Boggle, Skybol e Swampers! Il riso degli sciacalli, uno squittio abbaiante di derisione. Un’esplosione di urla che laceravano e ferivano. Northprophet, Knobnoster, Beebonnet! Altissimi ululati beffardi. Cani ringhiosi che avrebbero fatto accapponare la pelle a qualsiasi uomo. Pottscamp, Holygee e Gandy! La risata del lupo feroce, spettrale, che riapriva le ferite più nascoste.
Era la pazzia. Thomas si precipitò fuori della porta, e poi si voltò, sconvolto, cercando di ricordare dove era stato e cosa aveva fatto. E donde veniva. Non c’era porta, non c’era apertura nella viuzza, soltanto muri scoscesi. Ma era amareggiato dalla rabbia e dalla vergogna. Qualche istante prima aveva subito un’umiliazione profonda, sentiva la mente ribollire, ma non sapeva perché.
Thomas si sforzò di ricordare per ore, così gli parve, anche se in realtà passò meno di un minuto. Due uomini si stavano avvicinando, e lui non si sentiva d’incontrare nessuno. Erano due uomini importanti, Northprophet e Pottscamp, ma che cosa volevano? I loro volti erano distorti da una serie di profonde rughe, tragiche e ridicole. Sembrava quasi che singhiozzassero, e si muovevano goffamente. Gli si avvicinarono e lo toccarono.
— Thomas — dissero, — siamo due anime in agonia. Cosa dobbiamo fare per essere salvati?
Thomas li fissò senza capire: cosa volevano quei pagliacci?
— La vostra ironia non diverte, e oggi non la sopporto — replicò. — Andatevene.
Era l’inizio dell’estate dell’anno di Astrobia 535. Sulla Vecchia Terra era l’anno 535 A.S. (anno scientiae). Secondo la vecchia numerazione, sulla Terra era l’anno 2535. Era simpatica questa differenza tonda di duemila anni.
Perché ciò fosse possibile, doveva esserci un «anno libero» su Astrobia ogni ventinove anni, poiché gli anni su Astrobia erano un po’ più corti degli anni terrestri. Su Astrobia sarebbe dovuto essere il 553, ma poiché gli «anni liberi» non entravano nel conto, era invece il 535. La cosa funzionava bene.
Thomas More assunse la carica di Presidente del Mondo il 28 giugno dell’anno 535 di Astrobia.
A Thomas More il lavoro piaceva. Provava un senso di potere. Non che fosse più vanaglorioso del normale: pensava di essere molto vicino alla vecchia idea del re filosofo. Era stato un filosofo dilettante per molti anni, e adesso era re sul serio, perché il Presidente di Astrobia era chiamato re dal popolo, specialmente a Cathead. Thomas possedeva un certo ingegnaccio per fare dei ragionamenti chiari e per semplificare le cose complicate. Sapeva analizzare e andare rapidamente al nocciolo delle questioni; e qui su Astrobia aveva una libertà di esercitare il suo talento come non l’aveva mai avuto prima. Quand’era stato Cancelliere d’Inghilterra, aveva sempre avuto il re sopra di lui, un uomo difficile, con una pesante statura legale. Adesso c’era solo Kingmaker, un uomo assai più semplice e senza alcuna statura legale.
Thomas non aveva alcun obbligo di seguire i consigli di Kingmaker, ma lo ascoltava sempre volentieri.
— Ora che la tua donna e la tua bestia se ne sono andate, dovresti procurartene un’altra coppia — disse Kingmaker. — Non puoi rovinare la tua immagine pubblica adesso che sei in cima.
— Non sono mai state mie né l’una né l’altra, come del resto ti ho già detto — replicò Thomas, con calma. — La mocciosa impertinente ha detto che ritornerà al momento giusto a morire per me, e mi ha fatto capire che manca poco. E Rimrock l’ansel mi ritorna spesso alla mente, alla lettera. Ma dice che non gli piace affatto quello che c’è dentro, che il menu è troppo forte, anche se da giovane, in fondo all’oceano, mangiava un mucchio di serpenti di mare. Sì, si esprime spesso per enigmi di questo tipo. Però è sempre stato molto abile a scoprire la presenza degli Assassini programmati. So che è merito suo se sono riuscito a scappare tante volte. Ora però non cercano più di eliminarmi così sfacciatamente. Mi seguono sempre e sogghignano, facendomi vedere tutti i loro bei denti. Poi, rivolgendosi a me, si passano in taglio della mano davanti alla gola. Qualcuno che li capisce meglio di me mi ha detto che questo significa: «Il momento è vicino.»
