Bob Shaw - Cosmo selvaggio

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Cosmo selvaggio: краткое содержание, описание и аннотация

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Un’astronave stellare da esplorazione spedisce su un pianeta sconosciuto sei moduli di atterraggio e ne vede tornare sette. Su quel pianeta c’и chiaramente “qualcosa che non va”… Ma nelle zone piщ remote e selvagge del Cosmo, si sa, le cose non vanno mai perfettamente lisce e gli esploratori devono sempre stare in guardia, devono sempre aspettarsi di tutto. Giustamente Bob Shaw ha messo in epigrafe alla strabiliante saga dell’astronave “Sarafand” questi memorabili versi di R. L. Stevenson: “Per il Cosmo strano e selvaggio me ne vado, da eterno straniero. Il mio amore sono le tue strade e i brillanti occhi del pericolo”.

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— Aesop?

— Queste istruzioni devono essere obbedite all’istante. — La voce del computer era dura in maniera innaturale. — Esamina i dintorni. Se vedi una roccia che possa offrire protezione contro i colpi di una mitragliatrice, corri immediatamente e buttatici dietro!

— Ma che succede? — Targett si guardò intorno.

— Non fare domande — intervenne la voce di Surgenor. — Fa’ come dice Aesop, Mike: corri al riparo.

— Ma…

Targett si interruppe, mentre avvertì un movimento con la coda dell’occhio. Si voltò da quella parte, e vide, al centro dello spiazzo, uno dei cilindri sollevare da terra la punta e ondeggiare lentamente, minacciosamente, come un cobra nell’atto di ipnotizzare la sua preda.

7

Targett guardò per un attimo il cilindro a bocca spalancata, con la faccia stravolta per la sorpresa, poi cominciò a correre verso la formazione rocciosa più vicina. Ostacolato dalla tuta e dalla gravita non riusciva a prendere velocità. Alla sua destra, il cilindro si muoveva pigramente disegnando una spirale, come una creatura mitologica svegliatasi da un sonno di millenni. Si spostò nella sua direzione.

Altri due si mossero nelle loro buche di sabbia.

Targett cercò di correre più in fretta, ma era come se fosse immerso nel miele fino alla vita. Davanti a sé vide un buco nero, triangolare, formato da due lastre di roccia appoggiate l’una all’altra, e si diresse da quella parte.

Il cielo alla sua destra di nuovo sgombro gli dava l’impressione che il cilindro fosse svanito. Poi vide che si era portato alle sue spalle e dirigeva la punta su di lui, come se prendesse la mira. Come in un incubo, si sforzò di muovere le gambe più in fretta, e l’apertura buia ondeggiò pazzamente davanti ai suoi occhi, troppo lontana. Sapeva che non ce l’avrebbe fatta.

Si tuffò verso l’apertura, proprio mentre una mazzata terribile lo colpiva alle spalle. La telecamera gli cadde di mano, mentre il colpo lo sollevava da terra e lo scagliava nell’apertura fra le due rocce. Stupito di essere ancora vivo, Targett strisciò disperatamente al coperto. Lo spazio triangolare era lungo abbastanza per il suo corpo. Si infilò dentro, singhiozzando per il terrore al pensiero che un’altra pallottola poteva raggiungerlo da un momento all’altro.

«Sono vivo» pensò confusamente. «Ma come?»

Si tastò con la mano guantata dietro la schiena, dove il proiettile l’aveva colpito e sentì una sporgenza metallica irregolare. Esplorò con le dita un oggetto fracassato, a forma di scatola. Gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che si trattava dei resti del generatore d’ossigeno.

Fece per allungare la mano verso lo zaino dove si trovava l’unità di riserva, poi si ricordò che lo zaino l’aveva lasciato vicino al cilindro, quando aveva cominciato a lavorare. Si contorse affannosamente nella stretta apertura, finché non riuscì a girarsi, e sbirciò fuori. Il piccolo triangolo di cielo che poteva vedere era attraversato in continuazione dalle forme nere delle torpedini in volo.

Targett strisciò un po’ in avanti per vedere meglio. Spalancò gli occhi quando si accorse che le torpedini si erano alzate in volo a centinaia, silenziosamente, e che le loro ombre scivolavano sinuose sulle rocce e sulla sabbia bruna. Mentre guardava, alcuni ritardatari alzarono il muso in aria, ondeggiarono incerti per qualche istante, poi si sollevarono per unirsi allo stormo circolare dei loro compagni. Una piccola protuberanza del terreno gli impediva di vedere dove fosse il suo zaino, e se anche il cilindro che aveva smontato si era alzato in volo. Sollevò un poco la testa, e la riabbassò subito fra una pioggia di schegge rocciose e di polvere. L’eco minacciosa degli spari lasciava intendere chiaramente che parecchie delle torpedini avevano notato il suo movimento e avevano reagito nella sola maniera possibile, secondo le direttive del loro antico progettista.

