Il maggiore era pronto ad usare la forza con un’entità che aveva il potere di scivolargli fra le dita come fumo. Apparentemente, era un’azione avventata e destinata al fallimento… eppure Giyani non era uno stupido. Surgenor si accigliò, ricordando l’affermazione del maggiore secondo cui la creatura era una femmina incinta.
La figura aliena si mosse improvvisamente, mentre i tre si avvicinavano, e le pieghe del mantello che la copriva si allargarono attorno a lei. Giyani si fece avanti, per qualche secondo sembrò che tentasse di parlarle, poi la figura incappucciata si voltò per andarsene. Uno dei soldati gettò qualcosa, e una nube di gas avvolse la Saladiana, che cadde a terra, immobile.
I tre soldati sollevarono il corpo inerte, e lo trasportarono verso il modulo. Surgenor accese il motore e, in retromarcia, portò il modulo più vicino ai tre.
Per un attimo, mentre faceva girare lentamente il veicolo, il deserto sembrò riempirsi di bagliori e di figure incappucciate, ma l’illusione svanì di colpo, e quando si fermò, nel deserto c’erano soltanto i tre umani con il loro strano fardello.
Pochi secondi dopo erano dentro il veicolo. Surgenor si girò per guardare la figura aliena stesa sul pavimento. Anche con l’aiuto dei visori notturni, distingueva a fatica il pallido ovale del volto fra le pieghe dell’ampio mantello. «È davvero una femmina» pensò, chiedendosi come facesse ad esserne così sicuro.
— Andiamo — disse Giyani. — Velocità massima.
Surgenor accese i sospensori, e fece partire il veicolo ancora prima che si fosse sollevato completamente. Il modulo si lanciò verso nord, sobbalzando, ondeggiando e lasciandosi alle spalle un gran ventaglio di sabbia.
Giyani, sul suo sedile, si rilassò con un sospiro. — Va bene così. Non rallentate finché non vedrete la nave.
Surgenor si rese conto che l’aliena emanava un odore dolciastro, simile a quello dell’uva moscata, o di qualche altro frutto che non assaggiava più dall’infanzia. Si chiese se fosse l’odore naturale della femmina, o un profumo artificiale, e decise per la prima ipotesi.
— Quanto tempo ci metteremo a tornare? — chiese Giyani.
— Circa un’ora, a questa velocità. — Surgenor aumentò l’illuminazione del pannello dei comandi.
— Non che la velocità possa servirci a molto.
— Cosa volete dire, David? — La voce di Giyani era roca per l’eccitazione.
— Se davvero i Saladiani possono muoversi liberamente nel tempo, è perfettamente inutile cercare di sorprenderli o tentare di fuggire. Possono tornare indietro di qualche ora e fermarci prima ancora che cominciamo.
— Ma non l’hanno fatto, vero?
— No, ma non possiamo sperare di sapere in che modo pensino o reagiscano in una determinata situazione. I loro processi mentali saranno certamente… — Surgenor s’interruppe, mentre l’aliena alle sue spalle emetteva un lamento soffocato. Nello stesso istante nuovi bagliori apparvero e svanirono sulla superficie buia del deserto, di fronte al modulo, e per un attimo Surgenor pensò che i due eventi fossero collegati, anche se non avrebbe mai potuto immaginare come.
— È meglio che rallentiamo, maggiore — disse, facendo uno sforzo per immaginare il tempo come un’autostrada, con i cartelli delle ore al posto di quelli dei chilometri.
— A questa velocità abbiamo bisogno di uno spazio molto maggiore per frenare. Il che significa un tempo maggiore, e quindi un bersaglio più facile.
— Bersaglio?
— Più facile da vedere. Nel tempo, voglio dire. Ci rende più prevedibili…
— Ho un’idea, David. — Giyani si voltò sogghignando verso Kelvin.
— Perché non scrivete un manuale di tattica per noi, questa sera prima di cena? Sono sicuro che il colonnello Nietzel apprezzerebbe moltissimo i vostri consigli.
Surgenor si strinse nelle spalle. — Era solo un’idea.
— Potreste intitolarlo: «Tattiche dello scontro temporale». — Giyani non sembrava disposto a perdere la battuta. — Del dottor Surgenor, autista di autobus.
