«Crede che sia possibile rimettere nuovamente in azione i generatori. Ma ci vorrà tempo, e avrà bisogno di materiale: rame, magnesio, anche platino.»
Kenniston e Hubble ascoltarono attentamente le spiegazioni di Eglin. Poi Hubble fece un cenno affermativo col capo, e disse: «Potremo trovare tutte queste cose nella vecchia Middletown.»
«La vecchia città?» gridò Piers Eglin, improvvisamente entusiasta. «Verrò sicuramente con voi! Partiremo subito!»
Il piccolo e magro storico era pazzo di gioia, alla prospettiva di poter dare finalmente un’occhiata alla vecchia città. Continuò a insistere finché lui, Hubble e Kenniston non partirono in jeep attraverso la desolata pianura color ocra.
«Vedrò finalmente, proprio coi miei occhi, una città dell’era preatomica!» diceva esultante.
Era una cosa piuttosto strana, arrivare alla vecchia Middletown così deserta e silenziosa, in mezzo a tutta quella desolazione. Le case erano ancora come le avevano lasciate, con le porte e le finestre sbarrate. Le strade erano invase da uno spesso strato di polvere. Gli alberi erano nudi e anche l’ultimo filo d’erba era ormai morto.
Kenniston vide che Hubble aveva gli occhi umidi e sentì che anche il suo cuore si contraeva in una terribile e angosciosa nostalgia. Si pentì di essere tornato là. Trovandosi nell’altra città, assorbito nello sforzo di sopravvivere, poteva almeno dimenticare quale era stata la sua vita di prima.
Guidava la jeep attraverso quelle strade, silenziose e morte, e la memoria gli parlava di lontane estati... ragazze in vesti vivaci, alberi carichi di fiori, il gridìo dei passeri, le luci, i suoni delle voci umane nella sera sonnolenta...
Piers Eglin era ammutolito per la meraviglia. Era come perduto in un suo sogno di storico, che ora si avverava. Disceso dalla macchina, camminava per le strade e spiava nei negozi e nelle case.
«Dev’essere tutto conservato» bisbigliò. «È troppo prezioso, tutto questo. Farò costruire una cupola per difendere tutta la città dalle intemperie e dal tempo, e farò sigillare la cupola... Quante cose...! Le insegne, i manufatti, i bellissimi pezzi di carta...!»
«C’è qualcuno qui» disse Hubble, d’improvviso.
Kenniston vide che, davanti a loro, vicino alla porta dei vecchi Laboratori, era ferma una specie di vettura molto piccola, a forma di proiettile.
Dall’edificio uscivano in quel momento Norden Lund e Varn Allan.
La donna parlò a Eglin, e questi tradusse: «Stavano raccogliendo dati per la loro relazione al Governo centrale.»
Kenniston scorse un’espressione di disgusto nel viso intelligente della giovane donna, mentre i suoi occhi azzurri osservavano il panorama dei vecchi stabilimenti, le ciminiere scure annerite dal fumo, le ringhiere arrugginite, le piccole e modeste case allineate sulle strade anguste. Ne provò un acuto risentimento, e disse, quasi in tono di sfida: «Domandatele che ne pensa della nostra piccola città.»
Eglin fece la domanda e Varn Allan rispose con parole incisive. Il piccolo storico apparve imbarazzato, quando Kenniston gli domandò di tradurre la risposta. Egli esitò. Infine disse: «Varn Allan dice che è incredibile che esseri umani abbiano potuto vivere in un posto così misero e sordido.»
Lund scoppiò a ridere. Kenniston arrossì violentemente, e per un attimo detestò quella donna. La detestò per quella sua fredda, imperiosa superiorità. Guardava la vecchia Middletown come avrebbe potuto guardare uno sporco antro di scimmie.
Hubble vide ciò che passava nell’animo di Kenniston, e gli mise una mano sul braccio.
«Vieni, Ken. Abbiamo del lavoro da fare.»
Kenniston seguì il suo superiore nei Laboratori, mentre Piers Eglin li accompagnava.
«Ma perché hanno messo quella bionda altezzosa a capo della loro spedizione?» domandò Kenniston.
