Edmond Hamilton - Agonia della Terra

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Agonia della Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Una bomba superatomica viene lanciata, da una nazione sconociuta, su una piccola città americana dove si cela un centro per le ricerche atomiche. L’esplosione ha per effetto di rompere la continuità del tempo e sbalestrare la piccola città, intatta, in un’epoca dell’avvenire, a milioni di anni nel futuro, in una Terra morente e arida, inabitabile e deserta. La Federazione delle Stelle, che governa tutti i mondi del futuro, interviene per evacuare la popolazione della città su un altro pianeta. Ma la popolazione si ribella, e, con l’aiuto di uno scienziato del futuro, alla Terra morente viene iniettata una potente carica atomica che ha la virtù di riscaldarla nuovamente. Gli ultimi superstiti rimangono quindi sulla Terra rinata e la vita degli abitanti della piccola città può riprendere il suo corso normale, nella eterna storia dell’Universo.

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Hubble lo risvegliò, alla fine, da quel sonno tormentato, per dirgli che Varn Allan e Lund erano giunti, e che il sindaco aveva riunito il consiglio municipale.

«Abbiamo bisogno di te come interprete, Ken» disse. «Tu parli meglio di chiunque altro la loro lingua, e questa è una questione troppo importante per correre il rischio di malintesi.»

Nessuno di loro parlò durante il percorso verso l’alto edificio che era divenuto sede del Municipio. Kenniston poté ac­corgersi che anche Hubble era, come lui, inquieto e preoccu­pato.

Una grossa folla si era raccolta sulla piazza, una folla feli­ce, venuta ad applaudire i buoni amici che li avevano aiuta­ti. Nel Municipio, il consiglio di Middletown sedeva attorno a un massiccio tavolo di metallo. C’erano il sindaco Garris, Borchard, il commerciante di carbone, Moretti, il commer­ciante di alimentari e un’altra mezza dozzina di persone. Al­l’altra estremità del tavolo sedevano la donna e l’uomo di Vega, che erano gli amministratori di un vasto settore di spazio, con tutti i suoi mondi e i suoi popoli.

Il sindaco Garris si attaccò a Kenniston sin dal momento che questi entrò. Dal viso si capiva che aveva dormito anche peggio di Kenniston, e il suo umore non era affatto mutato, dalla sera prima.

«Domandatele, Kenniston» esordì «domandatele se questa storia della evacuazione è vera.»

Kenniston fece la domanda.

Varn Allan fece un cenno affermativo: «Verissima. Mi spiace che Gorr Holl abbia parlato tanto prematuramente... sembra che ciò vi abbia messi in subbuglio.» Diede un’oc­chiata ai visi cupi dei membri del consiglio e al viso teso del sindaco. Kenniston si accorse, in quel momento, che la don­na doveva essersi già trovata in circostanze simili con altre popolazioni, e che affrontava perciò il problema con una specie di stanca pazienza.

«Sono sicura» disse «che col tempo capirete che cer­chiamo di servire unicamente i vostri migliori interessi.»

«I nostri migliori interessi?» gridò Garris, quando ebbe udito la traduzione. «Allora perché non ce lo avete detto sin da principio? Perché avete progettato tutto ciò alle nostre spalle?»

«Ve lo avevo detto che sarebbe stato meglio...» co­minciò Norden Lund, con un risolino ironico, rivolto alla donna.

«Discuteremo ciò più tardi!» lo interruppe seccamente quest’ultima. Kenniston poté vedere lo sforzo che ella faceva per dominare l’ira, mentre si rivolgeva direttamente a lui.

«Volevamo attendere finché si sarebbe potuto presentar­vi un piano completo di evacuazione, in modo da non turba­re troppo la vostra gente.»

«In altre parole» sbottò Kenniston, con ira «credevate di trattare con un mucchio di selvaggi nei confronti dei quali era necessario nascondere la verità?»

«Non vi comportate voi stesso proprio nel modo primiti­vo di cui parlate?» domandò Varn Allan. Ancora una volta lei si sforzò di reprimere la propria irritazione. Poi parlò di nuovo con calma, come se cercasse di spiegare la cosa a un bambino. «Una nave spaziale di esperti in evacuazione, è attualmente in viaggio verso la Terra, e dovrebbe presto arri­vare. Potranno accertare i bisogni del vostro popolo e trovare un mondo che sia adatto alle sue esigenze fisiche e psicologi­che. Cureremo che sia un mondo il più possibile somigliante alla vostra Terra di una volta.»

«Siete molto gentile davvero» disse Kenniston, ironico.

Gli occhi azzurri della donna lampeggiavano ora con aperta ostilità. Kenniston distolse gli occhi da lei perché Garris chiedeva la traduzione. Kenniston tradusse senza atte­nuare le espressioni dure della donna.

