— Non puoi. Tommaso. Hai completamente rinunciato a essere un uomo.
Il Domuscopio era una macchina che tutti potevano usare in apposite cabine per la strada; molti addirittura la tenevano in casa. Qualcuno, all’inizio, non avendo ben capito lo scopo di questa macchina meravigliosa, l’aveva battezzata «quintessenza del guardone». Ma la critica era ingiusta.
Il Domuscopio, secondo la politica della Mente Aperta di Astrobia, era semplicemente una macchina che permetteva ai curiosi di guardare all’interno delle stanze, scelte a caso o componendo un numero prestabilito. Così, si poteva guardare nelle camere personali dei cittadini e delle loro mogli mentre sbrigavano le faccende domestiche. Si poteva guardare dentro qualsiasi stanza, in qualsiasi punto di Astrobia, a parte una decina di stanze «proibite»: certi luoghi semipubblici usati dai Capi per incontrarsi. Il dispositivo era utilissimo per incrementare la cultura della gente, in quanto permetteva a chiunque di conoscere tutto su tutti. Non c’era dubbio che calzasse a pennello con l’aspirazione suprema di Astrobia: «Alla fine saremo tutti una sola persona, non ci saranno più segreti tra noi.»
Ma non era più usato con la stessa frequenza di una volta. Le grandi masse non ne aveva afferrato il vero scopo, e molti avevano finito per stancarsene. Eppure, com’era possibile che tutti i cittadini di Astrobia si stancassero di vedere i propri simili intenti a svolgere le loro faccende? In fin dei conti, i propri simili erano parte integrante di loro stessi. In una stanza c’era un uomo con la moglie, in un’altra un uomo con l’amante, in un’altra ancora c’erano due che facevano l’amore… Non erano più possibili gli amori segreti. E il meccanismo non era più limitato alle sole stanze, poteva spaziare su un qualsiasi punto di Astrobia, dentro o fuori la fascia civilizzata: bastava fare il numero giusto. Restavano schermate soltanto pochissime zone.
Il Domuscopio, comunque, era soltanto il primo passo. La legge della Mente Aperta incoraggiò ulteriori invenzioni e suggerì sempre nuovi usi per quelle che già esistevano. Il sottotitolo della Legge stessa, Ho altrettanto diritto a quello che c’è nella tua mente di quanto ne abbia tu, esprimeva il nuovo mirabile concetto. Adesso, chiunque poteva usare un Domuscopio per guardare nella mente altrui, e i recalcitranti che si seccavano per l’invasione della loro mente potevano essere denunciati e trascinati in tribunale sotto l’accusa di atti antisociali.
— Noi siamo tutti la stessa cosa, siamo identici — proclamava infatti la Legge. — Come possono tutte le nostre menti uguagliarsi e fondersi in una sola, se un qualsiasi aspetto di questa mente totale non è libero di esaminare ogni altro aspetto di se stessa?
Era una dichiarazione che lasciava attoniti, uno dei vertici dell’Ideale di Astrobia. Ed era stato un po’ difficile per Thomas More, che proveniva da uno dei più desolanti periodi della Vecchia Terra, accettarla così, in blocco. Eppure vi si era adattato con rapidità, senza problemi.
Durante un altro di quei discorsi, Thomas coniò una frase particolarmente felice, o forse qualcun altro la pensò per lui e la espresse attraverso la sua bocca: — Desidero essere tutto per tutti! — Era magia pura. Era così che nascevano i re.
Thomas aveva vinto, e lo sapeva. Tutto andava meravigliosamente bene per lui e per i suoi. Si sentiva come a casa sua, nel cuore della Dorata Astrobia. Era diventato il facondo portavoce della Grande Cosa, dell’unica Cosa possibile. E aveva lanciato il guanto di sfida all’unica seria malattia di Astrobia.