— Comunica la tua posizione, Michael. — La voce di Aesop pareva provenire da un altro mondo.

— La mia posizione non è molto allegra — disse Targett con voce roca, cercando di calmare il respiro.

— Sembra che questi affari siano robot cacciatori, equipaggiati con mitragliatrici. La maggior parte si sono alzati in volo, ormai. Forse sono stati attivati dalle radiazioni della telecamera o della radio. Stanno ronzando intorno come mosche. Sono nascosto sotto una roccia, ma…

— Resta dove sei. Arriverò con la Sarafand in meno di un’ora.

— Non servirà a niente, Aesop. Una delle torpedini mi ha colpito mentre mi nascondevo. La tuta non è stata forata, ma il generatore d’ossigeno è fuori uso.

— Usa quello di riserva — intervenne Surgenor prima che Aesop potesse rispondere.

— Non posso. — Targett scoprì, con sua sorpresa, di essere più imbarazzato che impaurito. — Ho lasciato lo zaino all’aperto e non posso raggiungerlo. Sono completamente tagliato fuori.

— Ma questo ti lascia solo… — Surgenor fece una pausa. — Devi raggiungere lo zaino, Mike.

— È quello che stavo pensando anch’io.

— Senti, forse le torpedini reagiscono solo a dei movimenti improvvisi. Se strisciassi fuori molto lentamente…

— Ipotesi errata — l’interruppe Aesop. — La mia analisi dei circuiti sensori della torpedine aperta da Michael indica che possiede un doppio sistema, i cui canali usano il movimento e il calore come sistemi di puntamento. In qualsiasi modo si esponga, attirerà certamente il fuoco su di sé.

— È già successo: ho cercato di mettere la testa fuori da questo buco un minuto fa — disse Targett. — Per poco non me l’hanno portata via.

— Questo dimostra che le mie conclusioni sui circuiti sensori sono esatte, il che a sua volta…

— Non abbiamo tempo di ascoltare quanto sei bravo, Aesop. — La voce di Surgenor rimbombò nell’elmetto. — Mike, hai provato a usare la pistola?

Targett allungò una mano verso l’ultralaser, che era ancora appeso alla sua spalla, poi la ritrasse. — Non servirebbe a niente, Dave. Ce ne sono centinaia di quelle cose, là fuori, e una pistola ultralaser ha… quanti colpi?

— Vediamo: se è uno dei modelli a capsule ce ne dovrebbero essere ventisei.

— Allora non vale neanche la pena di tentare.

— Forse hai ragione, Mike, ma cosa vorresti fare: restartene lì a soffocare? Fanne saltare qualcuno, tanto per la soddisfazione.

— David Surgenor — si intromise seccamente Aesop — ti ordino di stare zitto mentre mi occupo di questa emergenza.

— Te ne occupi tu? — Targett sentì svegliarsi in lui una cieca e forse illogica fiducia nel computer. — Va bene, Aesop. Cosa vuoi che faccia?

— Riesci a vedere qualcuna delle torpedini senza correre rischi?

— Sì. — Targett guardò verso il triangolo di cielo proprio mentre un oggetto a forma di sigaro lo attraversava. — Solo una alla volta, però.

— È sufficiente. La tua cartella dice che sei un discreto tiratore. Voglio che tu colpisca una delle torpedini. Mira alla punta.

— E a cosa può servire? — La breve, irrazionale speranza di Targett si trasformò in rabbia e panico. — Ho ventisei colpi e ci sono trecento di quei robot là fuori.

— Trecentosessantadue, per essere precisi — disse Aesop. — Adesso ascolta le mie istruzioni e obbedisci senza perdere altro tempo. Spara un colpo di ultralaser contro una delle torpedini. Cerca di colpire il più possibile vicino alla punta, senza rischiare di mancare il colpo. Poi descrivi esattamente gli effetti.

— Maledetto presuntuoso! Rendendosi conto dell’inutilità di insultare un computer, Targett estrasse la pistola dalla fondina e alzò il mirino telescopico. Lo regolò su un debole ingrandimento, e si contorse nello spazio ristretto fra le due rocce, finché non trovò una buona posizione per sparare. Il controllo del respiro, essenziale per una buona mira, era impossibile, con i polmoni che ansimavano come mantici per l’aria viziata, ma le torpedini erano un bersaglio relativamente facile per un’arma a radiazione. Attese finché non ne apparve una nel suo segmento di cielo, centrò il reticolo sulla punta conica e premette il grilletto. Mentre la prima capsula del caricatore scaricava la sua energia, un lampo abbagliante della durata di un quarto di secondo uscì dalla canna e si rifranse per un attimo contro il muso della torpedine. Il cilindro nero sembrò ondeggiare per un attimo, poi si riprese e sparì dalla vista, apparentemente illeso.

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