— Va bene, maggiore — disse Surgenor rassegnato. — Non occorre che… Non finì la frase. Il Modulo Cinque venne investito da una luce verde, accecante. «La luce del sole» pensò incredulo.
Poi il massiccio veicolo cominciò a cadere.
Sugli schermi, come in un lampo, passarono le immagini di una vegetazione lussureggiante, mentre il modulo si inclinava, batteva una fiancata sul terreno, rimbalzava. Si udì una serie di rumori secchi: il veicolo era piombato contro una macchia di piccoli alberi, e la maggior parte degli schermi si erano spenti, nel momento in cui i sensori esterni venivano strappati via. Alla fine il veicolo si fermò, impigliato in un ammasso di vegetazione rampicante, e lo strepito della caduta lasciò il posto al sibilo del gas che fuoriusciva da una conduttura rotta. Pochi secondi dopo l’ululato insistente di un allarme annunciava che la cabina si stava contaminando per la presenza di radiazioni.
Surgenor si liberò dall’armatura di sicurezza che era uscita automaticamente dallo schienale del sedile al primo impatto. Spalancò il portello più vicino, facendo entrare una vampata di aria umida e calda. Avvertì istintivamente che il pianeta Saladin non conosceva quell’aria da ere geologiche.
Si ritirarono lungo il sentiero tracciato dal Modulo Cinque, finché l’analizzatore polyrad al polso di Surgenor non mostrò che erano a distanza di sicurezza dalla falla radioattiva del veicolo.
Kelvin e McErlain misero a terra con delicatezza la donna aliena, appoggiandola di schiena al tronco di un albero. Anche se l’avevano trasportata solo per un breve tratto, le loro uniformi erano già bagnate di sudore. Surgenor si accorse che anche i suoi vestiti gli si erano appiccicati alle braccia e alle cosce, ma il fastidio fisico era insignificante, paragonato alla tensione mentale provocata dal salto temporale. La notte si era trasformata in giorno, contemporaneamente il deserto era diventato una giungla. Un sole giallo e infuocato, un sole “impossibile”, gli feriva gli occhi, accecandolo e riempiendolo di sgomento.
— Una delle due — disse Giyani freddamente, sedendosi su un tronco e massaggiandosi una caviglia. — O siamo nello stesso tempo, in un posto diverso, oppure nello stesso posto in un tempo diverso. — Guardò Surgenor negli occhi.
— Cosa ne dite, David?
— Io dico che la prima regola in quel libro di tattica del dottor Surgenor, guidatore di autobus, sarebbe: «Non correte». Proprio come vi avevo detto prima. Per poco…
— So quello che avete detto, David. Ammetto che avevate ragione, prima, o allora. Ma adesso cosa avete da dire?
— Pare che siamo incappati nell’equivalente saladiano di una mina. Mi è sembrato di vedere qualcosa, appena prima di cadere.
— Una mina? — disse Kelvin, guardandosi intorno con occhi impauriti, e per la prima volta Surgenor si rese conto che il tenente doveva avere appena una ventina d’anni.
Giyani annuì. — Sono propenso a darvi ragione. Una bomba temporale, potremmo chiamarla. Abbiamo fatto un prigioniero, e i Saladiani non erano preparati a un’eventualità del genere. In circostanze analoghe noi avremmo usato una bomba per costringere il bersaglio a cambiare posizione, ma a quanto pare i nativi ragionano in modo diverso dal nostro. Sentite, David, un cartografo dovrebbe conoscere un po’ di geologia: di quanto credete che siamo tornati indietro nel tempo?
— Non ne so molto di geologia, e la scala temporale varia da pianeta a pianeta, ma… — Surgenor fece un gesto, indicando la vegetazione lussureggiante che li circondava come un muro verde, l’aria umida e silenziosa, il sole abbagliante. — Per un mutamento climatico di questa portata sono necessari milioni di anni. Uno, dieci, cinquanta… scegliete voi. — Ascoltò affascinato le sue stesse parole, meravigliandosi di fronte alla capacità del suo corpo di continuare a funzionare in modo apparentemente normale dopo quanto era successo.
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