Foreman, il volto grifagno deformato da una smorfia dolorosa, sedeva a un rozzo tavolo di legno, più rozzo di qualsiasi altro di Astrobia. C’erano trenta conchiglie disposte sul tavolo davanti a lui, con le quali giocherellava, contandole. Piangeva, ma alla maniera di un falco, goffo e impacciato, tossendo e stridendo orrendamente. — Così dev’essere — gracchiava. — Non c’è altro modo.
Ma una delle conchiglie era in realtà un guscio d’uovo, e Foreman il Falco sobbalzò quando se ne accorse. Poi venne un tuono e si sedette al suo tavolo: — È un pulcino di falco che stai distruggendo — disse il tuono. — Non c’è dolore al mondo più grande del tuo.
— So come il gatto fissa un uccello — fece Thomas a Foreman (l’attimo del Passaggio era volato via), — e so in qual modo un uccello può essere utile al gatto. Tuttavia, tu non riuscirai a fare un boccone di me. Sono un uccello coriaceo, ti garantisco. E adesso vedo che sei un falco, e non un gatto, ma tuttavia cerchi di assalirmi.
— Di che cosa stai parlando, piccolo Thomas?
— Anche Proctor mi ha chiamato così, e anche lui faceva le fusa, nel dirmelo. I vostri rispettivi animali si confondono, voi non siete della stessa razza degli animali terrestri, Foreman, e ho l’impressione che tu mi stia mettendo con le spalle al muro. Una volta che mi sia lasciato mettere con le spalle al muro, sarà poi la mia stessa ostinazione a impedirmi di uscire da quella situazione.
— Sono costretto a mettere tutti in situazioni senza uscita. E mi sento molto solo, poiché sono l’unico a vedere le cose chiaramente, con tanto anticipo. E poi, quando ti è successo per la prima volta, non c’è stato anche allora qualcuno a metterti con le spalle al muro? Qualcuno che sapeva che eri troppo ostinato per salvarti? Sai almeno chi è stato? Vuoi che te lo dica io, Thomas?
— No, non voglio saperlo, poiché sospetto chi fosse l’uomo, così stimato, che fu causa del mio assassinio. Ma quella prima volta non è ancora venuta, per me. Il tuo pilota mi ha strappato alla morte sulla Terra mille anni fa, pochi mesi prima che mi ghermisse. Non capisco bene cosa mi accadde quella prima volta, poiché, capisci? non mi è ancora accaduta…
— Ma io lo so, Thomas. Sì, un uomo ti ha già messo con le spalle al muro, allora, e io ti ci metterò di nuovo, in questa occasione. Non ti sarai aspettato una fine diversa, spero. Quella prima volta, gli effetti sono stati limitati. è servita a salvare per metà una situazione disperata. Questa volta servirà a molto di più. Non assolverò me stesso e neppure me ne laverò le mani, ma sentirò la tua mancanza.
— Foreman, qui su Astrobia sembra che tutti mi nascondano qualcosa. Tutto è meraviglioso su Astrobia, così mi dicono, e pare anche a me, a parte una zona relativamente piccola che è comparsa da poco e presto sparirà. Ma, invece, questa zona si estende.
«Il male di Astrobia non può consistere solo nel fatto che un gruppo di persone ha adottato una forma di economia retrograda e un sistema di vita dimenticato. Non può neppure consistere nel fatto che abbiano fatto ritorno a una vita dura e difficile, immergendosi nella povertà senza coercizione alcuna e senza alcuna ricompensa visibile. Vi sono stati culti consimili anche in altri periodi storici. Se il male consistesse soltanto in questo, non mi avreste chiamato per curarlo, o per fare da paravento a chi ha la pretesa di farlo. Bene, c’è qualcosa di molto malato in questo mondo; c’è una meravigliosa febbre dorata che uccide. Io non ne capisco neppure i sintomi. E uno dei ‘duri’ di Cathead mi ha detto che avrei confuso la malattia con la cura.»
— Quel «duro» di Cathead aveva ragione almeno per metà, Thomas. Cathead è per molti sinonimo di pazzia. Un ritorno alla povertà più abbietta, una scelta fatta liberamente da milioni di persone; da più di un decimo della popolazione di Astrobia, fino ad oggi. Hai detto di aver visto la miseria che regna laggiù. No, non puoi averla conosciuta in due giorni e due notti. Sono i lunghi anni di quella miseria che ti corrodono fino alle ossa e ti rivoltano solo a immaginarli. Ma i sostenitori di Cathead affermano che attraverso il loro esperimento stanno riscoprendo la Vita. Questo, io non sono in grado di spiegartelo, ma neppure loro: dovresti sperimentarlo tu, sulla tua pelle, e non hai abbastanza tempo per farlo. Lo potrai capire, forse, negli ultimi istanti della tua vita.
