L’imbarcazione di cui si erano impossessati era piccola, ma dotata di uno scafo solido, tanto solido da permettere di saltare un lago di transito ogni due lungo la strada, in tutta tranquillità. Procedevano regolarmente, anche se si fermavano a riposarsi per cinque o dieci minuti tra un salto e l’altro. Quel piccolo arco di tempo era necessario a Bre’en per preparare il balzo successivo e a Pelio per controllare le cinghie che imprigionavano i due ostaggi.
— Non corriamo rischi — aveva spiegato il principe. — Per quanto siano addestrati, non possono rengarsi via di qui finché li teniamo legati.
Ajao aveva osservato qualcosa a proposito dell’energia di coesione molecolare, ma Leg-Wot aveva già intuito il senso dell’affermazione di Pelio. Quando gli Azhiri si teletrasportavano, portavano con sé parte dell’ambiente immediatamente circostante e solo i Corporati avevano la capacità di controllare perfettamente il volume di materia rengata. Per teletrasportarsi fuori dalla nave, Bre’en e Tru’ud avrebbero dovuto strappare le cinghie che li tenevano legati e già questa era un’azione che andava ben al di là delle potenzialità del loro Talento. Yoninne guardò il principe con un rispetto del tutto nuovo. Né lei né Ajao sarebbero mai riusciti a escogitare quel trucco.
Senza contare che in quel momento non si sarebbero di certo trovati a fare rotta verso nord, se non fosse stato per il fegato e lo spirito d’iniziativa dimostrati da Pelio. Era stata solo la disperazione a smuoverlo, oppure era già un uomo anche quando lei lo trattava come un adolescente smidollato?
— Credo che qualcuno ci faccia da battistrada — osservò Ajao all’improvviso, due salti più tardi.
— Che cosa? — disse Pelio.
— Da’ un’occhiata al lago. Alcune di quelle barche sono stranamente familiari.
— Sì — confermò il principe soppesando le parole — e ciascun lago sembra sempre un po’ più affollato del precedente. Scommetto che gli uomini del Re delle Nevi hanno già spedito i loro messaggi per chiamare a raccolta ogni nave disponibile dell’esercito. Siamo circondati da vicino, come se ci trovassimo ancora nel Palazzo delle Nevi. — Rivolse un sogghigno a Bre’en e al suo re. — Non sarà un gran vantaggio, per voi. Se ci faranno saltare per aria, voi verrete con noi. — I due non risposero e lui continuò: — In un certo senso dovrei esservi grato. Mi avete dato la possibilità di dimostrare che non sono completamente innocuo.
— Hai avuto bisogno dell’orso da guardia — puntualizzò Bre’en, cupo.
— Verissimo. Ma voi siete praticamente morti di paura quando ho preso in ostaggio il re. I witling non attaccano la gente normale, e voi li considerate addirittura inferiori agli animali. Non riuscivate nemmeno a concepire che potessi diventare una minaccia, tanto che non avete sprecato neanche una guardia per sorvegliarmi. E una volta tanto, la vostra arroganza vi ha giocato un brutto scherzo.
Bre’en non rispose, ma Tru’ud gridò con rabbia qualcosa nella sua lingua nativa. Pelio si limitò a sorridere.
In due ore portarono a termine diciassette salti e coprirono circa quattromila chilometri, spostandosi in direzione del Circolo Antartico. Il sole si abbassò fino a sfiorare l’orizzonte sudorientale, e la sua luce trasformò le nevi in una distesa dorata e scintillante. Più di una volta si videro creste di roccia ergersi imperiose su quel mare bianco-giallo e piccoli ruscelli tumultuosi defluire dai ghiacci per andare a tuffarsi nei laghi di transito in piena. Dopo altri quattro salti, la neve in gran parte scomparve per cedere il posto a una tundra sconfinata che si stendeva quasi fino all’orizzonte. E laggiù c’era del verde! Il salto successivo segnò un cambiamento ancora più significativo: gli squallidi edifici di pietra sulla riva del lago erano contornati da un dedalo di tende e da centinaia e centinaia di Azhiri indaffarati. Dietro a quegli strani ripari disposti a scacchiera si intravedevano mandrie di animali pelosi, a quattro zampe, che approfittavano della vegetazione estiva per cibarsi. Ecco, dunque, di che cosa viveva il Popolo delle Nevi! Il loro era un esempio di nomadismo su vasta scala. Il bestiame veniva rengato da un polo all’altro a seconda dell’avvicendarsi delle stagioni, per trovare di volta in volta una vegetazione più ricca. Non c’era da stupirsi che le città dell’altro emisfero fossero sembrate a Yoninne così squallide e deserte.
