Vernor Vinge - Naufragio su Giri

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Naufragio su Giri: краткое содержание, описание и аннотация

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Come il pianeta Tschai della celebre quadrilogia di Jack Vance, anche Giri non scherza: creato fin nei minimi dettagli dalla fantasia di Vernor Vinge, è un mondo pittoresco e avventuroso popolato da una miriade di razze e tribù bellicose, alle quali non è per niente facile inculcare il concetto di Pax Galattica. Ma questo sarebbe niente se almeno su Giri ci fosse una remota possibilità di sopravvivenza…
Invece: sostanze velenose e piante poco raccomandabili, complotti di corte e intrighi tribali, violenze e pericoli, guerre e sacrifici. I due terrestri sbarcati su questo mondo pazzesco per una spedizione scientifica, e costretti a restarvi loro malgrado, si accorgeranno che c’è poco da stare allegri soprattutto quando, per tentare l’unica via di fuga, dovranno partecipare a un piano sanguinoso e assecondare la volontà di un principe folle.

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Yoninne sganciò le cinture e cadde al suolo mentre l’universo le roteava attorno. Si alzò in piedi, un po’ intontita, e mosse qualche passo stentato attorno ai rottami.

Sul deserto era sorta l’alba. Il sole faceva capolino da est sulla pianura sconnessa e tingeva le rocce e la sabbia di rosso e di arancione. Gli arbusti avevano assunto un colore verde polveroso.

Molto gradevole. Peccato che la nave per le alte velocità fosse ormai un ammasso di legna da ardere. Bre’en li aveva rengati in una specie di palude. La nave era slittata fuori dall’acqua, si era ribaltata al suolo poco lontano dalla riva ed era andata a infrangersi contro una cresta di rocce. Ma la scialuppa di ablazione era intatta. Chissà come, era rimbalzata al di fuori del ponte per andarsi a posare sugli arbusti che circondavano lo specchio d’acqua. Una strana sistemazione per una sfera color nero opaco.

All’interno dei rottami si udirono delle voci, e lei fu certa di aver udito anche quel meep ormai familiare. Aggirò i pezzi di legno piantati nel terreno melmoso. — Ionina! — chiamò Pelio. Lei lo trovò sotto ciò che rimaneva delle tavole di carenaggio della nave. A parte un consistente principio di ematoma sulla mascella e sul collo, sembrava che stesse bene. Yoninne si arrampicò tra i rottami per raggiungerlo. Insieme, riuscirono a smuovere le parti ricurve di fasciame che lo tenevano inchiodato al sedile. Rimasero a guardarsi negli occhi in silenzio, mentre lei gli teneva la mano appoggiata al braccio. Poi Pelio sorrise (per la prima volta in quante ore?) e tutti e due si girarono per cercare gli altri.

Mezz’ora più tardi erano tutti ammucchiati attorno al bordo dell’acquitrino, al riparo dei cespugli. Considerato lo scempio della nave, ne erano usciti straordinariamente bene. Bre’en aveva una caviglia rotta, il che forse avrebbe contribuito a renderlo più arrendevole, e Ajao non presentava nemmeno un graffio. Per Samadhom la faccenda era diversa. Sembrava attento e a suo agio, vicino al padrone, ma il pelo sulla spalla era imbrattato di sangue…

Il sole, in quel momento, si trovava a circa dieci gradi sopra l’orizzonte e il suo riflesso impediva la vista delle pianure orientali. Nell’aria sempre più calda e secca si udiva una specie di brusio ininterrotto. Forse c’erano degli animali, nascosti fra le rocce? Quello che in precedenza sembrava solo un gradevole tepore, in contrasto con il clima artico, altro non era che il gelo di una notte nel deserto. Entro mezzogiorno quel posto sarebbe stato più caldo di tutti quelli visitati da Yoninne nel Regno d’Estate.

Bre’en fissò con espressione lugubre le minuscole onde di calore che salivano dall’acqua verde e stagnante. Pelio aveva usato uno dei cavi della nave per legarlo al cespuglio più solido che ci fosse nelle vicinanze. Così, il diplomatico non poteva rengarsi lontano, ma godeva di quel minimo di libertà di movimento consentitogli dalla caviglia rotta.

— E adesso? — chiese in tono tutt’altro che docile. Una fitta alla gamba si tradusse in una smorfia di dolore. — Avete guadagnato al massimo un’ora di libertà. In questo momento i soldati del mio re e i loro alleati staranno già controllando ogni pozzanghera in un raggio di dieci leghe. Gli Uomini del Deserto conoscono bene le proprie terre, dato che l’acqua è terribilmente importante per loro. Sarete fortunati se…

— E così i tuoi amici conoscono a menadito ogni goccia d’acqua, vero?-lo aggredì Yoninne. — Allora perché non hanno stabilito qui una delle loro basi?

