Cercò di passare attraverso lo sbarramento, ma le guardie lo fermarono.
«Ordine del sindaco» affermò l’ufficiale che li comandava. «Nessuno deve uscire dalla città. Proprio così. So chi siete, signor Kenniston. Ma ho ordini precisi. Nessuno deve uscire dalla città.»
«Ascoltate!» tentò Kenniston, disperatamente, inventando una menzogna. «Mi ha mandato il sindaco. Devo andare da loro per conferire.»
«Portatemi un ordine scritto» gli intimò l’ufficiale. «Solo allora potremo lasciarvi passare.»
La fila degli uomini armati rimase stolidamente immobile. Kenniston pensò per un attimo di forzare lo sbarramento, ma poi vi rinunciò. L’ufficiale lo stava guardando tanto sospettosamente che a Kenniston venne un dubbio. Egli parlava la lingua dei visitatori e aveva lavorato a lungo in stretto contatto coi loro tecnici. I buoni abitanti di Middletown avrebbero anche potuto crederlo un traditore o una spia...
«Se è veramente il sindaco che vi ha mandato» ripeteva frattanto l’ufficiale «vi darà certamente un ordine scritto.»
Kenniston se ne ritornò al Municipio, ma dovette passare il resto della notte, con Hubble, fuori della porta sorvegliata dell’edificio, in cui il sindaco, il consiglio al completo e gli ufficiali della Guardia Nazionale stavano redigendo un piano di battaglia.
Subito dopo il sorgere dell’alba, un portaordini arrivò di corsa al Municipio e fu ammesso nella sala del consiglio. Immediatamente, il sindaco, i membri del consiglio, e gli ufficiali uscirono in massa. Garris, torvo, con gli occhi cerchiati ma trionfante, vide Kenniston e gli intimò: «Venite! Avremo bisogno di voi come interprete.»
Stanco e disperato, Kenniston si unì alla piccola processione. Hubble, che gli camminava al fianco, si curvò su di lui e mormorò: «Cerca di destreggiarti bene, Ken. La tua conoscenza della lingua è la nostra unica risorsa, in questa maledetta circostanza.»
Raggiunsero la porta della città quasi nello stesso momento in cui vi giungevano gli altri, provenienti dalle navi spaziali. Varn Allan e Lund erano i soli, nel gruppo, che Kenniston riconoscesse. Degli altri, una era una donna matura e il resto erano uomini di varie età. I sopraggiunti dalle navi spaziali rimasero a fissare, più sorpresi che preoccupati, lo sbarramento di soldati. Varn Allan corrugò la fronte.
Il sindaco si diresse verso di lei, mentre lo sbarramento si ricomponeva dopo averlo lasciato passare. Col suo misero aspetto di ometto preoccupato e intimorito, convinto della sua saggezza e sicuro che il suo popolo fosse con lui, col coraggio teso fino all’ultimo limite, laddove esso confinava col più disperato terrore, egli affrontò quegli sconosciuti venuti dalle stelle, e disse a Kenniston: «Dite loro che questo è il nostro mondo, e che solo noi diamo ordini, qui. Dite loro di tornare sulle navi spaziali e di andarsene. Spiegate bene che si tratta di un ultimatum, e che siamo pronti a usare la forza.»
La folla, dietro di lui, applaudì.
Un leggero turbamento era apparso sui visi degli sconosciuti. Quell’ululato della folla, quei soldati armati, il comportamento del sindaco, dovevano aver risvegliato in loro qualche dubbio. Varn Allan parlò tuttavia con assoluta calma, rivolgendosi a Kenniston, senza nemmeno attendere che il sindaco avesse finito di parlare.
«Volete aprirci un passaggio?» Indicò i nuovi venuti che erano con lei, e aggiunse: «I funzionari che sono con me fanno parte di una numerosa commissione di esperti in emigrazioni di massa. Inizieranno lo studio preliminare dell’evacuazione, ed è molto importante che voi cooperiate...»
Kenniston la interruppe.
«Ascoltatemi bene» disse. «Dovete prendere i vostri funzionari e tornare alle vostre navi spaziali.»
