Ben Bova - La vendetta di Orion

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La vendetta di Orion: краткое содержание, описание и аннотация

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Ormai non ci sono dubbi: sotto le spoglie umane di John O’Ryan si nasconde una figura mitica, il leggendario cacciatore Orion. A crearlo è stato l’essere di un lontanissimo futuro che ha scelto di farsi chiamare Ormazd, e che con il suo aiuto intende condurre nel tempo e nello spazio una guerra spietata contro il più acerrimo nemico dell’umanità, Ahriman. Il primo scontro (in Orion, Urania 1038) sembra essersi concluso vittoriosamente, ma in realtà l’intervento di Orion ha causato una frattura nel continuum spazio-temporale, concedendo ad Ahriman e ai suoi neandertaliani un cosmo tutto per loro. Ormazd non ha affatto gradito la cosa e ha deciso di punire Orion strappandogli ciò che ha di più caro, per costringere il cacciatore a riprendere la sua battuta. Questa volta lo scenario-sarà il passato e la posta in gioco il salvataggio di Troia… perché Ormazd è deciso a cambiare addirittura la trama del tempo pur di distruggere definitivamente il suo nemico.

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Il sole scese nel mare luccicante e lunghe ombre violacee si allungarono sulla città mentre il manto della notte copriva ogni cosa. Le stelle fecero capolino tra i brandelli di nuvole e la falce della luna di Artemide si alzò mentre Elena ed io facevamo l’amore e ci assopivamo, ci svegliavamo e facevamo l’amore di nuovo, poi dormivamo e facevamo l’amore un’altra volta.

Nella mezza luce che precede la vera alba dormimmo l’una nelle braccia dell’altro, completamente svuotati, ignari, spossati.

E io mi trovai in quell’altro mondo di luce dorata così brillante che mi feriva gli occhi.

— Credi di potermi sfuggire?

Mi voltai e mi rivoltai, cercando, sforzandomi, di vedere il Radioso. Niente. Solo la sua voce.

— Hai ostacolato i miei piani per l’ultima volta, Orion. Non puoi sfuggire alla mia vendetta.

— Fatti vedere! — gridai. — Vieni qui in modo che possa strangolarti!

Ma mi ritrovai seduto sul letto, le mani ad artiglio che stringevano l’aria vuota, mentre Elena mi fissava con occhi spaventati.

Quella mattina accompagnai Elena e Polete nel centro della città, mentre Lukka, che era tornato all’alba tenendo fede alla sua parola, rimaneva di guardia alle nostre cose e guardava severamente i suoi uomini che tornavano alla locanda barcollando, uno per uno.

Efeso era davvero una città di cultura e di benessere, ricca di templi di marmo e con le strade affollate di mercanti e di merce proveniente da Creta, dall’Egitto, da Babilonia e persino dalla lontana India.

Polete era interessato soprattutto alla piazza del mercato. Era forte abbastanza da camminare, adesso, e si era legato un fazzoletto di seta bianca sugli occhi inutili. Gli avevo procurato un bastone e lui stava imparando a tastare il terreno davanti a sé in modo da poter camminare da solo.

— Cantastorie! — disse, mentre rasentavamo piccoli drappelli di persone riuniti intorno a vecchi accoccolati per terra che intessevano incantesimi di parole per qualche spicciolo.

— Non qui — gli sussurrai.

— Lasciami fermare ad ascoltare — mi pregò. — Prometto di non dire una parola.

Glielo permisi, riluttante. Sapevo di potermi fidare della sua parola. Era del suo cuore che mi preoccupavo. Era un cantastorie, ce l’aveva nel sangue. Per quanto tempo sarebbe potuto restare in silenzio quando aveva la storia più grandiosa di tutti i tempi da raccontare alla folla?

Decisi di lasciargli un’ora tutta per lui, mentre Elena ed io davamo un’occhiata ai negozi e alle bancarelle del mercato. Lei sembrava immensamente felice di toccare stoffe e di esaminare ceramiche decorate, mercanteggiando con i negozianti per poi allontanarsi senza comprare nulla. Io mi stringevo nelle spalle e l’accompagnavo, rimuginando nel fondo della mia mente la minaccia che il Radioso mi aveva fatto prima dell’alba.

“Mi distruggerebbe, se potesse. Che non lo abbia fatto, dimostra o che gli altri Creatori glielo stanno impedendo, o che ha bisogno di me per qualche altra missione.”

“Oppure” osai pensare “che io sto diventando abbastanza forte da difendermi da lui.”

