— Approssimativamente cinque ore.
— Va bene. — Improvvisamente, Surgenor si accorse di essere esausto, di non avere niente di utile da fare in quelle cinque ore, e di non poter più ritardare il momento in cui si sarebbe trovato solo nella sua cabina, isolato, a trenta milioni di anni-luce dalla Terra. L’alternativa era bersi un altro bicchierino, ma non aveva alcun desiderio di cominciare ad usare l’alcool per tenersi su… specialmente dal momento che le riserve sarebbero durate solo per poche settimane.
— È meglio che ci andiamo a riposare un po’ — disse a Gillespie e a Targett, dando un’occhiata all’orologio. — Possiamo rivederci qui alle…
— Ho eseguito un’analisi spettroscopica preliminare dell’ammasso — intervenne Aesop inaspettatamente. — Le linee di emissione provano che la materia stellare ha la stessa composizione di quella della nostra galassia, ma in tutti i casi le linee mostrano uno spostamento verso la parte blu dello spettro.
Senza sapere il perché, Surgenor provò un senso di allarme. — Questo non riduce le possibilità di trovare un pianeta abitabile, vero?
— No. — La risposta di Aesop era rassicurante, ma rendeva il suo intervento ancora più strano.
Surgenor guardò Targett aggrottando la fronte. Targett aveva una certa preparazione in astronomia.
— Perché Aesop ce ne ha parlato?
— Spostamento verso il blu? — Targett era stupito quanto Surgenor. — Penso che voglia dire che tutte le stelle in questo ammasso si stanno muovendo verso di noi. Cioè, non verso di noi… verso un centro comune a cui ci troviamo vicini.
— E allora?
Targett si strinse nelle spalle. — È strano, ecco tutto. Solitamente l’universo è in espansione.
— Aesop, abbiamo pensato a quello che hai detto sulle linee spettrali — disse Surgenor. — Significa che questo ammasso sta implodendo, giusto?
— Esatto. La velocità delle stelle vicino alla regione centrale raggiunge i centocinquanta chilometri al secondo, e aumenta alla periferia dell’ammasso. Vi ho informato di questo fenomeno perché non presenta nessun parallelo conosciuto nel sistema della Via Lattea.
Surgenor provò la spiacevole sensazione che Aesop stesse evitando di dir loro qualcosa di spiacevole. Eppure sapeva che, malgrado le molte finezze di cui era stata dotata la “personalità” di Aesop, i suoi progettisti non si erano mai sognati di farlo anche reticente.
— Va bene — disse — ci troviamo in un ammasso in fase di implosione, e si tratta di un fenomeno nuovo per la nostra esperienza. Ma poiché questa esperienza è limitata al sistema della Via Lattea, è logico che dobbiamo aspettarci sorprese in altre parti dell’universo.
— Questa osservazione è valida da un punto di vista filosofico — replicò Aesop. — Ma la cosa veramente sorprendente di questo ammasso stellare non è la sua configurazione nello spazio, ma nel tempo.
— Non capisco, Aesop. Spiegati con parole più semplici.
— La distanza media fra le stelle è di uno virgola due anni-luce. Si muovono verso il centro a una velocità di circa centocinquanta chilometri al secondo. Noi ci troviamo già al centro, o vicino al centro dell’ammasso. Questo significa che abbiamo raggiunto la nostra attuale posizione meno di centocinquanta anni terrestri prima della prima collisione. Solo che i tempi astronomici sono tali che una simile ipotesi deve essere respinta.
— Vuoi dire che è impossibile?
— Non è impossibile — rispose tranquillamente Aesop. — Ma su scala astronomica, un periodo di centocinquanta anni è infinitesimalmente piccolo. Non ho dati sufficienti sulle condizioni locali per calcolare le probabilità, ma è estremamente difficile che siamo capitati qui proprio in questo stadio dell’evoluzione dell’ammasso. Dovrebbe essere molto più ampio e diffuso, oppure dovrebbe esserci già una massa centrale.
Surgenor osservò il cielo pieno di stelle. — Allora… qual è la tua spiegazione?
— Non ho nessuna spiegazione, Dave. Sto semplicemente esponendo i fatti.
— In questo caso, dobbiamo ritenere di essere capitati in un momento molto interessante — disse Surgenor. — Anche l’improbabile è destinato a capitare, ogni…
— Aesop — intervenne Targett con voce ansiosa. — Non ci troviamo sull’orlo di un buco nero, vero?