Pentitevi o sarete distrutti! fu probabilmente il suo discorso più grande. Non lasciava alcun dubbio agli ostinati di Cathead e del Barrio: il significato delle sue parole era molto preciso. Milioni di essi si ostinarono caparbiamente nel loro errore, ma alcune migliaia fecero ritorno alla vita dorata dell’Astrobia civile. Era l’inizio, anche se molto debole, di una nuova tendenza, ma non era certo debole la decisione di porre la parola fine a quel problema. L’Astrobia civile disponeva da sempre del potenziale scientifico per distruggere totalmente il Barrio e Cathead. Né il Barrio né Cathead disponevano del potenziale scientifico per difendersi o per contrattaccare. Bastava soltanto un leader dal polso forte: Thomas aveva dichiarato di essere l’uomo adatto. La compassione era fuori posto in quelle circostanze.
Tutti si sentirono galvanizzati quando Thomas, ancora invisibile, parlò in Replica: — Non si tratta più di dare il Meglio al Maggior Numero. Ora si tratta di dare il Tutto alla Fusione Totale. E quando tutti noi saremo diventati Uno, allora avverrà la Grande Inversione. Diventeremo qualcosa per cui non avranno più senso né Numero né Nome.
Dopo questo discorso, gli Assassini programmati seguirono ancora Thomas, ma cambiarono atteggiamento. Lo tenevano ancora sotto osservazione, ma gli sorridevano enigmaticamente e non lo minacciavano più.
Così Thomas stava diventando re, cioè Presidente di Astrobia.
Ed è proprio così facile diventare re? Certo che lo è. Dipende dal motivetto che uno fischietta. Dev’essere quello giusto, al momento giusto, e con una giusta modulazione che lo distingua dagli altri. Ma è il motivetto che conquista il popolo. Basta scegliere quello giusto e potete diventare re in qualsiasi momento.
10. Il profilo deformato del futuro
Ma c’era qualcosa in Thomas che non si era ancora assopito, che non era ancora morto. Egli era pur sempre il risorto con il doppio segno, e quell’antica parte di lui stesso stava ora emergendo, quasi spezzandolo in due. Uscì a passeggiare nel pomeriggio, avvolto come da un incubo, senza sapere quello che faceva, e neppure dove era. Era combattuto con se stesso ma non aveva ancora smarrito la strada definitivamente. Questo era il fatto più strano: Thomas aveva davvero dei ripensamenti sull’intera faccenda. E nessun ripensamento avrebbe più dovuto entrare nella sua mente, si supponeva. L’avevano completamente soggiogato e potevano essere sicuri di lui. E invece…
Poteva ancora ribellarsi, con astuzia o con furia cieca. Stava quasi rendendosi conto che si erano impadroniti della sua mente.
C’erano delle zone nascoste nei suoi pensieri che, nonostante le sue professioni di fede, non avevano ancora accettato l’Ideale di Astrobia. C’erano perfino delle zone in cui conservava la propria individualità, anche se dalla porzione di mente di cui si erano impadroniti partiva la sensazione che fosse sbagliato afferrarsi a una parte del proprio Io. E ora aveva trovato un attimo di lucidità in cui poter esaminare in prospettiva il suo strano comportamento.
— La cosa più strana è che sono caduto nella mia stessa trappola — disse Thomas tra sé e sé. — Pensa, Thomas me stesso, che cos’ho fatto come scherzo nella mia vita precedente? Ho inventato tutta questa sporca faccenda! Chi, se non io, ha coniato il termine Utopia? E non so benissimo di avere usato l’oro falso, non quello vero, per coniarla? Cosa accade, ora? Com’è possibile che ci sia cascato anch’io? Oh Dio, che cosa sono, che ho trasformato uno scherzo atroce in un dorato mondo del futuro, per poi inciampare nella mia stessa ridicola creatura? C’è un altro scrittore che sia mai stato condannato a diventare parte della favola maliziosa da lui scritta? C’è un altro legale che sia mai stato condannato a dare la legalità a una sua burla? C’è un altro cancelliere che abbia mai avuto l’incarico di governare un mondo da lui creato per scherzo? Aiutami, Signore! Se avrò altre occasioni dopo la mia seconda morte, presterò molta più attenzione a quello che faccio!
«Dico a me stesso: ‘Non è oro autentico.’ è materia spuria, fango che ho raccolto in un fosso e modellato per gioco. Il mio sogno insano è diventato un mondo intero! E io ho finito per considerarlo oro vero, e ne ho fatto un intero mondo, e sono il più grande sciocco in circolazione, sotto ogni punto di vista.»
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