Edmond Hamilton - Agonia della Terra

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Agonia della Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Una bomba superatomica viene lanciata, da una nazione sconociuta, su una piccola città americana dove si cela un centro per le ricerche atomiche. L’esplosione ha per effetto di rompere la continuità del tempo e sbalestrare la piccola città, intatta, in un’epoca dell’avvenire, a milioni di anni nel futuro, in una Terra morente e arida, inabitabile e deserta. La Federazione delle Stelle, che governa tutti i mondi del futuro, interviene per evacuare la popolazione della città su un altro pianeta. Ma la popolazione si ribella, e, con l’aiuto di uno scienziato del futuro, alla Terra morente viene iniettata una potente carica atomica che ha la virtù di riscaldarla nuovamente. Gli ultimi superstiti rimangono quindi sulla Terra rinata e la vita degli abitanti della piccola città può riprendere il suo corso normale, nella eterna storia dell’Universo.

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«Non c’è da meravigliarsi che Varn Allan pensi che siamo un branco di primitivi» commentò amaramente Kenni­ston. «Benissimo, Hubble, vengo con te. Prima accompa­gneremo a casa Carol.»

Rifecero il cammino percorso, attraverso le strade illu­minate da quel morbido, brillante, bellissimo chiarore che penetrava dovunque; ma la gente affollata in quelle strade, i gruppi di persone in discussione eccitata, i visi preoccu­pati, le domande che si incrociavano dovunque, formava­no un contrasto stridente con la vivida bellezza di quella luce.

L’inquietudine della città pareva aumentare sempre più. A un tratto, un lungo grido corse per le strade. Le persone si chiamavano, le grida aumentavano, le mani si tendevano verso l’alto, visi pallidi e frementi guardavano in su, verso la grande cupola scintillante.

«Ma che diavolo...» proruppe impaziente Hubble. Kenniston gli fece cenno di tacere.

«Ascolta!» disse.

Al disopra delle voci udirono allora un suono che già ave­vano udito una volta, un suono che aumentava sempre più. Era una vibrazione, più che un suono, una specie di vibrazio­ne profonda che proveniva dal cielo, troppo profonda e in­tensa per essere attutita dalla grande cupola.

La vibrazione scese rapida su di loro, divenne più intensa, sempre più intensa, poi di colpo si fermò. La gente correva ora verso la porta della città e lo strepito confuso della folla si ripercuoteva dovunque.

«Un’altra nave spaziale» disse Kenniston. «È giunta un’altra astronave.»

Il viso di Hubble si era fatto cupo e preoccupato.

«È il corpo di evacuazione. Quella donna aveva detto che sarebbero arrivati presto. E proprio ora che la città è in preda al panico... Ken, ecco a che punto siamo!»

13

Città in battaglia

Col cuore tormentato, Kenniston guardò Hubble mentre ascoltavano il clamore che sorgeva dalla città. Carol parlava e le parole di lei gli giungevano come da una distanza lonta­nissima.

«Non badare a me, Ken! Andrò a casa da sola.»

«Sì» disse Kenniston. «Temo che dovremo correre su­bito dal sindaco. Rimani in casa, Carol, lontana dalla strada.»

La baciò rapidamente sulle guance e si volse, camminan­do in fretta. Avrebbe voluto accompagnarla, ma non c’era tempo da perdere. Hubble si era già incamminato verso il Municipio e Kenniston lo raggiunse.

Incrociavano ora migliaia di persone che andavano in sen­so opposto, verso la porta della città. Quelle persone erano spaventate, bellicose, con gli occhi troppo accesi, le voci troppo alte. Kenniston e Hubble correvano, ormai, ma anche così facendo ci vollero alcuni minuti per raggiungere la piaz­za di fronte al Municipio. Mentre l’attraversavano, alcune jeep cariche di guardie nazionali partirono dal palazzo del Municipio e si avviarono a tutta velocità lungo il viale. Gli uo­mini sulle jeep erano imbacuccati fino agli occhi.

«Ecco, vanno fuori della città» gemette Hubble. «Che cosa avrà combinato, quell’idiota?»

Salirono di corsa le scale dell’edificio. Nella sala del consi­glio trovarono il sindaco insieme a Borchard, Moretti e la maggior parte degli altri consiglieri.

Garris camminava su e giù, col viso chiazzato di rosso, gli occhi scintillanti per quel coraggio improvviso, nato dalla paura, da cui si sentiva pervaso. Si volse a Kenniston e Hub­ble, mentre questi entravano, e c’era nel suo sguardo una cu­riosa espressione vacua, una specie di assenza della ragione che fece perdere a Kenniston anche la poca speranza che aveva.

