Discussero tra loro, e alla fine mi ordinarono di raccontare esattamente quello che mi era stato detto. Io mi alzai e ripetei le parole di Alessandro e di Ettore.
— L’ha detto Alessandro? — Menelao sputò sul pavimento sabbioso. — È il principe dei bugiardi.
— Ma Ettore l’ha confermato — disse Nestore, prendendo frettolosamente lo scettro dalle mie mani. Mentre io mi sedevo, disse: — Se questa storia di un esercito Hatti fosse stata detta al nostro messaggero semplicemente da Alessandro, sarei d’accordo con il re Menelao… — Nestore continuò a divagare, sicuro del diritto dello scettro. Il succo del suo discorso era che Ettore era un uomo d’onore: se lui aveva detto che l’esercito Hatti si stava avvicinando a Troia, doveva essere vero. Ettore era un uomo a cui si poteva credere, diversamente da suo fratello.
— Questo significa disastro per noi! — gridò Agamennone, i piccoli occhi stretti che si colmavano davvero di lacrime. — L’esercito Hatti potrebbe distruggere noi e i Troiani allo stesso tempo!
Tutti sembravano essere d’accordo.
— Hanno combattuto battaglie contro gli Egiziani!
— Hanno conquistato Akkad!
— Hanno saccheggiato Babilonia!
— Hattusilis ha marciato su Mileto e la città gli ha aperto le porte, piuttosto che il suo esercito facesse crollare le mura.
La paura che si era diffusa tra i consiglieri era palpabile, come un vento freddo che spegne una candela e ti lascia al buio.
Nessuno di loro sembrava sapere cosa fare. Tremavano come un gruppo di antilopi che vede avvicinarsi un gruppo di leoni, e non riesce a decidere in che direzione scappare.
Infine Ulisse chiese lo scettro. Alzandosi, disse con calma: — Forse Ettore e il suo vile fratello sbagliano a credere che l’esercito Hatti stia marciando in loro aiuto. Forse le truppe Hatti sono nelle vicinanze per ragioni personali, ragioni che non hanno niente a che fare con la nostra guerra contro Troia.
Mormorii e borbottii di dissenso. — Troppo bello per essere vero disse una voce al di sopra dello sfondo brontolante.
— Io suggerisco di mandare un messaggero incontro al comandante Hatti per chiedere quali siano le sue intenzioni. Facciamo portare al nostro messaggero una qualche prova dell’accordo tra Hattusilis e il nostro Sommo Re, per ricordare al comandante Hatti che il suo Signore ha promesso di non interferire nella nostra guerra.
— A cosa servirebbe? — Agamennone strinse forte le mani, tremando e afferrandosi le spalle.
— Se hanno intenzione di combattere contro di noi potremmo almeno fare i bagagli e salpare verso casa.
Tutti furono d’accordo.
Ma Ulisse tenne lo scettro in alto finché tutti non fecero silenzio. — Se gli Hatti stessero davvero venendo in aiuto di Troia, Ettore si preparerebbe ad attaccare il nostro accampamento domani? — chiese.
Sguardi perplessi s’incrociarono da diversi punti del circolo. Molto grattare di barbe.
Ulisse continuò: — Si sta preparando ad attaccarci, questo lo sappiamo. Ma perché dovrebbe rischiare la vita della sua gente, e il suo stesso collo, se ci fosse per strada un esercito Hatti pronto a combattere al suo fianco?
— Per la gloria — rispose Patroclo.
— Ettore è come il mio signore Achille: la vita, per lui, significa meno dell’onore e della gloria.
Scuotendo la testa, Ulisse rispose:
— Forse questo è vero. Ma io non ne sono convinto. Io dico che dovremmo almeno mandare un messaggero a far vedere al comandante Hatti l’accordo giurato con noi, e a determinare se gli Hatti stanno venendo davvero in soccorso di Troia.
Ci volle circa un’altra ora di discussione, ma infine tutti furono d’accordo con il piano di Ulisse. Non avevano davvero nessun’altra scelta, se non salpare.
Il messaggero che scelsero, naturalmente, fui io.
Quando infine la riunione terminò, domandai a Ulisse il permesso di avvicinare Menelao per un messaggio privato da parte di sua moglie. Il Re di Itaca mi guardò con solennità, mentre la sua mente considerava fino in fondo le possibili conseguenze di un tale messaggio. Poi, con un cenno di assenso, chiamò a voce alta il nome di Menelao e si avvicinò al re spartano che stava uscendo dalla baracca.
