavavo meglio di tanti altri.
— Cosa vorresti dire?
— Solo questo. Adesso tu e io ci muoviamo negli stessi ambienti se non altro per le nòstre rispettive professioni. Resteresti sorpreso, se sapessi quante conoscenze abbiamo già in comune. Non restarci male, quando c’incontreremo in Sovereign Plaza a Bellona, un giorno o l’altro, e poi, due settimane dopo, ci troveremo a pranzo nello stesso ristorante a Lux, su Giapeto. Sebbene gli ambienti in cui ci muoviamo si estendano sui vari mondi, sono gli stessi, e non sono molto grandi.
— Andiamo. — Non credo che la mia voce avesse un tono di letizia. — Permettimi di offrirti il gelato. — Tornammo indietro lungo la passerella.
— Sai — disse Maud — se resti fuori dalle grinfie dei Servizi Speciali qui e sulla Terra per un tempo sufficiente, finirai per ritrovarti con un grosso reddito in continuo aumento. Magari ci vorrà qualche anno, ma è possibile. Non abbiamo motivo d’essere nemici personali. Può darsi che un giorno tu raggiunga il punto in cui i Servizi Speciali non ti giudicheranno più una preda interessante. Oh, continueremo a vederci, a incontrarci per caso. Noi riceviamo una quantità d’informazioni. E siamo anche in grado di aiutarti, capisci.
— Hai consultato di nuovo gli ologrammi.
Maud scrollò le spalle. Il suo volto era decisamente spettrale, sotto la luce pallida del pianeta. Quando raggiungemmo le luci artificiali della città disse: — Recentemente ho incontrato due amici tuoi, Lewis e Ann.
— I Cantori?
Lei annuì.
— Oh, in verità non li conosco molto bene.
— Sembra che loro conoscano bene te. Forse tramite l’altro Cantore, Hawk.
— Oh — feci di nuovo io. — Ti hanno detto come sta?
— Ho letto che stava guarendo, circa due mesi fa. Ma da allora non ho saputo più niente.
— Anch’io non ne so di più — dissi.
— L’unica volta che l’ho visto — disse Maud — è stato dopo che l’ho tirato fuori.
Arty e io eravamo usciti dall’atrio prima che Hawk avesse finito. Il giorno dopo, dai newstape, avevo appreso che, quando il suo Canto era finito, si era tolto il giubbotto, si era sfilato i calzoni, ed era rientrato nella vasca.
I vigili del fuoco si erano risvegliati di colpo; la gente aveva cominciato a correre e a urlare; lui era stato ripescato, con il corpo ricoperto al settanta per cento di ustioni di secondo e terzo grado. Io avevo sempre cercato di non pensarci.
— Lo hai tirato fuori tu ?
— Sì. Ero a bordo dell’elicottero atterrato sul tetto — disse Maud. — Pensavo che saresti rimasto molto colpito nel vedermi.
— Oh — dissi. — E come l’hai tirato fuori?
— Dopo che ve ne siete andati, il Servizio di Sicurezza di Arty è riuscito a bloccare gli ascensori al di sopra del settantunesimo piano, perciò siamo arrivati nell’atrio quando voi eravate già fuori. È stato allora che Hawk ha tentato di…
— Ma sei stata proprio tu a salvarlo?
— I vigili del fuoco della zona non avevano più visto un incendio da dodici anni! Non credo che sapessero neppure usare l’attrezzatura. Ho dato ordine ai miei ragazzi di buttare gli schiumogeni nella vasca, poi mi sono tuffata e l’ho trascinato fuori…
— Oh — dissi ancora. Ce l’avevo messa tutta, in quegli undici mesi, e c’ero quasi riuscito. Non ero stato presente, quando era accaduto. Non era affar mio. Maud stava dicendo: — Credevamo che lui potesse darci qualche indicazione su di te. Ma quando l’ho tirato fuori, era completamente andato, una massa di piaghe aperte…
— Avrei dovuto saperlo che anche il Servizio Speciale si serve dei Cantori — dissi. — Lo fanno tutti. Oggi la Parola cambia, no? Lewis e Ann non ti hanno detto qual è la nuova?
— Li ho visti ieri, e la Parola cambierà solo fra otto ore. E poi, a me non l’avrebbero detta comunque. — Mi diede un’occhiata e si rannuvolò. — Davvero.
— Prendiamo qualcosa — dissi. — Parleremo del più e del meno, e ci ascolteremo attentamente l’un l’altro, ostentando un’aria di noncuranza: tu cercherai di captare qualcosa che ti renda più facile pescarmi, io cercherò di scoprire se ti lasci sfuggire qualcosa che mi renda più facile sfuggirti.
— Uh-uh. — Maud annuì.
— Perché mi avevi abbordato in quel bar, comunque?
Occhi di ghiaccio: — Te l’ho detto, ci muoviamo negli stessi ambienti. È logico che ci capiti di trovarci nello stesso bar, la stessa sera.
— Immagino sia una di quelle cose che io non debbo sapere, eh?
Il suo sorriso era adeguatamente ambiguo. Non insistetti.
Fu un pomeriggio molto noioso. Non saprei ripetere una sola frase delle tante sciocchezze che ci scambiammo davanti alle montagne di panna montata coronate da ciliegine. Impegnammo tanta energia nel fingere di divertirci che, credo, nessuno dei due riuscì a trovare il modo di captare qualcosa di significativo, ammesso che ci fosse.
Lei se ne andò. Io restai lì ancora un poco, a pensare alla fenice carbonizzata.
L’amministratore del Glacier mi chiamò in cucina per chiedermi di una spedizione di latte di contrabbando (The Glacier produce direttamente i suoi gelati) che ero riuscito a organizzare durante il mio ultimo viaggio alla Terra (è sorprendente notare che vi sono stati pochissimi progressi nell’allevamento delle vacche da latte, negli ultimi dieci anni; era stato vergognosamente facile fregare quel vecchio allevatore rimbecillito del Vermont) e sotto le luci bianche e le grandi gelatiere ruotanti di plastica, mentre io cercavo di assestare le cose, lui fece qualche commento sull’Heist Cream Emperor: e questo non servì a niente.
Quando arrivò la solita folla degli avventori della sera, e il moog faceva musica e le pareti di cristallo sfolgoravano; e gli artisti — un’aggiunta nuova nuova di quella settimana — si erano convinti a esibirsi comunque (un baule di costumi era andato perso durante la spedizione, o rubato, ma questo non glielo avrei certo detto), io personalmente, mentre mi aggiravo fra i tavoli, sorpresi una ragazzetta, chiaramente stordita dalla morphadina, che cercava di sfilare il portafoglio di un cliente — mi limitai ad afferrarle il polso, costringendola a mollare la presa, e l’accompagnai alla porta, gentilmente, mentre lei sbatteva le palpebre e mi guardava con gli occhi dilatati, e il cliente non s’era accorto di nulla — e gli artisti decisero, che diavolo, di fare il loro numero au naturel , e tutti si divertivano come matti, ma io mi sentivo veramente giù.
Uscii, sedetti sui gradini, e ringhiai quando dovevo spostarmi per lasciare entrare o uscire la gente. Verso il settantacinquesimo ringhio, la persona contro cui ringhiai si fermò e disse con voce tonante: — Sapevo che l’avrei trovato, se avessi cercato abbastanza a lungo! Voglio dire, se l’avessi cercato davvero.
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