Vernor Vinge - Naufragio su Giri

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Naufragio su Giri: краткое содержание, описание и аннотация

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Come il pianeta Tschai della celebre quadrilogia di Jack Vance, anche Giri non scherza: creato fin nei minimi dettagli dalla fantasia di Vernor Vinge, è un mondo pittoresco e avventuroso popolato da una miriade di razze e tribù bellicose, alle quali non è per niente facile inculcare il concetto di Pax Galattica. Ma questo sarebbe niente se almeno su Giri ci fosse una remota possibilità di sopravvivenza…
Invece: sostanze velenose e piante poco raccomandabili, complotti di corte e intrighi tribali, violenze e pericoli, guerre e sacrifici. I due terrestri sbarcati su questo mondo pazzesco per una spedizione scientifica, e costretti a restarvi loro malgrado, si accorgeranno che c’è poco da stare allegri soprattutto quando, per tentare l’unica via di fuga, dovranno partecipare a un piano sanguinoso e assecondare la volontà di un principe folle.

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Passò un minuto e Leg-Wot fermò Bre’en con un cenno. Lui obbedì subito e in cabina ritornò il silenzio. L’altimetro segnava 4000 metri. Niente male. Siamo in ottima forma, nonostante la zavorra. L’oasi della morte si era ormai persa nella luce abbagliante del mattino. Per il momento, tutti i loro problemi risiedevano all’interno della scialuppa.

Yoninne regolò il paracadute alla massima inclinazione verso ovest, e si voltò per dare un’occhiata ai compagni di viaggio. Bre’en era sprofondato nel sedile, avviluppato nella membrana antiaccelerazione, con gli occhi chiusi e in uno stato di apparente dormiveglia. Ammassati nella parte sinistra della scialuppa, Pelio e Ajao sembravano scomodi, ma all’erta. Quanto a Samadhom, riposava esanime sulle ginocchia del padrone, con la massiccia testa a penzoloni. Ogni tanto la girava, per emettere un fievole meep di lamento. Povera bestia. Se fosse stato un uomo, si sarebbe potuto dire che stava lentamente sprofondando nel delirio.

Se l’orso perdeva conoscenza, i ruoli si sarebbero ribaltati e Bre’en avrebbe finalmente potuto ucciderli tutti. Dopodiché, non avrebbe dovuto far altro che riportare la scialuppa nell’oasi da cui erano partiti e sarebbe stato libero di tornarsene a casa. No, non proprio. In quel momento si trovavano a parecchie migliaia di metri di altezza, con tutta l’energia potenziale che l’altitudine garantiva loro. A meno che Bre’en non riuscisse a trovare una massa di scambio rengabile, se si fosse teletrasportato da quell’altezza sarebbe morto per un colpo di calore. Ma questo non rappresentava un problema insuperabile. Bastava che Bre’en, dopo averli uccisi, aspettasse che il paracadute portasse la scialuppa a un’altezza accettabile, per poi teletrasportarsi dove voleva.

Ma Bre’en lo sapeva? Riusciva a capire la funzione del paracadute? Forse era meglio convincerlo che senza di lei e i suoi poteri magici la scialuppa si sarebbe schiantata a terra come una meteorite. Yoninne cercò con la mano la cordicella per la fuoriuscita dell’aria, che pendeva da un lato della sua membrana, fuori dal campo visivo di Bre’en.

Qualche secondo più tardi, l’ostaggio emise un lamento e si raddrizzò sul sedile. Lei gli lanciò una rapida occhiata e finse di concentrarsi sulla barra di comando che teneva stretta con la mano sinistra. — Voglio mostrarti qualcosa, Bre’en. Sai? Non credere di essere l’unica persona indispensabile per mantenerci in aria. — Attese che lui le dedicasse la sua piena attenzione e poi tolse la mano dalla barra. Contemporaneamente, senza farsi notare, diede uno strattone alla cordicella sulla sua destra. Nella cupola color oliva che li sovrastava, si aprirono dozzine di minuscoli sfiatatoi. La discesa dolce della scialuppa si trasformò in una rapida caduta libera verso il deserto sottostante.

Pelio spalancò gli occhi. Bre’en si lasciò sfuggire un breve grido di terrore prima di impegnarsi freneticamente a rallentare la loro caduta. Il diplomatico teletrasportò contro il paracadute decine di folate di vento in rapidissima successione, ma il terzarolo era ormai in atto e la caduta continuò. Yoninne attese, soffocando il terribile impulso che la spingeva ad agire al più presto, finché Bre’en non parve rendersi conto che tutti i suoi sforzi erano vani. A quel punto lei riprese la barra di comando e, con un po’ di esagerazione, la tirò in fretta da una parte e poi dall’altra. Nel frattempo rimise in posizione la cordicella di fuoriuscita con la mano destra, e pregò il cielo che il paracadute tornasse a spiegarsi.

