Erano saliti sul ponte interno, e Kenniston aveva guardato nello spazio, dove i grandi soli bruciavano senza alcun velo e dove non esistevano né aria né nubi che li nascondessero. E aveva dovuto far forza su se stesso, per non gettarsi a terra e piangere e uggiolare come un cane.
Cercò di immaginarsi le difficoltà che lo attendevano a Vega, dove avrebbe dovuto difendere la causa della piccola Middletown davanti ai Governatori delle Stelle. Come avrebbe potuto far capire l’appassionata devozione del suo piccolo popolo per il suo piccolo e antico pianeta, a gente che viaggiava con tanta facilità in navi spaziali come quella?
Eppure, se falliva nel suo scopo, avrebbe anche mancato al compito che si era assunto verso la popolazione di Middletown, che aveva riposto tanta speranza nella sua missione. Era questo, a cui doveva pensare... non allo spazio, non alle sue sensazioni personali, ma al compito che lo attendeva.
Diede un’occhiata a Gorr Holl, e disse: «Ho visto abbastanza, per ora, andiamo!»
Lasciarono Piers Eglin e scesero nei corridoi inferiori. Quando furono nel corridoio principale, soli, Kenniston disse: «Adesso, Gorr, vorrei sapere qualche cosa di più su quanto mi hai detto.»
Gorr Holl fece un cenno di consenso.
«Andiamo da Magro e Lal’lor. Ci attendono.»
Lo condusse lungo misteriosi corridoi, sino a una cabina accanto alla sua. Kenniston provò sollievo nel trovarsi ancora in un posto chiuso, senza finestre, dove non poteva vedere il vertiginoso vuoto dello spazio. Sotto la sua istintiva paura vi era tuttavia una selvaggia esultanza... ma un uomo del ventesimo secolo, e suo malgrado attaccato al ventesimo secolo, non poteva certo assorbire tali e tante emozioni in una volta sola.
La figura massiccia di Lal’lor era china su una tavola cosparsa di fogli coperti di complicati simboli matematici. Magro, che era sdraiato in una cuccetta, diede delle spiegazioni a Kenniston.
«Lal’lor si occupa di teoremi per divertimento. Pretende persino di capire a fondo tutte quelle cifre che scrive.»
Lal’lor gli lanciò uno sguardo divertito coi piccoli occhi intelligenti nel viso curiosamente piatto e inespressivo. Poi allontanò con un gesto i fogli che aveva davanti e disse: «Siedi, Kenniston. Così siamo alleati, ora, oltre che amici.»
«Desidererei» disse Kenniston «che qualcuno mi spiegasse in che consiste questa alleanza. Sto giocando i destini del mio popolo sulla parola, sulla buona fede, senza sapere nulla di ciò che voi sapete.»
«Non vi è nulla di sinistro, in tutto ciò» disse Gorr Holl. Si accomodò, con la sua pesante mole pelosa, su un angolo della tavola di Lal’lor, che era abbastanza solida per sostenerne il peso. Poi proseguì: «Come ti ho detto, tutti noi abbiamo lo stesso problema, la cui soluzione si basa su un uomo e su un procedimento.»
Si fermò un attimo, assorto, poi riprese: «Per un caso piuttosto originale, Kenniston, ti sei trovato meglio con noi che con gli uomini della tua stessa stirpe. Le razze umane si sono diffuse dalla Terra nell’universo molto tempo fa, e hanno continuato a muoversi e a diffondersi, allargando sempre la loro crescita d’azione, sino a perdere ogni senso di attaccamento al loro mondo d’origine. L’intero universo è la loro patria, e non un solo pianeta.»
Questo, Kenniston cominciava a comprenderlo sempre meglio; le impersonali immensità dello spazio, tante volte attraversate, tendevano a staccare l’uomo dalle sue ristrette correnti di pensiero. Carol, in questo, aveva intuito bene.