«Probabilmente perché era competente a farlo» rispose Hubble. «Non mi vorrai far credere che sei tormentato da un atavico orgoglio mascolino?»
Piers Eglin aveva capito ciò che dicevano, perché si mise a ridere.
«Non è un sentimento così atavico come credete. Anche a Norden Lund non piace affatto essere agli ordini di una ragazza.»
Quando uscirono dall’edificio coi materiali che occorrevano a Gorr Holl, Varn Allan e Norden Lund se n’erano già andati.
Al loro ritorno, trovarono che Gorr Holl e i suoi compagni si erano già messi al lavoro e stavano smontando i generatori. Lanciando ordini a destra e a sinistra, attaccando ogni generatore come se fosse un suo personale nemico, Gorr Holl riusciva a ottenere miracoli da quegli strani tecnici che lo accompagnavano.
Kenniston, nei giorni che seguirono, dimenticò ogni impressione di stranezza e di imbarazzo, nell’intenso interesse tecnico del lavoro. Lavorava come poteva; mangiava e dormiva con quei suoi strani colleghi e cominciò ad apprendere la loro lingua con sorprendente rapidità. Piers Eglin lo aiutava con molta sollecitudine e, dopo che Kenniston ebbe scoperto le analogie tra la loro lingua e l’inglese, le cose andarono assai più speditamente.
Si accorse, un giorno, che lavorava con gli umanoidi nel modo più naturale del mondo, come se lo avesse sempre fatto. Non gli sembrava più tanto strano, ora, che Magro, quell’essere elegante con la criniera bianca, fosse un esperto di elettronica il cui rapido e preciso lavoro lasciava Kenniston a bocca aperta.
I due fratelli alati, Ban e Bal, erano veri maestri nel lavoro di riparazione. Kenniston invidiava la loro abilità nel rimettere a nuovo le parti logorate, la facilità con la quale i loro agili corpi si levavano in volo, come pipistrelli, per raggiungere i punti più alti degli apparecchi atomici, dove agli uomini normali non era possibile giungere.
Lal’lor, il vecchio grigio dal corpo massiccio, che parlava poco ma vedeva molto coi suoi occhi piccoli e saggi, possedeva un genio matematico stupefacente. Kenniston se ne accorse, quando Lallor si recò con lui, Hubble e Piers Eglin, a dare un’occhiata al grande pozzo calorifico.
Lo storico disse che il pozzo scendeva probabilmente fino alle più lontane profondità della Terra.
«È stata una grande opera. Sia questa, sia gli altri pozzi costruiti nelle città protette da cupole hanno conservato la Terra abitabile per molte epoche, più di quanto sarebbe stato altrimenti possibile. Ma ormai non si può più ricavare calore dalle profondità della Terra.» Così dicendo sospirò. «Questo è il destino di tutti i pianeti, presto o tardi. Anche quando i loro soli si sono affievoliti, possono vivere fintanto che il calore interno li mantiene caldi. Ma quando quel calore interno muore, il pianeta deve essere abbandonato.»
Lal’lor parlò allora, con la sua voce profonda e gutturale.
«Ma Jon Arnol, come sapete, afferma che un pianeta morto e freddo può essere fatto rivivere. E le sue equazioni sono inattaccabili.»
E il grosso e grigio umanoide ripeté di punto in bianco tutta una serie vertiginosa di equazioni, alla quale Kenniston non poté nemmeno tener dietro.
Piers Eglin, per qualche ragione speciale, parve stranamente imbarazzato. Evitando gli occhi di Lal’lor, disse allora in fretta: «Jon Arnol è un entusiasta, un teorico fanatico. Sapete bene ciò che è accaduto, quando ha voluto tentare un esperimento.»
Non appena Kenniston poté farsi comprendere nella nuova lingua, Piers Eglin considerò finito il suo compito e partì per la vecchia Middletown, a rabbrividire e congelare allegramente fra i tesori arcaici che ivi abbondavano in ogni strada. Lasciato solo con gli umanoidi interplanetari, Kenniston si accorse che dimenticava sempre più ogni diversità di epoca e di cultura nonché di razza, mentre lavorava con loro a ricondurre la vita nelle arterie energetiche della città.
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