La vista della campagna circostante venne impedita di colpo dall’arrivo, proprio di fianco a loro, di una delle navi inseguitrici dell’esercito. Ormai gli indesiderati compagni di viaggio ammontavano a una ventina di equipaggi e Dio solo sapeva l’entità delle forze che si andavano raggruppando nei laghi anteriori e successivi a quello. Eppure la situazione era ancora a un punto morto. Il Popolo delle Nevi aveva i soldati, e loro avevano il re Tru’ud.
Da qualche parte, nel corso dei due salti successivi, il sole scivolò sotto l’orizzonte. Mentre il crepuscolo si addensava, l’aria divenne sensibilmente più calda. I witling gettarono acqua sulla minuscola stufa della nave per spegnerla e, qualche lega più a nord, si liberarono anche degli indumenti più pesanti. Mentre Yoninne teneva Tru’ud e Bre’en sotto tiro con il maser, ritenuto dagli Azhiri un’arma micidiale, Pelio sciolse le cinghie e permise ai due di togliersi la pelliccia e i sovragambali. Leg-Wot si sentì quasi dispiaciuta per loro. Erano legati ormai da quattro ore. Il re si contorceva a ogni salto e Bre’en incominciava a manifestare una certa stanchezza. Alla fine, Pelio gli concesse un riposo più lungo tra un salto e l’altro.
Viaggiarono per più di un’ora attraverso le tenebre, con solo le stelle in cielo e i fuochi da campo sulla riva a rischiarare loro il cammino. O meglio, a delineare i contorni di un paesaggio quasi spettrale. Alla fine, come per incanto, la luce incominciò a farsi strada verso est. Il viaggio li aveva portati dal pieno giorno antartico all’esiguo spicchio di notte concesso alle terre che via via si allontanavano dal polo, e fra poco il sole sarebbe sorto ancora una volta sopra l’orizzonte. Il territorio rischiarato dal nuovo giorno era molto diverso da quello che si erano lasciati alle spalle. Le tende e gli animali al pascolo erano spariti per lasciare il posto a una terra desolata, arida e rocciosa. Gli edifici che circondavano il lago erano lisci, affusolati e quasi cotti dal sole. La riva era contornata da cespugli spinosi e scheletrici, vicino ai quali strani uomini dalla pelle scura erano fermi a guardare in silenzio.
— Sono uomini del deserto — spiegò Pelio. — Ci troviamo all’interno dei loro possedimenti, ma per noi non fa grande differenza. Nei punti in cui le terre di Tutt’Estate confinano con il deserto loro non fanno altro che provocarci. I capitribù sono tutti alleati del Re delle Nevi, e dunque siamo in pericolo esattamente come prima. La speranza migliore è che l’esercito di Tru’ud venga rallentato nel tentativo di accordarsi con i caporioni del posto. Credo che…
Yoninne non guardava verso Tru’ud quando quest’ultimo si mosse e per un istante tutto sembrò confondersi davanti ai suoi occhi. Il Re delle Nevi si slanciò lungo il ponte della nave, con i legacci a penzoloni. Cercò scampo verso il boccaporto semiaperto e per un attimo rimase sospeso, mezzo fuori e mezzo dentro, con l’enorme pancia incastrata nell’apertura. Poi, prima che Pelio potesse raggiungerlo, riuscì a liberarsi e si lasciò pesantemente ricadere nell’acqua sottostante.
Lei si girò di scatto verso Bre’en, con il maser in posizione di tiro. — Mani in alto! — Il diplomatico si contorse sul sedile, tendendosi per raggiungere una minuscola piastrina d’argento dall’aspetto insignificante a pochi centimetri dalle sue dita. Maledizione, una lametta per segare i lac ci, pensò Yoninne. Ecco il vero motivo di tutti i contorcimenti da parte di Tru’ud! — Se non alzi subito le mani ti brucerò vivo. — Bre’en obbedì, a malincuore, e dietro di loro Samadhom intervenne con uno dei suoi meep interrogativi.
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