«Non c’è da meravigliarsi che Varn Allan pensi che siamo un branco di primitivi» commentò amaramente Kenniston. «Benissimo, Hubble, vengo con te. Prima accompagneremo a casa Carol.»
Rifecero il cammino percorso, attraverso le strade illuminate da quel morbido, brillante, bellissimo chiarore che penetrava dovunque; ma la gente affollata in quelle strade, i gruppi di persone in discussione eccitata, i visi preoccupati, le domande che si incrociavano dovunque, formavano un contrasto stridente con la vivida bellezza di quella luce.
L’inquietudine della città pareva aumentare sempre più. A un tratto, un lungo grido corse per le strade. Le persone si chiamavano, le grida aumentavano, le mani si tendevano verso l’alto, visi pallidi e frementi guardavano in su, verso la grande cupola scintillante.
«Ma che diavolo...» proruppe impaziente Hubble. Kenniston gli fece cenno di tacere.
«Ascolta!» disse.
Al disopra delle voci udirono allora un suono che già avevano udito una volta, un suono che aumentava sempre più. Era una vibrazione, più che un suono, una specie di vibrazione profonda che proveniva dal cielo, troppo profonda e intensa per essere attutita dalla grande cupola.
La vibrazione scese rapida su di loro, divenne più intensa, sempre più intensa, poi di colpo si fermò. La gente correva ora verso la porta della città e lo strepito confuso della folla si ripercuoteva dovunque.
«Un’altra nave spaziale» disse Kenniston. «È giunta un’altra astronave.»
Il viso di Hubble si era fatto cupo e preoccupato.
«È il corpo di evacuazione. Quella donna aveva detto che sarebbero arrivati presto. E proprio ora che la città è in preda al panico... Ken, ecco a che punto siamo!»
Col cuore tormentato, Kenniston guardò Hubble mentre ascoltavano il clamore che sorgeva dalla città. Carol parlava e le parole di lei gli giungevano come da una distanza lontanissima.
«Non badare a me, Ken! Andrò a casa da sola.»
«Sì» disse Kenniston. «Temo che dovremo correre subito dal sindaco. Rimani in casa, Carol, lontana dalla strada.»
La baciò rapidamente sulle guance e si volse, camminando in fretta. Avrebbe voluto accompagnarla, ma non c’era tempo da perdere. Hubble si era già incamminato verso il Municipio e Kenniston lo raggiunse.
Incrociavano ora migliaia di persone che andavano in senso opposto, verso la porta della città. Quelle persone erano spaventate, bellicose, con gli occhi troppo accesi, le voci troppo alte. Kenniston e Hubble correvano, ormai, ma anche così facendo ci vollero alcuni minuti per raggiungere la piazza di fronte al Municipio. Mentre l’attraversavano, alcune jeep cariche di guardie nazionali partirono dal palazzo del Municipio e si avviarono a tutta velocità lungo il viale. Gli uomini sulle jeep erano imbacuccati fino agli occhi.
«Ecco, vanno fuori della città» gemette Hubble. «Che cosa avrà combinato, quell’idiota?»
Salirono di corsa le scale dell’edificio. Nella sala del consiglio trovarono il sindaco insieme a Borchard, Moretti e la maggior parte degli altri consiglieri.
Garris camminava su e giù, col viso chiazzato di rosso, gli occhi scintillanti per quel coraggio improvviso, nato dalla paura, da cui si sentiva pervaso. Si volse a Kenniston e Hubble, mentre questi entravano, e c’era nel suo sguardo una curiosa espressione vacua, una specie di assenza della ragione che fece perdere a Kenniston anche la poca speranza che aveva.
«Così, vogliono mandarci via per forza dalla Terra!» esclamò Garris. «Ebbene, la vedremo! Vedremo se ce la faranno e fino a che punto potranno andare.» Aveva la voce tremante. Le sue mani grassocce erano strette per la disperazione. «Ho fatto riunire tutte le unità della Guardia Nazionale e... avete visto quelle jeep? Sono dirette alla vecchia Middlestown, per portare qui i cannoni che abbiamo nell’armeria. I cannoni, Hubble, i cannoni! Questo è l’unico modo per mostrar loro che non siamo uomini che si lasciano sbalestrare qua e là come trottole!»
