Ben Bova - La vendetta di Orion

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La vendetta di Orion: краткое содержание, описание и аннотация

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Ormai non ci sono dubbi: sotto le spoglie umane di John O’Ryan si nasconde una figura mitica, il leggendario cacciatore Orion. A crearlo è stato l’essere di un lontanissimo futuro che ha scelto di farsi chiamare Ormazd, e che con il suo aiuto intende condurre nel tempo e nello spazio una guerra spietata contro il più acerrimo nemico dell’umanità, Ahriman. Il primo scontro (in Orion, Urania 1038) sembra essersi concluso vittoriosamente, ma in realtà l’intervento di Orion ha causato una frattura nel continuum spazio-temporale, concedendo ad Ahriman e ai suoi neandertaliani un cosmo tutto per loro. Ormazd non ha affatto gradito la cosa e ha deciso di punire Orion strappandogli ciò che ha di più caro, per costringere il cacciatore a riprendere la sua battuta. Questa volta lo scenario-sarà il passato e la posta in gioco il salvataggio di Troia… perché Ormazd è deciso a cambiare addirittura la trama del tempo pur di distruggere definitivamente il suo nemico.

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Ad ogni tappa spiegai la mia missione. Sia i Dardani sia i Troiani parlavano un dialetto del greco parlato dagli Achei, diverso ma non così tanto da essere incomprensibile. Io mi resi conto che molti dei difensori di Troia provenivano da diverse zone a nord e a sud lungo la costa. Dopo che gli Achei avevano razziato le loro città per anni, ora si erano riuniti tutti sotto il comando Troiano per cacciare definitivamente gli invasori.

Quella era l’intenzione del Radioso: fare in modo che i Troiani respingessero gli Achei e guadagnassero la supremazia sull’Egeo. Infine avrebbero fondato un impero che avrebbe compreso l’Europa, il Medio Oriente e l’India.

Se quello era il suo scopo, il mio doveva essere fare in modo che fallisse. Se Ulisse stava offrendo un compromesso che avrebbe permesso agli Achei di riprendere il mare senza bruciare Troia sino alle fondamenta, allora io dovevo sabotare l’offerta. Sentii un momentaneo rimorso di coscienza. Ulisse si fidava di me. Oppure, mi domandai, mi aveva mandato in quella missione diplomatica perché preferiva perdere me che non uno della sua gente?

Con questi pensieri che turbinavano nella mia mente, fui scortato davanti a Ettore.

La sua tenda era a malapena grande abbastanza per lui e i suoi servi. Due nobili in armatura stavano fuori all’ingresso, vicino al fuoco, con i pettorali di bronzo che brillavano nella notte. Gli insetti ronzavano e guizzavano nella luce delle fiamme. Non c’erano né schiavi né donne in vista. Ettore stava in piedi davanti al lembo d’entrata della tenda. Era alto per quella gente, quasi della mia statura.

Non portava alcuna armatura, nessun emblema del suo rango. Solo una tunica pulita e soffice stretta in vita, e una daga ornamentale che gli pendeva dalla cintura. Non aveva bisogno di impressionare nessuno con la grandiosità. Possedeva quella calma forza interiore che può fare a meno di esibizioni esteriori.

Nella luce tremolante del fuoco da campo mi studiò silenziosamente per un attimo. Quegli stessi solenni occhi castani. Il suo viso era attraente, intelligente, anche se vidi rughe di stanchezza intorno agli occhi, solchi profondi sulla fronte larga. Nonostante la pienezza della sua ricca barba castana, notai che aveva le guance scavate. La tensione di quella guerra stava esigendo il suo tributo anche da lui.

— Tu sei l’uomo della porta — disse infine. Le sue parole erano misurate, senza traccia di sorpresa né ira.

Annuii.

Mi guardò attentamente. — Il tuo nome?

— Orion.

— Da dove vieni?

— Da un posto molto a ovest da qui. Al di là dei mari dove tramonta il sole.

— Al di là di Oceano? — chiese.

— Sì.

Rimase sorpreso, con la fronte corrugata, per qualche momento. Poi chiese: — Cosa ti porta alla pianura di Ilio? Perché stai combattendo per gli Achei?

— Un debito che devo pagare a un dio — risposi.

— Quale dio?

— Atena.

— Atena ti ha mandato qui a combattere per gli Achei? — Sembrava interessato alla cosa, quasi preoccupato.

Scuotendo la testa, risposi: — Sono arrivato all’accampamento acheo avant’ieri notte. Non avevo mai visto Troia prima. Improvvisamente, nel mezzo della battaglia, ho agito d’impulso. Non sapevo cosa mi spingesse a farlo. È successo tutto nel lampo di un momento.