La folla cominciava a spingersi avanti, premendo contro lo sbarramento di soldati. Grida isolate sorgevano da quella folla, grida rabbiose, minacciose. Il sindaco, nervosissimo, si muoveva qua e là.
«Glielo avete detto?» domandò a Kenniston. «Che cosa dite? Glielo avete detto?»
«Tornate alle vostre navi spaziali, e presto!» gridò ancora Kenniston. «Non vedete che tra poco nessuno riuscirà più a trattenere la folla?»
Ma sembrava che Varn Allan non capisse il pencolo.
«È inutile discutere ancora» disse, come se la sua pazienza fosse giunta all’estremo. «Siamo qui per ordine diretto del Comitato dei Governatori, e debbo chiedervi...»
Parlando molto distintamente, Kenniston scandì: «Sto cercando di impedire atti di violenza. Ritornate subito alle vostre navi spaziali. Verrò a parlare con voi più tardi.»
Ella lo fissò, assolutamente sbalordita.
«Violenza? Contro i funzionari della Federazione?»
Kenniston pensò d’un tratto che ella forse non aveva mai udito parlare di violenza. Nel momentaneo silenzio che seguì, l’impeto e il vociare della folla crebbero e, d’un tratto, Norden Lund scoppiò a ridere.
«Ve lo avevo detto che non era questo il modo di trattare con i selvaggi» disse. «Faremmo meglio ad andarcene.»
«No!» Sicura, nel suo orgoglio, sicura dell’autorità di cui era investita dalla Federazione delle Stelle, sicura della sua provata abilità come amministratrice, Varn Allan non voleva assolutamente fuggire davanti alle urla di una folla. Si volse nuovamente a Kenniston, con la voce perfettamente calma e tagliente come una lama.
«Credo che voi non comprendiate» disse. «Quando un ordine viene emesso in nome del Comitato dei Governatori, quell’ordine dev’essere eseguito. Vorrete perciò informare di ciò il vostro sindaco, e ordinargli di disperdere la sua popolazione... e subito!»
Kenniston strinse i pugni e gemette.
«Per l’amor del Cielo...» cominciò. Ma il sindaco, in quel momento, ansioso, bellicoso, impaurito, lanciò lui stesso la fiamma della rivolta.
«Dite loro che faranno meglio ad andarsene in tutta fretta!» urlò con voce abbastanza forte da essere chiaramente udito dalla folla. «Dite loro di andarsene, oppure li cacceremo noi!»
«Cacciamoli!» gli fece eco un uomo della prima fila, subito seguito da un altro, da cento altri. «Cacciamoli! Cacciamoli!» Le grida salirono al massimo e la pressione della folla dilagò al di là della porta. Se anche i soldati l’avessero voluta trattenere, non l’avrebbero più potuto fare.
Kenniston colse, in un attimo, tutto un caleidoscopio di visi umani diversamente atteggiati. La donna anziana del gruppo aveva la bocca spalancata in un grido. Gli altri funzionari avevano gli occhi increduli, come se non potessero credere a ciò che vedevano. Varn Allan aveva le guance infuocate d’ira repressa. Lund indietreggiava già, con un’espressione mista di timore e di trionfo dipinta sul viso.
Varn Allan disse ancora: «Se osate toccare i funzionari della Federazione...»
«Tornate alle vostre navi!» urlò Kenniston con quanta voce aveva. «Andatevene via!» La prima ondata della folla era già su di loro. Urla, pugni tesi, piedi in corsa. Urlavano inferociti contro Varn Allan perché era lei a capo di tutti gli altri. Kenniston vide il pericolo imminente, il pericolo che non si poteva più scongiurare. Afferrò allora Varn Allan per un polso e cominciò a correre verso il Thanis trascinandola con sé. Gli altri funzionari, compreso Lund, si erano già dati alla fuga. Fuggivano tutti, verso la nave spaziale.
Kenniston continuò a trascinare con sé Varn Allan e, per alcuni secondi, ella non fece alcuna resistenza. Capì più tardi che quella doveva essere stata la prima volta che ella aveva dovuto cedere alla forza fisica, e che era perciò troppo stupefatta per pensare di opporre resistenza. Poi, tutt’a un tratto, la donna gridò irosamente: «Lasciatemi andare!» e puntò i piedi saldamente nella sabbia.
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