— Orion ha un messaggio per te, da Elena — disse semplicemente, la voce bassa in modo che gli altri membri del Consiglio che si allontanavano non potessero sentirlo facilmente.
— Cos’è? — chiese Menelao impaziente, tenendomi strette le braccia mentre uscivamo sulla spiaggia.
Ulisse rimase con tatto dentro alla baracca. Menelao ed io facemmo qualche passo sulla sabbia prima che io parlassi. Era un uomo attraente, con una fitta barba nera e folti capelli ricci. Era di molti anni più giovane di suo fratello, e dove i lineamenti di Agamennone erano pesanti e quasi dozzinali, la struttura generale e il viso di Menelao avevano una sorta di forza e di fierezza. Era molto più magro del Sommo Re, non essendo così dedito alle gozzoviglie.
— Tua moglie ti manda i suoi saluti — cominciai — e dice che tornerà volontariamente con te a Sparta…
Il suo viso si illuminò.
Io finii: — …ma solo se avrai successo nel conquistare Troia. Dice che non lascerà Troia come premio di consolazione per chi ha perso la guerra.
Menelao trasse un profondo respiro e buttò indietro la testa. — Allora, per gli dèi — mormorò, — per Ares e Poseidone e per lo stesso Zeus potente, scalerò quelle mura e la riprenderò con me, non importa quanto sangue servirà!
Capivo come doveva sentirsi, avendo visto Elena e parlato con lei. E sentii anche una sensazione perversa di soddisfazione. Avevo fatto tutto quello che potevo per incoraggiare gli Achei ad andare avanti con la loro guerra. Non ci sarebbe stata nessuna pace con Troia. Non finché io potevo evitarlo.
Poi ricordai che c’era un esercito in marcia per venire in aiuto di Troia, e io dovevo trovarlo, e fermarlo in qualche modo.
Portai Polete con me.
Aspettammo sino al calare della notte, poi ci dirigemmo verso l’estremità meridionale dell’accampamento, dove il fiume più grande, lo Scamandro, divideva il nostro accampamento dalle forze troiane nella pianura.
Ulisse ci fece ottenere una fragile imbarcazione di canne, e io pagaiai nella forte corrente mentre Polete svuotava l’acqua. Il punto era vedere se il nostro vascello che imbarcava acqua sarebbe affondato prima di raggiungere l’altra riva. Ce la facemmo, ma proprio per miracolo.
La notte era scura; la luna non era ancora sorta. Piccoli banchi di nebbia stavano arrivando dal mare.
— Una notte per fantasmi e dèmoni — sussurrò Polete.
Ma il mio sguardo era sulla riva opposta del fiume, dove brillavano i fuochi troiani.
— Lascia perdere fantasmi e dèmoni — gli risposi sussurrando anch’io. — Stai attento invece che non ci siano vedette e sentinelle troiane.
Avevo una nuova spada al fianco e un mantello blu scuro sulle spalle. Polete aveva solo un piccolo coltello da caccia; non era bravo con le armi, diceva. Anche lui aveva un mantello che lo riparava contro il gelo della notte, e portava un piccolo zaino di carne secca e pane e una borraccia di pelle con il vino.
Io avevo al polso sinistro una leggera fascia di rame con la copia dell’accordo tra il Sommo Re Hatti e Agamennone. Sembrava un comune bracciale, ma era tutto inciso a caratteri cuneiformi. Bastava solo farla rotolare su una lastra di creta umida e il documento si sarebbe riprodotto.
Passammo le ore più buie della notte costeggiando la riva del fiume, risalendo verso l’entroterra oltre la pianura di Ilio e la città di Troia. Nell’oscurità i fitti cespugli si avviluppavano ai nostri piedi, facendoci rallentare. Cercavamo di muoverci in silenzio, ma spesso dovevamo tagliare i rami coperti di foglie. Quando la luna sbucò sopra le lontane montagne, stavamo scalando le pendici della prima delle colline. Potevo vedere il limitare delle foreste davanti a me, querce, frassini, faggi e larici, argentei e silenziosi nella luce della luna. Più su, pini scuri e abeti rossi dritti e alti. I cespugli si erano ormai fatti più radi, e potevamo andare più in fretta.
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