Ettore sorrise, teso. — Frenesia di battaglia. Un dio ha preso il controllo del tuo spirito, amico mio, e ti ha ispirato gesta che nessun mortale potrebbe portare a termine senza aiuto. Mi è successo molte volte.

Anch’io gli sorrisi. — Sì, forse è questo che mi è successo.

— Non avere dubbi in merito. Ares o Atena si sono impadroniti del tuo spirito e ti hanno riempito della frenesia di battaglia. Avresti potuto sfidare Achille in persona, in quelle condizioni.

Alcuni schiavi emersero dal buio per sistemare sedie di pelle e offrire frutta e vino. Al cenno di Ettore mi sedetti e presi un poco di tutto. La qualità del vino troiano era alquanto superiore a quella del vino degli Achei.

— Porti la verga di un messaggero e dici di essere qui come emissario di Agamennone — disse Ettore, appoggiandosi stancamente alla sua sedia scricchiolante.

— Porto un’offerta di pace.

— Abbiamo già sentito simili offerte. C’è niente di nuovo in quello che Agamennone propone?

Notai che i suoi due aiutanti si facevano più vicini, impazienti di sentire quello che avevo da dire. Io pensai brevemente a Ulisse, che si fidava di me. Ma dissi: — Il Sommo Re ripete la sua precedente offerta di pace. Se restituirete Elena e il patrimonio che ha portato con sé da Sparta, e pagherete un’indennità per le spese che gli Achei hanno dovuto affrontare, Agamennone dirigerà le sue navi lontano da Ilio.

Ettore diede un’occhiata ai suoi due luogotenenti, che borbottarono cupamente.

Poi, a me, disse: — Non abbiamo accettato questa proposta quando gli Achei ci tenevamo rinchiusi all’interno delle mura della nostra città, senza alleati. Ora che li superiamo di numero e che siamo noi a tenerli rinchiusi nel loro stesso accampamento, perché dovremmo anche solo considerare dei patti tanto oltraggiosi?

Dovevo farlo suonare convincente almeno a metà, pensai. — Secondo il modo di vedere degli Achei, principe Ettore, il tuo successo di oggi è stato assai favorito dal fatto che Achille non ha preso parte alla battaglia. Ma non resterà nelle retrolinee per sempre.

— Un uomo solo — controbatté Ettore.

— Il miglior guerriero dell’esercito acheo — feci notare io. — E i suoi Mirmidoni sono un’unità da combattimento formidabile, mi è stato detto.

— Abbastanza vero — ammise Ettore. — Ciononostante, quest’offerta di pace non differisce in niente dalle altre, anche se noi siamo in vantaggio.

— Allora cosa devo dire al Sommo Re?

Il principe si alzò. — Non sta a me prendere una decisione. Io comando l’esercito, ma mio padre è ancora re a Troia. Lui e il suo consiglio devono considerare la tua offerta.

Mi alzai anch’io. — Il re Priamo?

— Polidama — chiamò Ettore — conduci questo messaggero dal re. Enea, avverti i comandanti che non attaccheremo finché il re Priamo non avrà considerato l’ultima offerta di pace di Agamennone. Mi prese un’ondata di esultanza. I Troiani non avrebbero attaccato il campo degli Achei finché io fossi stato in trattative con il loro re! Potevo dare a Ulisse e agli altri una giornata di tregua, almeno.

E poi mi resi conto che quello era esattamente quanto Ulisse aveva progettato. Il re di Itaca aveva mandato un eroe sacrificabile, un uomo che Ettore avrebbe riconosciuto, ma non importante per la forza achea, all’interno del campo troiano, con un’abile mossa per recuperare un giorno al disastro di quella mattina.

Io pensavo di tradire Ulisse, ma lui aveva già prima messo nel sacco sia me sia Ettore.

Cercando di sembrare appropriatamente solenne e di non lasciar trapelare le mie emozioni, seguii il nobile troiano chiamato Polidama attraverso il campo, sulla pianura, sino alle mura di Troia.

9

Entrai nella leggendaria città nel cuore della notte. La luna era alta, eppure c’era ancora così buio che non riuscivo a vedere praticamente niente.

Le mura incombevano dall’alto come ombre minacciose. Vidi deboli lanterne che illuminavano un ingresso, mentre oltrepassavamo una gigantesca quercia che si agitava e sibilava nella brezza notturna, piegandosi leggermente al vento incessante di Ilio.

Per avvicinarci alla porta dovemmo seguire un percorso che passava lungo le mura a strapiombo. Proprio prima della porta dall’altra parte della strada, si allungava un altro muro, in modo che chiunque entrasse dalla porta era vulnerabile su tre lati.

La porta, di per sé, era poco difesa. Un trio di ragazzi stava oziando con le immancabili lunghe lance appoggiate sul muro di pietra. Altri erano sui bastioni sovrastanti. Praticamente tutto l’esercito troiano era accampato vicino alla spiaggia.

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