Edmund Cooper - Uomini e androidi

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Uomini e androidi: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel sottosuolo vicino a Londra viene scavato un immenso magazzino dove, grazie a opportuni accorgimenti, potranno essere conservati enormi quantitativi di generi alimentari. Lo scopo dell’impresa è quello di preservare le scorte di cibo da un inquinamento radioattivo, nel caso che si scateni una guerra atomica. Dei lavori si è interessato l’ingegnere John Markham. Così, quando viene segnalata una irregolarità negli impianti elettronici, è Markham a scendere nei sotterranei per un controllo. A un tratto, una scossa violentissima, seguita da altre, poi un crollo improvviso. L’ingegnere pensa a un terremoto o a un errore di costruzione. Comunque, lì vicino c’è una delle tante nicchie col telefono collegato all’esterno. Vi arriva scavalcando i detriti, ma l’apparecchio non funziona. Be’, si tratterà di aspettare un po’. Fuori si accorgeranno che è successo qualcosa e scenderanno a cercarlo. E deve proprio essere andata così perchè Markham, adesso, è in un lettino. Si sente un po’ debole ma è sano e salvo. Però ha freddo. Molto freddo. E quella donna che si china su di lui è Katy! No, non è lei. Ma Dio Santo come le assomiglia. E quello strano dottore che dice cose tanto strampalate... Insomma, affrettatevi a leggere questo romanzo per poter dire a John Markham dove esattamente si trova e cosa gli è successo.

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Marion-A era programmata per servirlo, ma solo fi­no a che lui si fosse conformato ai canoni accettati di condotta. Il che era soltanto un altro modo di dire che l’androide era programmata prima di tutto negli interessi della Repubblica, e in secondo luogo in quel­li di Markham.

Ma se, per esempio, l’ordine delle due lealtà poteva essere sovvertito? Un pensiero affascinante e fantasti­co, questo.

A mano a mano che i giorni passavano, Markham si dedicava sempre più a Marion-A. Dapprima decise di esplorare i limiti della conoscenza dell’androide, e ri­mase ammirato, se non addirittura umiliato, da quel­lo che trovò. Scoprì che, per quanto concerneva i fatti, Marion-A era un’enciclopedia ambulante. Però, nel campo delle possibilità e delle implicazioni, in quel mondo insostanziale di ombre e di simboli, Marion-A non raggiungeva nemmeno l’intuizione, la fantasia, l’intelligenza di un bambino medio.

Sapeva tutto sulla velocità della luce, sulla storia universale, sull’evoluzione della vita, sulle onde meccaniche e via dicendo. Ma sebbene sapesse che una ro­sa, o un brano di musica, o un tramonto, potessero es­sere belli per la vista umana, non capiva perché lo fossero, né aveva alcuna nozione sulla natura della bellezza, o della felicità, o dell’amore.

Markham non seguì un piano preordinato nell’eseguire le sue ricerche e i conseguenti attacchi circa le attitudini mentali di Marion-A. Senza nemmeno ren­dersene conto, partì in vantaggio proprio perché ope­rò affidandosi all’istinto. La sua conversazione passava con una sola frase dal freddo ragionamento alla con­siderazione romantica dell’amore, dalla cibernetica al­la religione, all’improvvisazione di un pensiero spon­taneo.

Giocò a scacchi con Marion-A, le parlò dei suoi bam­bini e di Katy, e della vita nel ventesimo secolo. Le fe­ce ascoltale brani di musica, le chiese perché pensava che il tal pezzo lo rendesse felice o triste, o gli desse una soddisfazione intellettuale. Cercò di farle apprez­zare la tragedia di Amleto ,il mistero di Monna Lisa, la grandezza della Toccata e Fuga in re, i dipinti di Blake, la magniloquenza di Marlowe, le melodie di Chaikovsky.

E giorno dopo giorno, Marion-A diventava più con­fusa. Il suo programma non era in grado di affrontare un simile attacco concentrato. I sintomi dapprima fu­rono vaghi, quasi insignificanti. Marion-A cominciò a dimenticarsi alcune cose, soprattutto cose che le riu­scivano difficili, cose che non erano spiegabili in ter­mini razionali. Cominciò a fare errori. Non era più così monotonamente efficiente. E a volte, quando Mar­kham la punzecchiava facendole notare gli sbagli com­messi, mostrava sintomi che, nell’essere umano, avreb­bero potuto essere interpretati come umiliazione.

Era stata programmata per accettare la propria pro­grammazione senza discutere. Ma senza darle tregua, Markham la indusse a usare su tutto le proprie facoltà critiche... compreso su se stessa e sulla parte che rap­presentavano gli androidi nella società.

Marion non era stanca, perché la stanchezza non era possibile agli androidi. Ma in un certo senso i suoi movimenti sembravano più lenti, meno sicuri. Non era infelice, perché gli androidi non erano program­mati per la felicità o per l’infelicità, ma c’erano mo­menti in cui pregava di essere lasciata sola, o chiede­va il permesso di usare l’eliauto per un giro senza me­ta, o se ne andava a zonzo per le strade di Londra sen­za alcun motivo apparente.

