Edmond Hamilton - Agonia della Terra

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Agonia della Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Una bomba superatomica viene lanciata, da una nazione sconociuta, su una piccola città americana dove si cela un centro per le ricerche atomiche. L’esplosione ha per effetto di rompere la continuità del tempo e sbalestrare la piccola città, intatta, in un’epoca dell’avvenire, a milioni di anni nel futuro, in una Terra morente e arida, inabitabile e deserta. La Federazione delle Stelle, che governa tutti i mondi del futuro, interviene per evacuare la popolazione della città su un altro pianeta. Ma la popolazione si ribella, e, con l’aiuto di uno scienziato del futuro, alla Terra morente viene iniettata una potente carica atomica che ha la virtù di riscaldarla nuovamente. Gli ultimi superstiti rimangono quindi sulla Terra rinata e la vita degli abitanti della piccola città può riprendere il suo corso normale, nella eterna storia dell’Universo.

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Lo schermo si fece bianco. Varn Allan guardò Kenniston, e disse: «Farete bene ad andare subito ad avvertire il vostro popolo.»

Kenniston capì, mentre usciva, che Varn Allan era irata, molto irata. Ma Lund sembrava stranamente soddisfatto.

Con la massima rapidità, Kenniston percorse il tratto di deserto che lo separava dalla porta della città; e a ogni passo che faceva, diventava sempre più chiara in lui l’incredibile realtà della sua imminente avventura.

“Te ne vai dalla Terra. Rientrerai in una nave, in quella astronave, e ti staccherai dalla Terra per avventurarti nello spazio, fuori dell’atmosfera della Terra, nell’universo, fra le stelle...”

Quel pensiero gli dava una specie di vertigine, un senso in­sopprimibile di repulsione. Capiva che non doveva pensarci, che non doveva pensare a quel balzo immenso nello spazio... non doveva pensarci, altrimenti quel pensiero lo avrebbe so­praffatto.

Davanti alla porta della città incontrò i soldati dello sbar­ramento che gli puntarono contro i moschetti, che abbassa­rono solo quando l’ebbero riconosciuto. Al di là dello sbarra­mento si levava il polverone causato dai badili che scavavano trincee e dagli uomini che piazzavano i cannoni.

«Che accade laggiù?» gridò un ufficiale. «Hanno deci­so di attaccarci, quelle navi spaziali? Stanno forse...?»

«Dov’è il sindaco?» lo interruppe Kenniston.

«Subito dietro la porta. Sono tutti là, in attesa.»

Kenniston li oltrepassò, saltando oltre le trincee per metà scavate, e vide Hubble e la maggior parte dei membri del consiglio raggruppati attorno al sindaco, subito al di là della porta, all’interno della cupola.

La maggior parte della popolazione stava affollata nelle vi­cinanze, trattenuta da sbarramenti di corde e di agenti. Non gridavano più ora, e tutti i visi apparivano ansiosi. Kenniston capiva che quella dimostrazione della terribile potenza del raggio paralizzante che avevano avuto poco prima, aveva calmato la loro ira e generato in essi un altro e ancora più grave motivo di preoccupazione.

Anche il viso grassoccio di Garris era livido dalla stan­chezza, e fu con uno sguardo sospettoso che egli accolse l’av­vicinarsi di Kenniston.

«Che cosa vi ha fatto ritornare? Credevo che sareste ri­masto là, coi vostri amici» lo apostrofò.

«Andate al diavolo!» gridò Kenniston, esasperato. «Ho lottato e discusso finora per salvare la vostra pelle. Ho perfino consentito ad andarmene fino a Vega, per farlo. E questa è l’accoglienza!»

Poi si vergognò del suo scoppio d’ira e cercò di padroneg­giare i nervi.

«Le navi spaziali se ne andranno. Partiranno fra due ore, e io andrò con loro. Ho presentato appello, contro l’evacua­zione, al loro Comitato dei Governatori.»

Un silenzio attonito regnò su tutti, dopo quelle parole. Lo guardavano sbalorditi, senza comprendere, eccetto Hubble, che aveva subito capito di che si trattava.

«Buon Dio, Ken...!» esclamò lo scienziato. «Tu... a Ve­ga? Ma servirà a qualche cosa?»

«Lo spero» disse Kenniston. E senza badare agli altri si rivolse a Hubble spiegandogli rapidamente come stavano le cose. Poi concluse: «Vi è ancora una possibilità che io possa far comprendere loro il nostro caso, e li convinca a lasciarci in pace.»

Il sindaco Garris pareva avesse solo allora cominciato a intuire. Il suo viso si era come trasformato... c’era ora in quel viso una speranza ansiosa, la stessa che si faceva strada an­che nei visi degli altri.