Bre’en indicò un cerchio di rocce che sporgeva dall’altra parte della palude. — C’era, una volta, ed era anche fornita di un lago di transito. Se non ricordo male, oltre quella boscaglia ci sono delle rovine… di costruzioni bruciate fino alle fondamenta.

— L’acqua è così avvelenata che solo un morto di sete riuscirebbe a berla — commentò Pelio con voce tagliente.

Bre’en si degnò di annuire. — Alcuni dei miei… alcuni dei partigiani usavano metodi piuttosto sbrigativi. Ritenevano che fosse una scortesia, da parte della gente di Tutt’Estate, piazzare le città proprio ai margini del loro deserto.

Pelio abbozzò una replica, poi liquidò con un gesto di stizza le chiacchiere dell’ostaggio. — Ci stai facendo perdere tempo, Bre’en. — Si rivolse a Yoninne. — Bisogna decidere che cosa fare. Dobbiamo restare nascosti qui, o sfidare un’altra volta la sorte sulle strade del Popolo del Deserto? La vostra strana sfera — indicò la scialuppa di ablazione — potrebbe anche contenerci tutti, e sembra abbastanza solida da affrontare un viaggio.

— Bre’en è in grado di trasportarci fino alla Contea di Tsarang?

Il diplomatico scosse la testa, increspando le labbra in un sorriso ironico.

— Ne dubito — replicò Pelio, confermando lo scetticismo di Bre’en. — La contea è sempre stata ben difesa contro le infiltrazioni di pellegrini indesiderati. Al massimo, lui potrebbe rengarci fino a un lago di confine.

— Allora non credo che valga la pena di riprendere una delle strade normali — commentò Yoninne, cupa. — Per adesso, almeno, gli uomini del Re delle Nevi non sanno dove siamo.

Fu Bjault a spezzare il lungo silenzio che seguì. — Avete detto che questo, una volta, era un villaggio del Popolo d’Estate — osservò rivolto a Bre’en. — Immagino dunque che si trovi abbastanza vicino a una delle terre di Tutt’Estate.

Il rappresentante del Popolo delle Nevi si sforzò di ridere, ma dalla sua bocca uscì solo un suono cupo e cavernoso. — Proprio così, vecchio stupido dalla faccia marrone! La Contea di Tsarang è appena al di là di quelle montagne. — Le indicò, a ovest. — Un salto breve, se foste provvisti di qualcuno in grado di sengare la strada. A piedi invece, e senz’acqua, non avete la minima possibilità di farcela.

— Uhm — commentò Bjault, come se la risposta fosse stata illuminante. Si alzò e, a passi rigidi, si incamminò verso la scialuppa di ablazione.

Pelio lo seguì per un attimo con lo sguardo. — Una volta mi hai spiegato che quella sfera può volare — disse, rivolto a Yoninne.

— Sì, ma solo verso il basso, per rallentare una caduta. — Non cercò neanche di fornirgli delucidazioni sul funzionamento del paracadute. Guarda in faccia la realtà, bella mia. Siamo fottuti. Anche ammettendo che Bre’en esagerasse e che la passeggiata verso le montagne non fosse poi così impossibile, non avrebbe risolto il problema. Avevano bisogno anche della scialuppa. Se la lasciavano lì, non avrebbero mai potuto mettere in pratica il progetto di Ajao per raggiungere la stazione telemetrica sull’isola di Draere.

Durante quel breve scambio di battute, Bjault era rimasto fermo in silenzio, spostando lo sguardo dalla scialuppa alla cresta di montagne a ovest. All’improvviso si mise a gridare, nella sua lingua natale. — Ci sono! Ascolta, Yoninne, abbiamo un paracadute funzionante. E abbiamo Bre’en. Possiamo far teletrasportare aria ad alta velocità contro il paracadute e sollevarci nel cielo! — Il sorriso gli andò da un orecchio all’altro.

Leg-Wot si accorse di essere rimasta a bocca aperta. Diavolo, perché no? Bre’en era in grado di far volare la loro scialuppa sopra le montagne fino alla Contea di Tsarang. Scattò in piedi di colpo, per correre verso Ajao e la scialuppa. Tirò il portello del boccaporto, lo aprì e si arrampicò sul bordo per cercare qualcosa nella fresca oscurità dell’abitacolo. Trovò il pulsante per lo sgancio del paracadute e lo schiacciò. Si udì il rumore di una molla che scattava e una nuvola di fiberene color oliva sbucò dalla sommità della scialuppa annerita dal calore. Lei ne afferrò un lembo e incominciò a distendere il paracadute al suolo, una banda dopo l’altra. Come al solito, Bjault cercò di essere d’aiuto, senza riuscirci.

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