«Così, vogliono mandarci via per forza dalla Terra!» esclamò Garris. «Ebbene, la vedremo! Vedremo se ce la fa­ranno e fino a che punto potranno andare.» Aveva la voce tremante. Le sue mani grassocce erano strette per la dispera­zione. «Ho fatto riunire tutte le unità della Guardia Nazio­nale e... avete visto quelle jeep? Sono dirette alla vecchia Middlestown, per portare qui i cannoni che abbiamo nell’ar­meria. I cannoni, Hubble, i cannoni! Questo è l’unico modo per mostrar loro che non siamo uomini che si lasciano sbale­strare qua e là come trottole!»

«Siete pazzo!» gridò Hubble. «Ecco cosa siete, un pazzo!»

Poi si trattenne. Borchard gli si era avvicinato, minac­cioso.

«Il sindaco agisce con la nostra completa approvazione» esclamò. «E aggiunse, non meno minaccioso:» Signor Hubble, badate alle vostre cose scientifiche e non immischia­tevi negli affari del governo.

«Sì, proprio così!» approvò Moretti. Ripeté anzi queste parole due o tre volte e gli altri membri del consiglio appro­varono anch’essi.

Hubble li affrontò con decisione.

«Ascoltatemi bene!» disse. «Siete tutti così spaventa­ti che non vedete nemmeno cosa vi stia dinanzi. I cannoni! Non fatemi ridere! Tutti i vostri cannoni non potranno fare nulla, nemmeno l’effetto di una rivoltella scacciacani, di fronte a ciò che essi possono usare contro di noi, se lo vo­gliono. Quella gente ha conquistato le stelle, potete almeno capire questo? Possono conquistare anche noi, semplice­mente con quel raggio di cui dispongono sulla nave spazia­le. E, ricordate, l’uso della violenza li farà montare in colle­ra e li spingerà a farne uso, siatene certi!»

Garris avvicinò il viso fremente a quello di Hubble.

«Avete paura, voi! Avete paura di loro!» ringhiò. «Noi non abbiamo paura, invece. Noi combatteremo!»

I membri del consiglio applaudirono.

«Benissimo!» disse Hubble. «Fate a modo vostro. È perfettamente inutile stare a discutere con degli idioti. L’uni­ca possibilità che avevamo di cavarci da questo pasticcio, era di assumere un comportamento da uomini civili. Avrebbero potuto ascoltarci, allora, e rispettare i nostri sentimenti. Ma ora...» Fece un gesto di rassegnazione e di inutilità. Il sinda­co rise amaramente.

«Parole! Parole! Abbiamo visto che bel risultato hanno avuto i vostri discorsi. No, signore. Tratteremo la questione a modo nostro, e potete ringraziare il Cielo che il vostro sinda­co e il consiglio della città non abbiano dimenticato come si difendono i diritti del popolo!»

Il suo tono di voce si era gradatamente elevato e il sindaco aveva addirittura urlato le ultime parole, per farsi udire da Hubble, che era già uscito dalla sala, immediatamente segui­to da Kenniston.

Fuori, sulla piazza, Kenniston disse: «C’è una sola cosa da fare... parlare a Varn Allan. Se consentisse a richiamare i suoi cani per un po’ di tempo, le cose potrebbero frattanto acquietarsi.» Poi scosse il capo, con espressione triste e stanca. «Non mi piace troppo dover ammettere con quella bionda dispotica che siamo governati da un mucchio di gen­te senza testa, ma...»

«Non si possono del tutto biasimare, in fondo» disse Hubble. «Noi siamo veramente come bambini posti di fronte all’ignoto, e per non fare ciò che ci chiedono ricorria­mo alla guerra. Solamente che facciamo le cose proprio nel modo sbagliato...» Sospirò. «Va’ alla nave spaziale, Ken. Cerca di fare quello che puoi. Io torno al Municipio per vede­re se mi riesce di far ragionare il sindaco e gli altri. Se ne avrò la pazienza, almeno... Insomma, buona fortuna!»

Rientrò in Municipio, e Kenniston rifece, con passo stan­co, il percorso verso la porta della città.

La folla era ormai raddoppiata, da quando l’aveva vista poco prima. Tutti si spingevano verso la porta, affollandosi ai lati di essa, dalla parte interna della cupola. Fuori, sulla pia­nura, scintillavano le luci di due navi spaziali. La gente le guardava e un cupo mormorio correva tra la folla, come il ru­more del vento prima della tempesta. La compagnia della Guardia Nazionale, in pieno assetto di guerra, aveva occupa­to la porta.

Kenniston si avvicinò ai soldati. Fece un segno di saluto col capo ad alcuni che conosceva, e disse: «Devo andare da loro... un colloquio importante.»

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