— È tutto tranquillo, troppo tranquillo, è come la calma prima della tempesta — disse Kingmaker. — È come se il nostro mondo trattenesse il fiato aspettando che accada qualcosa.
— Lascia pure che lo trattenga, Kingmaker, fino a diventare blu. Indica che il raccolto non è ancora maturo. Non ho fretta: non ho bisogno d’affrettarmi. Tutto andrà bene: le cose vanno a posto da sole, senza neanche bisogno che io vi ponga mano, basta solo che le guardi. Mi è stato assicurato che sarò l’uomo più fortunato che sia mai esistito.
— Non so. Chi te l’ha assicurato, Thomas?
— Non riesco a ricordarmene, ma mi sembra che qualcuno me l’abbia garantito. Se non sconvolgerò le carte, se non rovescerò la brocca, se non farò cose abbiette e irragionevoli, allora la fortuna sarà sempre dalla mia. Ci dev’essere una fregatura dentro, ne sono convinto, e non ricordo se ho abboccato oppure no. Ma è una cosa che mi è stata offerta, e in questo momento mi sento decisamente fortunato.
— Cathead è stranamente calma, Thomas. Di solito è molto rumorosa e scatenata, quando c’è un cambio di amministrazione. Credi che questa tranquillità sia presagio di resa, di ritorno in massa da Cathead alla Vita Dorata?
— No, non ci credo. Come potrebbero arrendersi? I dissidenti di Cathead non hanno il vantaggio di essere programmati per la resa. E se anche fosse, a quegli altri piace vederli soffrire.
— Agli altri, chi? A me non piace certo vederli soffrire.
— E neppure a me. Ma quest’ultima fase che ho detto, Kingmaker, non sono stato io a dirla. Qualcun altro l’ha detta con le mie labbra. Oh, non allarmarti per me: sono sano di mente. Mi accade ogni tanto, quando non sto attento a ciò che dico. Ma non mi preoccuperò di certo per quanto sta succedendo a Cathead.
— Ma se è proprio quella la maggior preoccupazione dei governanti di Astrobia, Thomas! È l’unica cosa che guasta la serenità del nostro mondo. E durante la campagna elettorale hai fatto certe promesse, garantendo di liquidare il problema di Cathead direttamente, e se necessario con severità.
— Troverò un modo elegante per rompere le promesse, Kingmaker. Mi stai trattando come se fossi un principiante in questo gioco, ma non lo sono affatto. Liquiderò il problema di Cathead considerandolo come già risolto. Tutto è calmo, laggiù. E tu vorresti che ritornasse il bordello di prima? Sento come un’immensa voce interiore che mi dice di non preoccuparmi di Cathead. Sento che non devo preoccuparmi di niente, assolutamente.
«L’amministrazione che finora ha avuto più successo, su Astrobia, era caratterizzata da una calma artificiosa prima di una tempesta che non si scatenò mai. Penso di riuscire a fare lo stesso anche ora.»
— Questo non è esattamente il modo che avevo in mente per te — disse Kingmaker, — ma vedremo come funzionerà.
Era una navigazione tranquilla su un oceano di buoni propositi e di cliché. Non c’era una sola nuvola in cielo, in quel momento, e il sole era senza macchie.
— Non siamo neppure certi che ci sia un cielo, e un sole — continuò Kingmaker. — Ma per la gente questo non ha importanza, e non ha importanza neppure per me. Chi mai alza lo sguardo al cielo, oggi?
— Il sole è un foro, e non un corpo — disse Thomas. — Non è il simbolo della sfericità piena, ma del vuoto bruciante… di Ouden. No, no! Non sono stato io a dirlo! E stato un altro, con le mie labbra!
Il voto in favore di Thomas era stato schiacciante. I suoi amici avevano votato compatti per lui, e i suoi nemici lo avevano circondato del loro esorbitante appoggio. Le macchine sensoriali proclamarono la sua vittoria: una delle più nette che si fossero mai avute.
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