— No. I buchi neri sono facilmente individuabili, sia nello spazio normale che nello spazio-beta, e mi sarei preoccupato di evitarlo. Anzi, non riesco neppure a individuare un centro gravitazionale, per quanto debole, nella regione. E questo rende il processo implosivo ancora più inspiegabile.
— Mmm. Hai detto che le stelle ai confini dell’ammasso si muovono più in fretta. La loro velocità è proporzionale alla distanza dal centro?
— Un controllo per campioni conferma questa ipotesi.
— È strano — disse Targett pensieroso. — Sembra quasi che… — Lasciò la frase in sospeso, osservando le stelle intorno con rinnovato interesse.
— Cosa stavi per dire? — lo incalzò Gillespie.
— Niente. Certe volte mi vengono delle idee strane.
— Non stiamo approdando a niente con questa discussione. — Surgenor guardò l’orologio, che era stato regolato sul tempo della nave.
— Propongo di aggiornare la riunione e di ritrovarci qui alle sette. Forse per allora ci saremmo schiariti le idee, e in ogni modo ci sarà il rapporto di Aesop su cui lavorare.
Gli altri annuirono, e tutti insieme tornarono alla normalità illuminata della sala mensa, lontano dalla pressione psicologica del cielo straniero. Surgenor prese la scaletta principale e raggiunse il corridoio curvo che dava accesso alle cabine. Per convenienza burocratica, i numeri delle stanze seguivano quelli dei moduli a cui erano assegnati i vari membri dell’equipaggio. Surgenor, occupando il posto di sinistra del Modulo Cinque, aveva la cabina numero nove.
Passò a fianco della prima stanza, dove, negli ultimi cinque anni, era solito entrare per chiacchierare con Mare Lamereux, e gli venne in mente che doveva delle scuse a Christine Holmes. La porta era chiusa, ma il segnale di “non disturbare” non era acceso, per cui non c’era modo di sapere se la donna fosse dentro o no. Surgenor esitò, poi bussò al pannello di plastica, e sentì una risposta indistinta che sembrava un invito ad entrare. Girò la maniglia, aprì la porta e venne accolto da un’imprecazione sorpresa. Christine, nuda fino alla vita, era seduta sull’orlo del letto, con le mani incrociate sui seni.
— Scusa! — Surgenor richiuse la porta e attese nel corridoio, rimpiangendo di non essere andato subito nella sua cabina.
— Cosa ti è venuto in mente? — Christine si era rimessa la camicetta quando riaprì la porta. — Cosa vuoi? Surgenor cercò di sorridere. -Non mi inviti ad entrare?
— Cosa vuoi? — ripeté lei impaziente, ignorando la richiesta.
— Ecco… volevo scusarmi.
— E per che cosa?
— Per quello che è successo alla riunione. Io poi, non sono stato di molto aiuto.
— Non ho bisogno di nessun aiuto. I buffoni come Narvik e Schilling non mi fanno paura.
— Ne sono convinto, ma non è questo il punto.
— No? — Christine sospirò, e Surgenor sentì l’odore di sigaretta nel suo fiato. — Va bene. Hai fatto le tue scuse, e adesso ci sentiamo tutti meglio. Ti dispiace se vado a dormire un po’? — Chiuse la porta, e si udì il rumore del chiavistello, tirato con più forza del necessario. Il segnale “non disturbare” si accese.
Surgenor si massaggiò la mascella pensoso, continuando verso la propria stanza. Quando Christine Holmes era arrabbiata, come senza dubbio era in quel momento, sapeva essere dura e sferzante come qualunque uomo, ma colta di sorpresa, aveva reagito in maniera tipicamente femminile. Quell’antico gesto di difesa, il nascondere i seni agli occhi di un estraneo, indicava la consapevolezza della propria sessualità, indicava che lei si considerava ancora una donna. Surgenor cercò di immaginare la Christine che conosceva, con le ossa grosse e la carnagione olivastra, le mani callose e la sigaretta in bocca, pronta ad affrontare alla pari un mondo di maschi, nei panni di quella che doveva essere una volta, prima che la vita la colpisse così duramente; ma non riuscì a farsene un’immagine diversa. Rendendosi conto di quanto fosse inutile quell’esercizio, smise di pensare a lei ed entrò nella sua cabina.
Читать дальше