«Siete pazzo!» gridò Hubble. «Ecco cosa siete, un pazzo!»
Poi si trattenne. Borchard gli si era avvicinato, minaccioso.
«Il sindaco agisce con la nostra completa approvazione» esclamò. «E aggiunse, non meno minaccioso:» Signor Hubble, badate alle vostre cose scientifiche e non immischiatevi negli affari del governo.
«Sì, proprio così!» approvò Moretti. Ripeté anzi queste parole due o tre volte e gli altri membri del consiglio approvarono anch’essi.
Hubble li affrontò con decisione.
«Ascoltatemi bene!» disse. «Siete tutti così spaventati che non vedete nemmeno cosa vi stia dinanzi. I cannoni! Non fatemi ridere! Tutti i vostri cannoni non potranno fare nulla, nemmeno l’effetto di una rivoltella scacciacani, di fronte a ciò che essi possono usare contro di noi, se lo vogliono. Quella gente ha conquistato le stelle, potete almeno capire questo? Possono conquistare anche noi, semplicemente con quel raggio di cui dispongono sulla nave spaziale. E, ricordate, l’uso della violenza li farà montare in collera e li spingerà a farne uso, siatene certi!»
Garris avvicinò il viso fremente a quello di Hubble.
«Avete paura, voi! Avete paura di loro!» ringhiò. «Noi non abbiamo paura, invece. Noi combatteremo!»
I membri del consiglio applaudirono.
«Benissimo!» disse Hubble. «Fate a modo vostro. È perfettamente inutile stare a discutere con degli idioti. L’unica possibilità che avevamo di cavarci da questo pasticcio, era di assumere un comportamento da uomini civili. Avrebbero potuto ascoltarci, allora, e rispettare i nostri sentimenti. Ma ora...» Fece un gesto di rassegnazione e di inutilità. Il sindaco rise amaramente.
«Parole! Parole! Abbiamo visto che bel risultato hanno avuto i vostri discorsi. No, signore. Tratteremo la questione a modo nostro, e potete ringraziare il Cielo che il vostro sindaco e il consiglio della città non abbiano dimenticato come si difendono i diritti del popolo!»
Il suo tono di voce si era gradatamente elevato e il sindaco aveva addirittura urlato le ultime parole, per farsi udire da Hubble, che era già uscito dalla sala, immediatamente seguito da Kenniston.
Fuori, sulla piazza, Kenniston disse: «C’è una sola cosa da fare... parlare a Varn Allan. Se consentisse a richiamare i suoi cani per un po’ di tempo, le cose potrebbero frattanto acquietarsi.» Poi scosse il capo, con espressione triste e stanca. «Non mi piace troppo dover ammettere con quella bionda dispotica che siamo governati da un mucchio di gente senza testa, ma...»
«Non si possono del tutto biasimare, in fondo» disse Hubble. «Noi siamo veramente come bambini posti di fronte all’ignoto, e per non fare ciò che ci chiedono ricorriamo alla guerra. Solamente che facciamo le cose proprio nel modo sbagliato...» Sospirò. «Va’ alla nave spaziale, Ken. Cerca di fare quello che puoi. Io torno al Municipio per vedere se mi riesce di far ragionare il sindaco e gli altri. Se ne avrò la pazienza, almeno... Insomma, buona fortuna!»
Rientrò in Municipio, e Kenniston rifece, con passo stanco, il percorso verso la porta della città.
La folla era ormai raddoppiata, da quando l’aveva vista poco prima. Tutti si spingevano verso la porta, affollandosi ai lati di essa, dalla parte interna della cupola. Fuori, sulla pianura, scintillavano le luci di due navi spaziali. La gente le guardava e un cupo mormorio correva tra la folla, come il rumore del vento prima della tempesta. La compagnia della Guardia Nazionale, in pieno assetto di guerra, aveva occupato la porta.
Kenniston si avvicinò ai soldati. Fece un segno di saluto col capo ad alcuni che conosceva, e disse: «Devo andare da loro... un colloquio importante.»
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