Raphael Lafferty - Maestro del passato

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Maestro del passato: краткое содержание, описание и аннотация

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Il “migliore dei mondi possibili” è Astrobia, pianeta costruito sul modello dell’Utopia, dove agi e ricchezze sono a disposizione di chi li vuole. Ma proprio quando il sogno sta per realizzarsi ecco scoppiare una crisi inspiegabile: perché la gente volta le spalle al benessere e sceglie di vivere nel pericolo, negli stenti? I capi di Astrobia non lo sanno, e decidono di chiedere aiuto al passato, cercando nella Storia un leader che possa salvare la loro civiltà perfetta. Inizia così uno dei romanzi più ironici e profondi degli ultimi anni. Un’opera inesauribile, allegorica e umana, che mostra realtà e sogno, mostri e astronavi, assassini meccanici e individui programmati. Un futuro di paria e di dominatori, dove il sublime si alterna al mediocre e dove sovrastano sulla scena figure misteriose: il Rimrock, la creatura oceanica, Evita, la strega bambina, e soprattutto il fondatore e insieme il più grande avversario dell’Utopia: Thomas More, il “Maestro del passato”.
Nominato per il premio Hugo in 1969.

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— Già, vorrebbero addirittura proibirle di avere un’ombra — aggiunse. — Perché mai dovrebbero temere tanto un’ombra? È una cosa pressoché morta. Lasciatela tranquilla nei suoi ultimi istanti! Perché tanta avidità di assassinarla, quando i battiti del suo cuore si sono quasi fermati?

Tolse le clausole dalla legge. Non appena l’ebbe fatto, provò una punta di apprensione. Aveva tolto cose molto più importanti da leggi molto più importanti, per giorni interi, molte per ripicca, altre per la curiosità di vedere con cosa sarebbero ritornati alla carica il giorno dopo. E non aveva mai provato alcuna apprensione quando si era trattato di sfrondare leggi ben più importanti. Le cose stavano perdendo le giuste proporzioni ai suoi occhi, e questo lo preoccupava. Decise di chiudere bottega, per quel giorno.

La mattina dopo, eccola ancora lì, sotto forma di una clausola della Legge Pezza, la prima legge della giornata. Qualcuno si era dato da fare durante la notte per reinserirla in una legge che non aveva alcuna connessione possibile con quella clausola, una legge che aveva già esaminato e che era stata messa da parte soltanto per una chiarificazione di ordine minore. Thomas non si sarebbe certamente accorto che era lì, nella Legge Pezza, se non vi fosse stato un avvertimento nella sua mente, un avvertimento del tipo che Rimrock usava mandargli: Gli Assassini ti sono addosso!

Thomas percepì un lontano ticchettio nella sua mente, come se il suo tempo stesse per scadere. Quella strana proposta, dall’apparenza insignificante, evidentemente doveva avere molta importanza per qualcuno: — Qui qualcosa ci cova — si disse, — ed è qualcosa di più che una semplice gatta…

Rabbiosamente, Thomas diede il veto all’intera Legge Pezza. C’era qualcosa di definitivo nel suo gesto. L’unico modo per sentirsi il padrone. Ora ritornava se stesso, usciva dal suo abisso, e per una piccola frase indifferente, senza importanza. Era sbiadito tra le mani delle Macchine programmatrici e dei Programmati; ma il Presidente era lui.

Chiuse bottega anche per quel giorno. Non erano ancora le otto del mattino. Non era rimasto nel suo studio più di dieci minuti.

— Un re non dovrebbe lavorare tutto il giorno come un contadino. E non dovrebbe lavorare affatto in un giorno incominciato così male.

Kingmaker parlò a Thomas privatamente, a tale proposito, la sera stessa. Thomas avrebbe preferito parlarne con Fabian Foreman, ma Foreman non aveva dato alcun segno di volergli parlare, ora, e anzi aveva evitato Thomas, quando questi era riuscito ad avvicinarlo.

— Avremo tempo di parlarne sul patibolo… — aveva detto Foreman ammiccando a Thomas, ma senza sorridere. E c’era qualcosa nel profondo degli occhi di Foreman, e un’altra cosa ancora più profonda, e una terza più profonda ancora.

Così gli toccò sorbirsi il fervorino di Kingmaker.

— È tutta una questione di pulizia — disse Cosmos Kingmaker. — Una vita bella non può avere delle componenti che non siano armoniose. C’è un unico elemento disarmonico che sopravvive (anche se a stento) ed è appunto questo elemento che vogliamo estirpare. L’Ideale di Astrobia è l’Umanità finalizzata. Se rimanesse anche la più piccola fede in un Aldilà fantasma, l’Ideale fallirebbe.

— «Umanità finalizzata»: mi sembra una definizione ambigua, Cosmos. Ha due significati. Può voler dire un’umanità perfetta. Oppure un’umanità che finisce.

