Lo schermo si fece bianco. Varn Allan guardò Kenniston, e disse: «Farete bene ad andare subito ad avvertire il vostro popolo.»
Kenniston capì, mentre usciva, che Varn Allan era irata, molto irata. Ma Lund sembrava stranamente soddisfatto.
Con la massima rapidità, Kenniston percorse il tratto di deserto che lo separava dalla porta della città; e a ogni passo che faceva, diventava sempre più chiara in lui l’incredibile realtà della sua imminente avventura.
“Te ne vai dalla Terra. Rientrerai in una nave, in quella astronave, e ti staccherai dalla Terra per avventurarti nello spazio, fuori dell’atmosfera della Terra, nell’universo, fra le stelle...”
Quel pensiero gli dava una specie di vertigine, un senso insopprimibile di repulsione. Capiva che non doveva pensarci, che non doveva pensare a quel balzo immenso nello spazio... non doveva pensarci, altrimenti quel pensiero lo avrebbe sopraffatto.
Davanti alla porta della città incontrò i soldati dello sbarramento che gli puntarono contro i moschetti, che abbassarono solo quando l’ebbero riconosciuto. Al di là dello sbarramento si levava il polverone causato dai badili che scavavano trincee e dagli uomini che piazzavano i cannoni.
«Che accade laggiù?» gridò un ufficiale. «Hanno deciso di attaccarci, quelle navi spaziali? Stanno forse...?»
«Dov’è il sindaco?» lo interruppe Kenniston.
«Subito dietro la porta. Sono tutti là, in attesa.»
Kenniston li oltrepassò, saltando oltre le trincee per metà scavate, e vide Hubble e la maggior parte dei membri del consiglio raggruppati attorno al sindaco, subito al di là della porta, all’interno della cupola.
La maggior parte della popolazione stava affollata nelle vicinanze, trattenuta da sbarramenti di corde e di agenti. Non gridavano più ora, e tutti i visi apparivano ansiosi. Kenniston capiva che quella dimostrazione della terribile potenza del raggio paralizzante che avevano avuto poco prima, aveva calmato la loro ira e generato in essi un altro e ancora più grave motivo di preoccupazione.
Anche il viso grassoccio di Garris era livido dalla stanchezza, e fu con uno sguardo sospettoso che egli accolse l’avvicinarsi di Kenniston.
«Che cosa vi ha fatto ritornare? Credevo che sareste rimasto là, coi vostri amici» lo apostrofò.
«Andate al diavolo!» gridò Kenniston, esasperato. «Ho lottato e discusso finora per salvare la vostra pelle. Ho perfino consentito ad andarmene fino a Vega, per farlo. E questa è l’accoglienza!»
Poi si vergognò del suo scoppio d’ira e cercò di padroneggiare i nervi.
«Le navi spaziali se ne andranno. Partiranno fra due ore, e io andrò con loro. Ho presentato appello, contro l’evacuazione, al loro Comitato dei Governatori.»
Un silenzio attonito regnò su tutti, dopo quelle parole. Lo guardavano sbalorditi, senza comprendere, eccetto Hubble, che aveva subito capito di che si trattava.
«Buon Dio, Ken...!» esclamò lo scienziato. «Tu... a Vega? Ma servirà a qualche cosa?»
«Lo spero» disse Kenniston. E senza badare agli altri si rivolse a Hubble spiegandogli rapidamente come stavano le cose. Poi concluse: «Vi è ancora una possibilità che io possa far comprendere loro il nostro caso, e li convinca a lasciarci in pace.»
Il sindaco Garris pareva avesse solo allora cominciato a intuire. Il suo viso si era come trasformato... c’era ora in quel viso una speranza ansiosa, la stessa che si faceva strada anche nei visi degli altri.
Kenniston capiva quanto disperati avevano dovuto sentirsi, prima del suo arrivo. Tutti loro, i soldati, l’intera popolazione, si erano resi conto della futilità di una simile lotta quando si erano accorti della potenza del raggio paralizzante. Si erano convinti che combattevano una battaglia già persa sin dall’inizio. E ora, egli aveva suscitato la speranza di un’altra possibile via di uscita.