Kenniston capiva quanto disperati avevano dovuto sentir­si, prima del suo arrivo. Tutti loro, i soldati, l’intera popola­zione, si erano resi conto della futilità di una simile lotta quando si erano accorti della potenza del raggio paralizzan­te. Si erano convinti che combattevano una battaglia già per­sa sin dall’inizio. E ora, egli aveva suscitato la speranza di un’altra possibile via di uscita.

«Ora sì che va bene» disse Garris con voce ansiosa e malferma. «È quello che avevo pensato sin da principio. Una cosa che fosse perfettamente legale, una discussione pacifica. Non potevo consentire che il mio popolo fosse fat­to oggetto di violenza.» Si interruppe, sopraffatto dall’an­sia e dalla speranza. Afferrò una mano a Kenniston, e prose­guì: «Farete del vostro meglio per tutti noi, lassù, Kenni­ston! Lo so che lo farete! Non possono essere tutti così te­stardi come quella donna maledetta!»

E, del tutto rianimato, Garris si volse alla folla ansiosa e gridò: «Va tutto bene! Non si combatte più, per ora. Il si­gnor Kenniston andrà di persona nel mondo da cui quella gente è venuta, per discutere la cosa col loro Governo e chie­dere che ci trattino nel modo più giusto!»

Scoppiò un lungo applauso. Mentre quegli applausi anco­ra duravano insistenti, il sindaco impallidì nuovamente. Un nuovo pensiero gli aveva attraversato la mente. Si rivolse a Kenniston, per chiarire il suo dubbio.

«Ma se qualcuno dovrà andare là per rappresentarci, for­se vorranno che il sindaco...» Kenniston lo ammirò davve­ro, stavolta, mentre Garris cercava di pronunciare quelle ul­time e, per lui, spaventose parole «... forse, come sindaco, dovrei andarci io?...»

Kenniston scosse prontamente il capo.

«Siete necessario qui, signor Garris» lo rassicurò. «E, d’altra parte, non parlate la lingua. Perciò la vostra partenza sarebbe inutile.»

«Già, è così!» fece il sindaco, cominciando a respira­re nuovamente. «Naturalmente, è così! Già, infatti. Ebbe­ne, Kenniston, che possiamo fare per aiutarvi? Qualsiasi cosa che...»

«No, non ho bisogno di nulla» rispose Kenniston. «Non ho molto tempo. Debbo solo prendere alcune cose personali e salutare qualcuno. Hubble, vuoi venire con me?»

Hubble assentì. E mentre si allontanavano, dirigendosi ra­pidamente all’interno della città, udirono il sindaco che gri­dava, tutto rincuorato, per spiegare più minuziosamente alla folla la notizia, e udirono le esclamazioni di sollievo e di giu­bilo di tutta la popolazione.

Quella gente si era vista sul punto di essere gettata in una lotta contro armi alle quali non avrebbe potuto resistere, e ora, improvvisamente, non si sarebbe più combattuto; le na­vi spaziali se ne sarebbero andate; uno di loro sarebbe anzi partito per cercar di convincere il Governo delle Stelle che non poteva sloggiare in quel modo tutti gli uomini della Ter­ra. Ogni cosa andava bene, dunque!

Kenniston gemette: «Vorrei che non fossero così male­dettamente sicuri! Questo è solo un rinvio!»

«Quali probabilità vi sono, Ken?» chiese Hubble. «Questo fra noi, naturalmente, in confidenza.»

«Se debbo dire la verità, Hubble, non lo so nemmeno io! Mi sono impigliato in una specie di congiura sotterranea che non riesco ancora a comprendere pienamente.» Gli rac­contò poi ciò che Gorr Holl gli aveva confidato, e aggiunse: «Gorr e tutti gli umanoidi sono dalla nostra parte, ma può darsi che si valgano di me unicamente come di un’ultima ri­sorsa contro la Federazione delle Stelle. In ogni modo, farò del mio meglio.»

«Lo so, che farai del tuo meglio» disse Hubble. «Vor­rei tanto venire con te... ma sono troppo vecchio, e qui hanno bisogno di me.» Poi aggiunse: «Andrò a chiamare Carol, mentre prepari le tue cose per la partenza.»

L’irrealtà d’incubo di tutta quella situazione colpì Kenniston nuovamente, mentre raccoglieva in fretta gli oggetti di cui avrebbe potuto aver bisogno. Era proprio come fare la valigia per un viaggetto di una giornata a Pittsburgh o a Chi­cago, invece che per un viaggio attraverso la Galassia. Pareva incredibile che una cosa del genere dovesse capitare a lui...

L’espressione di Carol, quando arrivò, non gli fu di alcun conforto. Era pallidissima, e quando Kenniston l’abbracciò e cercò di spiegarle la cosa, lei si limitò a dire: «No, Ken... no! Non puoi andare! Tu non sei come loro! Morirai lassù!»

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