Con distacco freddo, da clinico, Markham notava tutti questi sintomi e non mancava di far sapere a Marion-A che si era accorto del cambiamento avvenuto in lei. E in tutto questo non faceva che ripetersi d’es­sere spinto da semplice curiosità.

Durante i giorni che seguirono il banchetto del Pre­sidente Bertrand a Buckingham Palace, Markham, ol­tre a dedicare gran parte del suo tempo ai tentativi sperimentali per modificare la programmazione di Marion-A, riuscì anche a rivedere Vivain, di solito in ap­puntamenti combinati in grande segretezza a qualche distanza dalla City.

Inevitabilmente, la loro relazione metteva radici. Era stata generata dalla curiosità, mantenuta viva dall’at­trazione fisica. Adesso c’era qualcosa di più. Per Vi­vain, se non altro, anche se lei non si curava di am­metterlo. Il fascino di Markham aumentava ai suoi oc­chi anche se, secondo tutte le leggi, avrebbe dovuto invece svanire. La sua necessità di stare con lui si fa­ceva sempre più intensa, e per motivi di autentico in­teresse morale...

A parte Vivain e qualche occasionale incontro con Algis Norvens, gli unici veri contatti sociali di Mar­kham erano con i vicini di Knightsbridge. Dal suo punto di vista, il primo incontro con Paul Malloris e Shawna Vandellay, la coppia che occupava l’apparta­mento sotto il suo, non era stato un gran successo. Ma dopo aver ricambiato la loro ospitalità ed essere tor­nato in visita un paio di volte a casa loro, cominciò a trovarli entrambi molto simpatici.

Dato che Paul e Shawna avevano conversato con lui dopo avergli fatto un’iniezione di Oblivina, della qua­le lui non si ricordava affatto, e si erano convinti che le simpatie di Markham stavano più dalla parte dei Fuggiaschi che della società, non sentivano più la ne­cessità di fingersi vacui e sciocchi di fronte a lui.

A mano a mano che l’amicizia si consolidava, Paul abbandonò lentamente il suo atteggiamento da poeta apocalittico e confidò a Markham che i suoi veri in­teressi riguardavano la storia della psicologia. Passa­rono insieme lunghe serate; Paul esplorava sistemati­camente gli atteggiamenti ventesimo secolo di Mar­kham il quale, dal canto suo, faceva l’inverso. Shawna portava la giusta nota di gaiezza nella conversazione quando questa si faceva troppo seria o troppo peri­colosa.

Arrivò il momento tuttavia, in cui Paul sentì di po­tersi fidare sufficientemente di Markham per confidar­gli l’episodio dell’Oblivina. Dapprima, Markham rifiu­tò di crederci, convinto di essere l’oggetto di qualche complesso scherzo del ventiduesimo secolo. Ma quando Shawna glielo confermò, guardandolo con i grandi oc­chi seri in cui si leggeva parecchia ansia, si convinse che era tutto vero.

«Faresti meglio a riferirmi esattamente tutto quel­lo che ci siamo detti mentre ero sotto l’effetto di quel­la maledetta Oblivina» disse allora, guardando Paul. «Poi vedrò se sarà il caso di gonfiarti la testa di pugni.»

Paul Malloris si strinse nelle spalle, e sorrise ama­bilmente. «Senza offesa, John, ma non ce la faresti nemmeno con la miglior buona volontà.» Poi gli rac­contò tutto.

Markham ascoltò attento, senza fare commenti, fin­ché Paul non ebbe finito. Rimase silenzioso per alcuni istanti, chiedendosi perché mai Paul avesse corso il ri­schio di confessargli una cosa simile. Infine capì tutto in un istante.

«Dunque tu pensi che io abbia già scelto? Che ab­bia già preso la mia decisione?»

Paul Malloris gli riempì il bicchiere. «Stai calmo. Ormai non c’è più bisogno dell’Oblivina... Durante le ultime settimane, John, ci siamo visti parecchio. Penso di conoscerti bene, ormai, forse meglio di quan­to ti conosca tu stesso.»

Markham sorrise. «Tutt’altro che impossibile.»

«Appunto. Il trauma di ritrovarti in un mondo nuovo... diciamo addirittura, di ritornare al mondo, ha comportato una grande confusione psichica. Ora però il fumo comincia a dissiparsi, e penso che tu ca­pisca la situazione con chiarezza... Non si può restare neutrali, John. È impossibile.»

«No, di neutrale non c’è mai nessuno» disse Mar­kham.

Shawna lo guardò supplichevole. «Non saresti mai stato felice sotto la dominazione degli androidi, vero, John? Sii sincero, ti prego.»

«Non credo che riuscirò a sentirmi felice in nessun caso» disse lui. «Ma se non altro preferisco la libertà di essere infelice.»

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