— Mike? — La voce di Surgenor sembrava esitante. — Stai bene?
Targett respirò profondamente.
— Tutto bene, Dave. Il Capitano Aesop mi ha salvato.
— Hai detto “Capitano”?
— Mi hai sentito. — Targett si alzò in piedi, guardando quel campo di battaglia pieno di relitti sul quale lui e un computer lontano migliaia di chilometri avevano sconfitto un’armata in attesa da settemila anni. Con tutta probabilità, non avrebbe mai saputo quale fosse lo scopo originario delle torpedini, né perché erano state lasciate su Horta VII; ma ormai il gusto per l’archeologia gli era passato del tutto. Gli bastava essere vivo, nel presente. Mentre osservava quella scena incredibile, una delle torpedini ancora intatta volò alla cieca contro una cresta rocciosa, a due chilometri di distanza. L’esplosione che ne seguì inondò lo spiazzo di luce.
Targett si ritrasse istintivamente.
— Un’altra se n’è andata, Aesop. — Non capisco cosa vuoi dire, Michael — rispose Aesop.
— Un’altra torpedine, naturalmente. Non hai visto il lampo?
— No. La telecamera non funziona.
— Oh? — Targett guardò verso il suo rifugio, dove era caduta la telecamera.
— Forse la luce di tutte quelle esplosioni ha fatto bruciare qualcosa.
— No. — Aesop fece una pausa. — Le trasmissioni sono cessate quando l’hai lasciata cadere. È probabile che si sia spenta per l’urto.
— Niente di più facile. Stavo correndo piuttosto… — Targett si interruppe. C’era qualcosa che non andava. — Allora mi hai mentito. Non potevi seguire i movimenti delle torpedini.
— Era necessario che ti mentissi, date le tue condizioni mentali.
— Ma mi dicevi anche quando sparare. Per l’amor di Dio, come facevi a sapere che ne avrei colpito una due volte?
— Non lo sapevo. — La voce di Aesop era impassibile. — Questa è una cosa che tu dovresti capire meglio di ogni altro, Michael. Ho giocato sulle probabilità.
— Questo è proprio quello che ci vuole per il mio libro, Mike. — La voce di Clifford Pollen era acuta per l’eccitazione, mentre si chinava verso di lui, al tavolo della mensa. — Intitolerò il capitolo: «Targett tira al bersaglio». Bello, no?
Targett, che si era aspettato di peggio, annuì. — Molto originale.
Pollen guardò le sue note corrugando la fronte. — Devo controllare la storia attentamente, però. C’erano trecentosessantadue torpedini che ti ronzavano intorno, e tu avevi solamente ventisei colpi. Questo vuol dire che Aesop ha scommesso la tua vita a uno contro tredici… e il gioco gli è riuscito!
— Sbagliato! Non è affatto così. — Targett sorrise con aria di commiserazione, mentre tagliava la sua bistecca. — Ti do un consiglio, Clifford: non giocare mai a poker, non hai la più pallida idea di come si calcolano le probabilità.
Pollen gli lanciò un’occhiata offesa. — Sono capacissimo di fare un calcolo così semplice. Trecentosessantadue diviso ventisei…
— Questo non c’entra niente con il calcolo reale nel caso in questione, amico mio. Io dovevo colpire la stessa torpedine due volte, giusto?
— Giusto — disse Pollen, impaziente.
— Bene, nel caso in questione non si possono trovare le probabilità semplicemente dividendo il numero più grande per quello più piccolo, come hai fatto tu, perché a ogni colpo sparato le probabilità cambiano. Ogni volta che colpivo una torpedine, inoltre, le probabilità che il colpo successivo fosse quello buono aumentavano, anche se di poco, e il solo modo per calcolare l’esatta probabilità globale è quello di moltiplicare tra loro venticinque serie di probabilità gradualmente crescenti. È un calcolo piuttosto difficile, a meno di non essere un computer, ma se l’avessi fatto avresti trovato che il risultato finale era di due contro uno di colpire una stessa torpedine due volte. Come vedi, non era una vera scommessa.
— Non ne sono convinto.
