Jack Vance - I racconti inediti

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L’antologia di Jack Vance presenta al lettore i seguenti racconti di fantascienza: «ICABEM», «La selezione», «Il sifone plagiano», «Il fato del Phalid», «Il Tempio di Han», «Il figlio dell’albero» ed «I signori di Maxus».

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Allixter commutò la macchina dal Ciclo A in Conversazione. Parlò nel microfono, attento ad usare solo le parole del vocabolario fondamentale. «Desiderare ritorno attraverso macchina. Condurre macchina per uscire.»

Il Linguaid assorbì le parole, trovò la loro controparte negli squittii, nei sibili, nei suoni sgraziati registrati e diede loro voce attraverso l’altoparlante.

Joe ascoltò concentrato, poi guardò Allixter senza espressione. Le sue spalle fremettero. L’aria passò stridendo e crepitando dalla pelle sotto le ascelle.

Il Linguaid consultò gli archivi, diede voce alle parole: «Chiamare macchina… Desiderare… Uomo macchina… Macchina rotta… Uomo venire attraverso macchina… Male…»

Ovviamente Joe aveva detto più parole, ma il Linguaid traduceva soltanto i suoni che poteva confrontare sugli schemi registrati.

Allixter disse: «Usare parole date macchina.»

Joe lo fissò con i grandi occhi opachi. L’alto pennacchio di piume rosse e verdi si accasciò con aria scoraggiata. Fece un ulteriore sforzo. «Uomo chiamare lontano costruttore macchina. Uomo venire. Desiderare amico costruire macchina.»

Allixter guardò frustrato l’orizzonte scialbo, guardò il risplendente cielo viola dove non c’era mai né notte né giorno. Pensò di far scorrere il Ciclo B sul Linguaid, un processo che avrebbe messo a dura prova sia la sua pazienza che quella di Joe, ma che avrebbe potuto consentirgli di localizzare l’impianto per ritornare sulla Terra.

Tentò ancora una volta. «Desiderare ritorno attraverso macchina. Condurre a macchina per uscire.» Indicò la dorata cortina marrone. «Vedere macchina entrare. Desiderare macchina uscire.»

Qualcosa non andava. Il nervosismo che già prima Allixter aveva notato si accentuò. I nativi si acquattarono sulla piattaforma bianca in palle lisce, con la cresta avvolta tutt’attorno come un ombrello chiuso a metà. Allixter cercò Joe. Joe era ai suoi piedi, rannicchiato e compatto come i suoi compagni.

In preda a un’improvvisa angoscia, con uno scatto Allixter fece sparire l’iride dallo schermo, e chiuse il coperchio sui controlli. Un edificio poco lontano attirò il suo sguardo. Il macchinario all’interno si muoveva, frantumando, pestando, schiantando. L’elettricità, o comunque un flusso di energia, formò un arco tra i vecchi contatti.

Assi corrosi tremarono e si contorsero, si tesero fino al limite di rottura. Le ruote gemettero e fischiarono sui supporti asciutti. Senza preavviso l’edificio esplose. Pezzi di cemento e di metallo volarono via in un folle groviglio, e caddero fragorosamente in tutte le direzioni. Rottami più piccoli si sparsero per la piattaforma, e i nativi emisero dei suoni sgraziati per il terrore.

Alcuni frammenti colpirono Allixter, rimbalzarono sulla pellicola elastica. Gli venne in mente che non sapeva ancora nulla dell’atmosfera, che se la pellicola fosse stata perforata avrebbe potuto essere avvelenato.

Dalla borsa tirò fuori uno spettrometro, e lasciò entrare dell’aria nella camera a vuoto. Premette il pulsante di radiazione e lesse le linee scure sullo sfondo riflettersi su una scala standard. Fluoro, cloro, bromo, fluoruro di idrogeno, biossido di carbonio, vapore acqueo, argo, xeno, cripto, certo un ambiente poco salubre per i suoi simili, pensò. Osservò con attenzione le strutture. Se avesse potuto ottenere qualche analisi di quei metalli, avrebbe rivoluzionato l’industria anticorrosiva, e avrebbe guadagnato un milione di franchi in una notte.

Guardò ancora l’edificio esploso, ormai in completa rovina. D’un tratto divenne bianco incandescente, e il calore non sembrava disperdersi ma aumentare. I rottami contorti si fusero in una pozza di scorie ribollenti. Il terreno nelle immediate vicinanze fumò, riarse, crollò nella pozza di lava che si andava ingrandendo.