Gorr Holl continuò: «Ma noi razze umanoidi, non la pensiamo affatto in questo modo. Quando gli uomini vennero nei nostri mondi, eravamo quasi del tutto barbari e felicissimi nella nostra barbarie. Ebbene, ci hanno civilizzati, e siamo ora accettati da loro come eguali. Ma noi siamo ancora primitivi, nel pensiero, nella mentalità; noi siamo ancora attaccati ai nostri mondi originari, e ogni volta che diventa necessario rimuoverci noi siamo contrari, proprio come è contrario il vostro popolo... abbiamo solo imparato a essere meno violenti. Alla fine, naturalmente, abbiamo sempre ceduto. Ma in questi ultimi anni abbiamo resistito più disperatamente, perché avevamo qualche cosa in cui sperare... e questo qualche cosa è il procedimento di Jon Arnol.»
«Continua!» lo incoraggiò Kenniston. «Finora, di Jon Arnol, non conosco che il nome. In che cosa esattamente consiste il suo procedimento? Mi hai detto, se non sbaglio, che si trattava di un procedimento per ringiovanire i pianeti freddi e morenti.»
Lal’lor intervenne, per spiegare di che si trattava.
«Il progetto di Arnol consiste in questo: iniziare un ciclo di trasformazione dell’energia-materia simile alla trasformazione dell’idrogeno-elio che dà al sole la sua energia... iniziare questo ciclo nucleare di trasformazione operando profondamente entro il pianeta freddo.»
Kenniston lo guardò fisso, completamente stupefatto.
«Ma» disse alla fine «questo equivarrebbe a creare un gigantesco forno solare nelle più intime viscere di un pianeta!»
«Già! Un’idea audace e brillante. Risolverebbe il problema di molti mondi freddi e morenti in tutta la Federazione... perché, come sai, un pianeta può vivere del suo calore interno per molto tempo dopo che il calore del suo sole è cessato.» Si arrestò per un attimo, poi riprese: «Sfortunatamente, quando Arnol provò il suo procedimento su di un piccolo asteroide, i risultati furono disastrosi.»
«Disastrosi?»
«Proprio così. La bomba-energia, progettata per iniziare il ciclo nell’interno di quell’asteroide, non ebbe successo e provocò terribili terremoti e l’asteroide ne fu devastato. Arnol asserisce che ciò è accaduto perché non gli è stato concesso un pianeta abbastanza grande per la sua prova. Le sue equazioni confermano le sue dichiarazioni.»
«Perché allora» domandò Kenniston «non ha fatto un’altra prova su un pianeta più grande?»
«I Governatori non glielo hanno permesso» disse Lal’lor. «Dicevano che era troppo pericoloso.»
«Ma non poteva ritentare la prova su un pianeta disabitato, e perciò senza pericolo per nessuno?»
Lal’lor sospirò.
«Non capisci, Kenniston. I Governatori non vogliono che il procedimento di Arnol riesca. Non vogliono che sia possibile ai popoli primitivi di restare attaccati ai loro mondi originari. Questo è proprio il genere di patriottismo provinciale cui sono contrari, nel loro sforzo di fondare una vera comunità stellare cosmopolita.»
Kenniston rifletté sulla cosa. Tutto ciò combinava con quanto aveva visto e udito della vasta Federazione delle Stelle. Eppure...
«Se ho ben capito» disse lentamente «la conclusione è che volete usare il mio mondo, la nostra Terra, per provare un procedimento che i vostri Governatori, qualunque ne siano i motivi, hanno già giudicato pericoloso.»
Lal’lor fece, calmo, un cenno di conferma.
«Sì. La conclusione è proprio questa. Ma non si tratta per ora di tentare la prova, per la prima volta, sulla Terra, o su qualche altro pianeta abbandonato. La questione è un’altra, quella cioè di costringere il Comitato dei Governatori a permettere un’altra prova.»
«Non vedi come tutto combina?» intervenne Gorr Holl. «Da sola, la tua richiesta di rimanere sulla Terra verrebbe respinta, perché non puoi presentare altra alternativa all’evacuazione. Ma presentando come alternativa il procedimento di Jon Arnol, potrai aiutare la Terra e anche noi!»
Kenniston cercava di comprendere la cosmica complessità del problema.
«In altre parole, se potessimo persuadere i Governatori a concedere un’altra prova, questo ritarderebbe l’evacuazione della Terra?»
«Infatti!» confermò Lal’lor. «E se il procedimento di Arnol ha successo, la Terra e anche i nostri mondi, che si trovano nelle medesime condizioni della Terra in tutta la Federazione, potranno nuovamente essere resi caldi e abitabili. Non vale la pena di tentare?»
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