Il terreno vibrò. Un urlo si levò dalla folla nella piazza del mercato. Alcune terrecotte caddero dai ripiani e si ruppero in mille pezzi. Il mondo sembrava girare vorticosamente, da far venire la nausea. Poi la vibrazione cessò, e tutto tornò normale. Per un attimo la gente rimase completamente in silenzio. Poi un uccello cinguettò e tutti cominciarono a parlare contemporaneamente con la tipica eccitazione di chi si sente di essere scampato a un pericolo.

Una scossa di terremoto. Abbastanza naturale in quella zona, pensai. A meno che non fosse un avvertimento, un messaggio di quelle creature superiori che la gente considerava dèi.

L’ora era quasi passata. Potevo vedere Polete, al di là della grande piazza del mercato, in piedi ai margini della folla riunita intorno a uno dei cantastorie, le gambe nodose sottili quasi quanto il bastone a cui si appoggiava.

— Orion.

Guardai Elena. Mi sorrideva come una madre comprensiva sorride al figlio disobbediente. — Non hai sentito nemmeno una parola di quello che ho detto.

— Mi dispiace. La mia mente era altrove.

Lei ripeté: — Ho detto che potremmo vivere molto bene qui a Efeso. È una città civile. Con le ricchezze che abbiamo portato, potremmo comprare una comoda villa e vivere splendidamente.

— E l’Egitto?

Lei sospirò. — È così lontano. E viaggiare è stato molto più difficile di quanto avrei pensato.

— Forse potremmo procurarci una nave e salpare verso l’Egitto — suggerii. — Sarebbe molto più rapido e facile che non per terra.

I suoi occhi si illuminarono. — Certo! Ci sono centinaia di navi nel porto.

Ma quando arrivammo alla banchina, tutti i pensieri in merito svanirono dalla nostra mente. Vedemmo sei galere attraccare al porto, tutte con una testa di leone dipinta sulle vele.

— Menelao! — ansimò Elena.

— O Agamennone — dissi io. — In entrambi i casi, non possiamo restare qui. Stanno cercando te.

26

Fuggimmo da Efeso durante la notte, lasciando il locandiere, che aveva sperato che rimanessimo a lungo, molto seccato.

Mentre ci dirigevamo verso le colline e piegavamo a sud mi chiesi se non avremmo potuto chiedere protezione al consiglio della città. Ma la paura degli Achei che avevano appena distrutto Troia avrebbe paralizzato gli Efesini, mi resi conto. La loro città non aveva mura né un vero esercito, e tutto il controllo si limitava a quello necessario a mantenere l’ordine nei distretti dei bordelli. Per la sua sicurezza, dipendeva dalla buona volontà di tutti. Non avrebbero permesso ad Elena di restare quando Menelao e suo fratello Agamennone avessero richiesto la sua consegna.

Così continuammo ad avanzare, tra le piogge e il freddo dell’inverno, portandoci dietro il nostro bottino di Troia. Eravamo uno strano gruppo: la fuggitiva Elena di Sparta, un cantastorie cieco, una banda di soldati professionisti sopravvissuti a un impero che non esisteva più e un esule di un tempo diverso.

Arrivammo a Mileto. Lì c’erano mura, e solide, e un’indaffarata attività commerciale.

— Ci sono già stato una volta — mi disse Lukka — quando il Sommo Re Hattusilis era irato con la città e ha condotto l’esercito alle sue porte. Erano tutti così spaventati che le hanno aperte senza fare resistenza. Si sono rimessi alla misericordia del Sommo Re. Lui fu magnifico! Uccise solo i capi, quelli che gli erano dispiaciuti, e a noi non permise di toccare un uovo.

Comprammo provviste e cavalli freschi. Mileto sarebbe stata l’ultima grande città sulla nostra strada per un certo tempo. Decidemmo di muoverci nell’entroterra, attraverso le montagne del Toro e la pianura della Cilicia, poi lungo le terre Mitanni e giù sulla costa Siriana.

Ma i suoni e i profumi di un’altra città Egea furono troppo per Polete. Venne da me quando cominciammo a smontare il campo, proprio fuori dalle mura della città, e mi annunciò che non sarebbe venuto con noi. Preferiva restare a Mileto.

— È un posto in cui potrò raccontare le mie storie e guadagnarmi il pane — mi disse. — Non ti sarò di peso più a lungo, mio signore Orion. Lascia che passi i miei ultimi giorni cantando di Troia e delle gesta grandiose che vi si compirono.

— Non puoi stare da solo — insistetti. — Non hai casa né riparo di alcun genere. Come troverai da mangiare?

Lui mi afferrò la spalla con sicurezza, come se avesse potuto vederla. — Lascia che sieda in un angolo del mercato e racconti la storia di Troia, e avrò cibo e vino e un morbido letto prima del calar del sole.

— È davvero questo quello che vuoi? — gli chiesi.

— Ti sono stato di peso abbastanza a lungo, mio signore. Ora posso prendermi cura di me stesso.

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