«Ora sì che va bene» disse Garris con voce ansiosa e malferma. «È quello che avevo pensato sin da principio. Una cosa che fosse perfettamente legale, una discussione pacifica. Non potevo consentire che il mio popolo fosse fatto oggetto di violenza.» Si interruppe, sopraffatto dall’ansia e dalla speranza. Afferrò una mano a Kenniston, e proseguì: «Farete del vostro meglio per tutti noi, lassù, Kenniston! Lo so che lo farete! Non possono essere tutti così testardi come quella donna maledetta!»
E, del tutto rianimato, Garris si volse alla folla ansiosa e gridò: «Va tutto bene! Non si combatte più, per ora. Il signor Kenniston andrà di persona nel mondo da cui quella gente è venuta, per discutere la cosa col loro Governo e chiedere che ci trattino nel modo più giusto!»
Scoppiò un lungo applauso. Mentre quegli applausi ancora duravano insistenti, il sindaco impallidì nuovamente. Un nuovo pensiero gli aveva attraversato la mente. Si rivolse a Kenniston, per chiarire il suo dubbio.
«Ma se qualcuno dovrà andare là per rappresentarci, forse vorranno che il sindaco...» Kenniston lo ammirò davvero, stavolta, mentre Garris cercava di pronunciare quelle ultime e, per lui, spaventose parole «... forse, come sindaco, dovrei andarci io?...»
Kenniston scosse prontamente il capo.
«Siete necessario qui, signor Garris» lo rassicurò. «E, d’altra parte, non parlate la lingua. Perciò la vostra partenza sarebbe inutile.»
«Già, è così!» fece il sindaco, cominciando a respirare nuovamente. «Naturalmente, è così! Già, infatti. Ebbene, Kenniston, che possiamo fare per aiutarvi? Qualsiasi cosa che...»
«No, non ho bisogno di nulla» rispose Kenniston. «Non ho molto tempo. Debbo solo prendere alcune cose personali e salutare qualcuno. Hubble, vuoi venire con me?»
Hubble assentì. E mentre si allontanavano, dirigendosi rapidamente all’interno della città, udirono il sindaco che gridava, tutto rincuorato, per spiegare più minuziosamente alla folla la notizia, e udirono le esclamazioni di sollievo e di giubilo di tutta la popolazione.
Quella gente si era vista sul punto di essere gettata in una lotta contro armi alle quali non avrebbe potuto resistere, e ora, improvvisamente, non si sarebbe più combattuto; le navi spaziali se ne sarebbero andate; uno di loro sarebbe anzi partito per cercar di convincere il Governo delle Stelle che non poteva sloggiare in quel modo tutti gli uomini della Terra. Ogni cosa andava bene, dunque!
Kenniston gemette: «Vorrei che non fossero così maledettamente sicuri! Questo è solo un rinvio!»
«Quali probabilità vi sono, Ken?» chiese Hubble. «Questo fra noi, naturalmente, in confidenza.»
«Se debbo dire la verità, Hubble, non lo so nemmeno io! Mi sono impigliato in una specie di congiura sotterranea che non riesco ancora a comprendere pienamente.» Gli raccontò poi ciò che Gorr Holl gli aveva confidato, e aggiunse: «Gorr e tutti gli umanoidi sono dalla nostra parte, ma può darsi che si valgano di me unicamente come di un’ultima risorsa contro la Federazione delle Stelle. In ogni modo, farò del mio meglio.»
«Lo so, che farai del tuo meglio» disse Hubble. «Vorrei tanto venire con te... ma sono troppo vecchio, e qui hanno bisogno di me.» Poi aggiunse: «Andrò a chiamare Carol, mentre prepari le tue cose per la partenza.»
L’irrealtà d’incubo di tutta quella situazione colpì Kenniston nuovamente, mentre raccoglieva in fretta gli oggetti di cui avrebbe potuto aver bisogno. Era proprio come fare la valigia per un viaggetto di una giornata a Pittsburgh o a Chicago, invece che per un viaggio attraverso la Galassia. Pareva incredibile che una cosa del genere dovesse capitare a lui...
L’espressione di Carol, quando arrivò, non gli fu di alcun conforto. Era pallidissima, e quando Kenniston l’abbracciò e cercò di spiegarle la cosa, lei si limitò a dire: «No, Ken... no! Non puoi andare! Tu non sei come loro! Morirai lassù!»
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