— No, ha un solo significato, Thomas. Sono due aspetti della stessa cosa. Noi, il Popolo dell’Ideale, ci siamo innalzati da creature unicellulari, e da cose perfino inferiori a una cellula. Noi siamo l’Ente Cosmico. Noi siamo coloro che i nostri avi definivano i Beati, noi siamo i Santi. L’Avvenire è venuto, e noi ne siamo in mezzo. Non infangare l’Ideale comune, Thomas.

«C’è un’antica leggenda su alcune creature folli. Fuggirono dal nostro stato di perfezione, convinte che ci fosse un Aldilà, e precipitarono per sempre nel vuoto. Non possiamo permettere che questo accada anche a noi.»

— Mi si è affacciato or ora alla mente un pensiero piuttosto oscuro: che ci sia stato uno scambio di etichette, e che il vuoto sia la Dorata Astrobia — disse Thomas.

— Bene, dimentica i pensieri oscuri. Parliamo della questione sotto l’aspetto politico. Anch’io, personalmente, non vedo che importanza possa avere che una cosa moribonda viva ancora un po’ o muoia subito. Ma i Programmati affermano che per loro è molto importante.

— Già, hanno un preciso orario per la scomparsa di tutte le cose, e non ammettono che ci siano ritardi. Oh, scusa, Kingmaker, questo era un altro di quei miei pensieri oscuri. Non so neppure che cosa sto dicendo!

— Se è importante per i Programmati, e per noi è indifferente, allora concediamoglielo pure. Anch’essi ci hanno fatto simili concessioni tante volte.

— Davvero, senza secondi fini? — si chiese Thomas. — Ho la sensazione… ho la sensazione di trovarmi in mezzo a un violento combattimento. E sono pieno di dubbi: perché mai una cosa così insignificante vale un combattimento? Ma si tratta veramente di una cosa tanto insignificante? Si tratta ancora una volta di scambi di etichette. Devo ora decidere se le etichette su «Tutto» e su «Nulla» sono state scambiate tra loro, e se è mio dovere proibire che siano rimesse al loro posto.

— Non è stata scambiata alcuna etichetta, Thomas. Tutto ha l’etichetta giusta, in questo mondo dove tutto si svolge nel modo giusto. Una volta che la cosa sia fatta qui, anche la Vecchia Terra seguirà il nostro esempio. Segue il nostro esempio in tutto. Perciò, se noi, ora, diciamo che è finita, essa sarà finita per sempre.

«E c’è ancora questo, Thomas: o tu firmerai la legge domani, o morirai il giorno seguente. C’è un limite all’ostruzionismo di un Presidente del Mondo. Una legge o una clausola sensate, approvate per tre volte dai Maestri della Legge, e per tre volte bloccate dal veto del Presidente, significano per lui la morte. A volte si è arrivati a due veti per un gesto di sfida, più spettacolare che altro, a parer mio. Ma tre veti non si sono mai avuti. Allora l’approverai?»

— Quello che mi ha irritato è il tentativo di nasconderla come clausola di altre leggi comuni, cercando di fare in modo che io non la vedessi.

— Sarà presentata domani, come legge a parte, chiara e senza compromessi. La firmerai?

— Se fosse stata presentata così la prima volta, l’avrei firmata senza porre nessuna domanda.

— Sì, va bene. Ma domani la firmerai?

— Non lo so, Kingmaker. Non molto tempo fa ero sulla cima del Monte Elettrico, in mezzo a una tempesta di fulmini più violenta di quanto ritenessi possibile. Ho attraversato le terre incolte, e ho scoperto che esiste un popolo di quelle zone. Ho visto creature che mi hanno fatto credere che c’è o che c’è stato il Demonio. Ho incontrato un giovane che era imperatore per un giorno. E ora credo che sia possibile essere re per nove giorni.

— Di cosa stai parlando, Thomas? Cosa c’entra con la nostra discussione?

— Non lo so, ma sembra che in qualche modo c’entri. Il ricordo del Grande Tuono dovrebbe esercitare un certo peso.

I Grandi chiamarono Thomas il mattino successivo, per fargli una bella lavata di capo: Kingmaker, Proctor, Foreman, Chezem, Pottscamp, Wottle, Northprophet.

Ma Pottscamp e Northprophet non facevano parte di quel suo incubo dimenticato? Be’, rischiereste d’insultare un uomo soltanto perché avete fatto un sogno spiacevole su di lui? E che sogno, poi?

— Hai solo due possibilità, Thomas — gli disse Proctor, con calma. — O firmare la legge, o morire. Non sembri disposto a fare la prima cosa e non credo che neppure la seconda sia di tuo gradimento.

— Thomas, tu hai posto il veto due volte su qualcosa di assolutamente innocuo — aggiunse Pottscamp. — perché?

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