— Fai tu la prova con un calcolatore. — Targett s’infilò in bocca un pezzo di bistecca e masticò con aria soddisfatta. — È un buon esempio di quanto sia difficile calcolare possibilità complesse in base al semplice buon senso.
Pollen scribacchiò qualche numero. — È troppo complicato per me.
— È per questo che non diventerai mai un buon giocatore.
Targett sorrise, mangiando la sua bistecca. Evitò di dire che anche il suo buon senso si era ribellato a quel calcolo, e che gli ci era voluta una lunga e noiosa seduta sul suo canale privato con Aesop per convincerlo che le cose stavano effettivamente così. E non avrebbe mai raccontato a nessuno quale senso di desolazione si era impadronito di lui quando finalmente aveva capito che Aesop, quell’entità che proteggeva la sua vita, gli preparava i pranzi e rispondeva pazientemente a tutte le sue domande, non era niente di più che una macchina logica. Era molto meglio recitare la stessa commedia di tutti gli altri, rivolgersi di tanto in tanto a lui col titolo di “Capitano”, pensarlo come un essere superiore, che non scendeva mai dal suo posto di comando, situato da qualche parte sui ponti superiori della Sarafand .
— Faremo scalo a Parador alla fine della missione — disse Dave Surgenor, seduto dall’altra parte del tavolo. — Così potrai darci una dimostrazione pratica della tua abilità di giocatore.
— Non credo. — Targett addentò un altro boccone di bistecca. — Le case da gioco usano i computer per calcolare le probabilità. Questo gli da sempre un vantaggio sleale.
La Bolla era il nome non ufficiale con cui veniva indicata la zona di spazio in continua espansione nella quale ogni pianeta e asteroide era stato esplorato dagli uomini. Alcuni dei mondi, i migliori, venivano scelti per essere colonizzati o per altri programmi di sviluppo, ma solo a condizione che non vi fossero forme di vita indigene. Lo statuto dava al Servizio Cartografico solo la facoltà di occuparsi di pianeti disabitati, dato che i contatti con culture aliene erano prerogativa delle missioni diplomatiche o militari, secondo le circostanze.
Il risultato di questo stato di cose era che Dave Surgenor, pur essendo un veterano del Servizio Cartografico, non aveva mai incontrato, nel corso del suo lavoro, membri di una civiltà extraterrestre. Né si aspettava di incontrarli.
Surgenor restò da parte, in silenzio, mentre una parte degli apparecchi di ricerca del Modulo Cinque venivano estratti per introdurre due posti supplementari. Non appena i lavori furono terminati, montò sul pesante veicolo e lo fece scendere dalla rampa di sbarco della Sarafand a velocità elevata. La distanza fra l’astronave cartografica e l’ Admiral Carpenter , un tozzo vascello militare, non era molta, ma Surgenor decise di percorrerla usando la propulsione a sospensione, e arrivò alla nave fra spettacolari sbuffi di sabbia finissima, lasciando una cicatrice rosso-sangue sul deserto bianco, che si rimarginò lentamente, man mano che la sabbia fototropica tornava al suo colore superficiale.
Una delle guardie ai piedi della rampa dell’ Admiral Carpenter gli indicò con la mano dove doveva parcheggiare e disse qualcosa nella radio da polso. Surgenor portò il Modulo Cinque nel punto indicato e spense i motori, facendo posare il veicolo a forma di scarafaggio sulla pancia. Aprì il portello e l’aria calda e secca del pianeta Saladin riempì la cabina.
— Il maggiore Giyani e i suoi uomini arriveranno fra un paio, di minuti — gridò la guardia.
Surgenor rispose con una parodia di saluto militare e si sprofondò ancor di più nel sedile. Sapeva di comportarsi in modo infantile, ma era ormai un mese che la Sarafand era atterrata sul pianeta, e Surgenor non era mai rimasto per tanto tempo con le mani in mano da quando si era arruolato nel Servizio Cartografico. L’attesa, lo spreco della magra razione di tempo accordata ad ogni essere umano, l’avevano reso pessimista e irritabile. Viaggiare non aveva per lui il fascino di un tempo, e tuttavia non era più capace di restare fermo in un posto.
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