— Forse lo capirei già ora, se soltanto ci fosse qualcuno con cui poter ragionare.
— Oh, i due mondi si stanno divorando tra loro, ma chi può dire quale dei due sia giusto, e quale, invece, sbagliato? Cathead non è la malattia, e neppure la cura. è soltanto un’eruzione cutanea, un effetto superficiale della malattia. Noi siamo ancora più malati di Cathead e del Barrio. Finiremo per morirne!
«Io ho già messo a punto dei piani per una completa rinascita, o, quanto meno, per creare qualcosa di diverso, che potrebbe anche assomigliare, ma non esattamente, al mondo d’oggi. Ora ci concentriamo sui particolari, finché il mondo muore. Uomini peggiori di te ci sono stati utili nelle cose meno importanti; tu ci sarai utile in quella più importante. E dopo la tua morte ci sarai ancora più utile.»
— Dannazione, ma per voi io sono già morto!
— Sì. Io la vedo così. è la tua morte che ci serve oggi, su Astrobia. Quello che ci riserva il futuro è terribilmente confuso, ma tutto potrebbe risolversi ancora per il meglio, una volta usciti da questo guaio.
— Per il meglio di chi, Foreman? Ho l’impressione di essere pesato e portato in giro come una semplice pedina.
— Ma tu sei una pedina. Prendi la cosa dal suo lato migliore, Thomas. Sei morto da mille anni. Che cosa t’importa di quello che ti accadrà qui?
— Foreman, m’interessa in modo particolare sapere ciò che mi accadrà dopo la mia vera morte. Per ora, nonostante le apparenze, non sono ancora morto. Dall’altra parte, oltre la morte, il tempo si misura in modo diverso. Non ti capisco, Foreman, sei con me o contro di me?
— Sono con te, Thomas, assolutamente. Opero per ottenere il meglio servendomi dei mezzi più abbietti. Perciò sono completamente dalla tua parte, fino alla morte e anche oltre… la tua morte, non la mia. E dopo queste parole incoraggianti, puoi anche lasciarmi.
— Se questi tre sono la Cerchia interna dei Maestri, non c’è da stupirsi che Astrobia sia un pianeta moribondo — disse Thomas, parlando a se stesso.
Thomas s’incontrò poi con Pottscamp, che veniva chiamato il quarto esponente dei Tre Grandi. Thomas trovò molto piacevole la conversazione con Pottscamp, uno degli individui più interessanti che avesse mai incontrato. Fu una gradita sorpresa, poiché Pottscamp aveva una mente agile e guizzante come il mercurio. A volte sembrava a Thomas che in quella mente vi fosse il vuoto, e tuttavia sembrava inesauribile, come se Pottscamp corresse a una sorgente e vi attingesse a fondo ogni volta che provava il bisogno di fare rifornimento.
Aveva occhi azzurri, grandi e innocenti, e un aspetto eternamente giovane. E tuttavia si stava curando degli affari dì Astrobia da anni e anni ed era sicuramente più vecchio di Thomas. Ma era anche un bambino, un bambino precoce, un bambino sorprendente, capace di torturare un gatto e d’innumerevoli altri altri abominii, ma sempre nella più completa innocenza.
— Tanto perché tu sappia chi comanda veramente Astrobia, Thomas…
— Lo so già, Pottscamp, lo so già.
Un altro sogno del Passaggio, un’altra minuscola dose. C’era un ragazzo che aveva costruito un giocattoli. Era un ragazzo molto sveglio, e il giocattolo era molto ingegnoso. Thomas non avrebbe saputo dire quale dei due fosse Pottscamp, poiché si assomigliavano come due gocce d’acqua. — Vai a rubare le mele — ordinò il ragazzo, e il giocattolo obbedì. — Avvicinati al mio migliore amico, laggiù in strada, e scaraventalo per terra — ordinò il ragazzo, e il giocattolo obbedì. Scaraventò per terra il suo migliore amico, e in cambio fu picchiato a sangue. Il ragazzo fu deliziato quando vide ciò che era successo al suo migliore amico e al giocattolo. — Fammi tutti i compiti per domani — ordinò, e il giocattolo esegui tutte le analisi e le traduzioni dal camiroi, dal puca e dal neospagnolo. — Bevi — disse il ragazzo, e il giocattolo andò a bere al ruscello che scorreva vicino alla casa. — Mangia — disse il ragazzo, e il giocattolo lo mangiò, carne, ossa, cervello, fino all’ultimo pezzetto. Qual era Pottscamp? Era il giocattolo divoratore, o era l’ingenuo che si faceva divorare?
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