Si spiegò, infatti, mentre gli sfiatatoi si chiudevano e la caduta libera finiva. Il fiberene si gonfiò con uno schiocco e la scialuppa tornò a scendere alla velocità di otto metri al secondo. Yoninne lanciò un’occhiata ai semplici strumenti di bordo. Avevano perso solo duecento metri e, cosa ancora più sorprendente, tutta l’operazione era durata solo sette secondi. Inclinò il paracadute nella direzione originale e finse ancora per qualche secondo di manovrare con perizia i comandi. Poi, senza mollare la presa della mano sinistra, si girò verso Bre’en.

— Mi sono spiegata?

Thredegar Bre’en annuì senza parlare. In tutto quel tempo, Ajao era rimasto immobile, con un’espressione vacua che lei sola riconobbe per quello che era. Una dimostrazione muta di segreto divertimento.

Volarono in silenzio per parecchi minuti. Ora il deserto sembrava cemento brunito, disseminato di pietre e chiazzato qua e là da qualcosa che sembrava petrolio.

A poco a poco il panorama parve incresparsi. Le ombre lunghe di una grande cresta montuosa incombevano sulle colline. Yoninne si sporse fuori, sfidando il vento. Le montagne davanti a loro si innalzavano per altri mille metri rispetto alla scialuppa e le cime arrotondate erano punteggiate di alberi color pepe e sale.

Lei ordinò a Bre’en una spinta e poi, dopo pochi minuti, un’altra. Per due volte fu come se spiccassero il volo verso la catena montuosa, innalzandosi di parecchie centinaia di metri. Yoninne deglutì, e poi deglutì ancora per compensare la pressione all’interno delle orecchie.

Oltrepassarono la linea di cime più alte, arrivando a meno di cinquecento metri da quella più vicina. E lassù, tra i rami degli alberi, lei scorse minuscole macchie di colore che dovevano essere fiori. Ma per quanto lo spettacolo fosse incantevole, non era niente in confronto a quello che si vedeva al di là delle montagne. Il mare! Una linea color azzurro cupo lungo l’orizzonte occidentale. E le terre tra le montagne e la costa erano verdi, non marrone o color ocra come il deserto che si erano lasciati alle spalle. La meravigliosa striscia verde si stendeva a perdita d’occhio verso nord. Quella, dunque, era la Contea di Tsarang.

Era tutta discesa, ormai. Bre’en poté tirare il fiato. Yoninne stimò che avrebbero anche potuto farcela senza altre spinte, fino alla costa. — Non riconosci niente, Pelio? — domandò.

Il principe si protese al di sopra di Bre’en per dare un’occhiata fuori dal boccaporto. Certo, all’interno c’erano anche i finestrini di osservazione, ma da lassù la panoramica era molto più entusiasmante. Samadhom gli rovinò pesantemente addosso e rotolò esanime contro la parete. Pelio si chinò per prendergli la testa fra le braccia. Guardò di nuovo Yoninne. — È ancora vivo, lo sento… — ;:assicurò con un tremito nella voce.

Ma è svenuto, pensò Leg-Wot. Lo sguardo del diplomatico si spostò rapidamente da lei all’orso, e viceversa. Grazie a Dio, Bre’en è convinto che senza il nostro aiuto la scialuppa si schianterebbe al suolo.

Pelio risistemò malvolentieri l’animale sui sacchi di zavorra, e ritornò verso il boccaporto. Guardò a nord e poi, aggrappandosi al bordo dell’apertura con entrambe le mani, si protese controvento per guardare in avanti. — Ce l’abbiamo fatta, Ionina — disse con dolcezza. — Il centro della città di Tsarangalang si trova leggermente spostato a destra rispetto al nostro tracciato. Ormai dev’essere solo a poche miglia di distanza.

Rimasero per qualche secondo a sorridersi come due ragazzini sciocchi. Poi Pelio tornò da Samadhom.

Yoninne inclinò leggermente il paracadute e la scialuppa virò nella direzione indicata da Pelio. Viaggiavano a meno di duemila metri di altezza. La campagna sottostante era selvaggia, secondo i parametri del Mondo Natale, ma per gli Azhiri doveva rappresentare un grosso esempio di coltivazione intensiva. C’erano frutteti dappertutto, la vegetazione era punteggiata di rosso e qua e là si intravedevano grossi mucchi di frutta, in attesa di trasporto. Ogni tanto, tra il fogliame, faceva capolino qualche casa isolata.

Nell’altro lato dell’abitacolo, Pelio parlava a Samadhom nel tentativo di rianimarlo. Finché l’orso non riprendeva conoscenza, l’unica cosa che avrebbe impedito a Bre’en di kengarli tutti era la paura di schiantarsi. E la paura sarebbe diminuita, via via che la scialuppa si avvicinava a terra.

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