Nella sua indignazione, Garris dimenticò completamente l’oratoria. Gridava, addirittura.

«Se credono che noi ci muoveremo dalla Terra per an­darcene in qualche altro pazzo mondo del cielo, si sbagliano di grosso! Spiegatelo loro bene, questo!»

Varn Allan apparve sinceramente sbalordita, quando Ken­niston le tradusse le parole del sindaco.

«Ma non posso credere che vogliate rimanere esposti al freddo e ai pericoli di questo mondo morente!»

Kenniston notò che la rabbia e un’istintiva paura si face­vano sempre più evidenti sul viso pallidissimo del sindaco. Del resto le sue reazioni erano identiche.

«Non riesce a crederlo?» proruppe Garris, parlando pe­nosamente, con la gola attanagliata dall’emozione. «Non riesce a crederlo? Ascoltate ciò che dice! Abbiamo lasciato la nostra epoca. Abbiamo dovuto abbandonare la nostra città, le nostre case. Questo è abbastanza! È tutto ciò che possiamo sopportare, in una vita sola! Lasciare la Terra? Abbandonare il nostro mondo? No!»

Non parlava più con accenti oratori, adesso. Era come un uomo a cui fosse stato richiesto di morire.

Kenniston parlò a Varn Allan. Anche la sua voce era turba­ta, ora.

«Cercate di capire. Siamo nati sulla Terra. Tutta la nostra vita, tutte le generazioni prima di noi, sin dall’inizio...»

Non riusciva a mettere in parole quell’appassionato atto di fede nella Terra.

La Terra che Egli ha dato ai figli degli uomini...

La Terra, il suolo, i venti e le piogge, il sorgere e il morire delle generazioni, gli animali, gli alberi, l’uomo. Non si pote­va dimenticare tutto ciò. Non si poteva rinnegare l’eredità di un mondo come se non fosse mai esistito.

Norden Lund si mise a parlare con Varn Allan, guardando con disprezzo gli uomini di Middletown.

«Vi avevo avvertita, Varn, che questi primitivi sono trop­po emotivi per subire i metodi ordinari.»

La donna, con un’aria di turbamento negli occhi azzurri, non fece attenzione a Lund, e si rivolse a Kenniston.

«Dovete mostrare loro i fatti quali sono. La vita qui è im­possibile, e perciò debbono andarsene.»

«Lo dica lei alla popolazione, questo!» disse il sindaco con voce soffocata. «No! Lo dirò io stesso!»

Si alzò e lasciò la sala del consiglio.

Nella sua piccola, grassoccia figura, vi era ora una incon­sueta, curiosa dignità. Borchard, Moretti e gli altri lo segui­rono. Anch’essi mostravano un istintivo timore, una istintiva avversione per ciò che era stato loro proposto. Uscirono sui gradini, e Kenniston e Hubble, insieme ai due venuti dalle stelle, li seguirono.

Fuori, sulla piazza, erano ancora ammassati migliaia di abitanti: operai, massaie, banchieri e contabili, vecchie e bambini. Erano ancora felici, e applaudirono con grida gio­iose che echeggiarono fra gli edifici.

Il sindaco Garris afferrò il microfono dell’altoparlante.

«Ascoltate tutti!» disse. «Ascoltate attentamente! Questi due ci dicono ora che dobbiamo lasciare la Terra. Di­cono che ci daranno un mondo migliore, in qualche posto, lassù, fra le stelle. Che dobbiamo fare? Volete andarvene...? Volete andarvene dalla Terra?»

Vi fu un lungo silenzio, durante il quale Kenniston vide i visi degli abitanti sbalorditi, increduli. Guardò il profilo ta­gliente di Varn Allan e si accorse che era segnato dalla stan­chezza. Capì ancora più, in quel momento, che due epoche, due modi assolutamente diversi di pensare e di vivere, stava­no fronteggiandosi, e trovavano assai difficile una reciproca comprensione.

Quando infine la folla degli abitanti afferrò appieno il significato della cosa, la risposta giunse in un crescente coro di esclamazioni.

«Andarcene dalla Terra? Andare ad abitare in qualche posto del cielo? Ma quei due sono matti!»

«È già molto penoso lasciare Middletown per questo po­sto! Ma lasciare addirittura la Terra?»

Un uomo rozzo, dalle grosse mani callose, in cui Kenni­ston riconobbe Lauber, un camionista di McLain, salì i gradi­ni e parlò al sindaco.

«Che significa tutto questo, in ogni modo? Stiamo benis­simo qui, ora. Perché dovremmo andarcene sulla Luna, o su qualche altro posto?»

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