Allixter pensò: Quella è energia pura, e se è fortemente radioattiva, per me è tempo di schizzare via.

Spinse il Linguaid di fronte a sé fino al bordo della piattaforma, pronto a saltare giù sulla superficie grigia e nera due piedi più in basso. Dietro di lui i nativi erano ancora rannicchiati, palle di soffice pelle di foca, ordinatamente ricoperte dal pennacchio.

Joe si mosse, alzò gli occhi, vide Allixter. Avanzò saltellando sulle corte gambe flessibili, emettendo suoni incalzanti. Allixter girò l’interruttore sul Linguaid.

«Pericolo, pericolo, male, profondo, morte,» disse il Linguaid con intonazioni calme ed efficienti.

Allixter balzò indietro dal bordo. Joe gli si fermò a fianco, gettò un frammento di roccia a terra. Il frammento sollevò uno sbuffo di polvere soffice, e subito sparì alla vista. Allixter sbatté le palpebre.

Se non fosse stato per la grazia di Dio anche Scotty Allixter sarebbe finito lì dentro, pensò. Là fuori era un oceano di ceneri, un morbido batuffolo. Con occhi diversi guardò la pianura grigia e livellata, dalla quale gli edifici esplosi sorgevano come isole. Scrollò le spalle. Superava la sua comprensione. Sapeva di molti uomini che avevano perso la ragione tentando di comprendere i paradossi e le peculiarità delle stazioni esterne.

Un’improvvisa intuizione lo colpì. Scorse con lo sguardo la circonferenza della piattaforma bianca come un osso. Era come una zattera sul mare grigio, con al centro il cilindro che vorticava lentamente. Ma allora come ci erano arrivati i nativi? Poteva essere che anch’essi fossero arrivati attraverso il cilindro da un altro mondo?

Le dita morbide di Joe si mossero stentatamente sul suo braccio. Squittì muovendo le spalle in un movimento sciolto ed esperto a pompa, e il Linguaid tradusse: «Via. Venire. Condurre grande macchina.»

Allixter disse, speranzoso: «Desiderare macchina uscire. Desiderare ritornare. Condurre macchina uscire.»

Joe spremette altri suoni. «Venire… seguire. Amico venire cadavere grande macchina. Grande macchina distruggere amico. Grande macchina desiderare amico. Venire… seguire. Costruire grande macchina.»

Allixter pensò che qualunque cosa fosse, non poteva essere peggio che starsene fermo su quella piattaforma.

Joe armeggiò con una grata, la scostò, e discese per una ripida fuga di scalini. Spingendo il Linguaid davanti a sé, Allixter lo seguì.

Il corridoio si fece buio. Allixter accese la lampada frontale. Più avanti vide due dorate cortine marroni, l’entrata distinta dall’uscita grazie a una lieve differenza nel dorato tremolio interno.

Joe attraversò la cortina di uscita, scomparve. Mentre Allixter esitava, fece capolino dalla cortina di entrata, lo chiamò con un cenno che denotava una certa querula insistenza, e di nuovo scomparve attraverso la cortina di uscita.

Allixter sospirò. Spingendo avanti il Linguaid, passò.

Allixter si trovò in un ampio corridoio piastrellato di bianchi quadri vetrosi. Davanti a lui Joe scivolò attraverso un’alta arcata vagamente romanica. Lo seguì e uscì in un padiglione a cielo aperto. Il pavimento era costituito dalle stesse piastrelle vetrose, quadrati di sei piedi di lato. Era privo di mobilio e suppellettili. Lungo il bordo del pavimento, colonne sottili come cannucce di pipa sostenevano un frontone sproporzionatamente pesante, e Allixter si fermò trepidante, aspettandosi quasi che tutta la costruzione si incurvasse e cadesse in frantumi ai suoi piedi.

Si diresse cautamente verso il centro del padiglione, notando sotto il pavimento un tremore come per un enorme macchinario. Con rinnovata apprensione valutò la stabilità delle colonne, e non fu rassicurato nel vederle vibrare e ondeggiare. Joe sembrava ignaro del pericolo. Guardingo Allixter si avvicinò al bordo del padiglione, aspettandosi a ogni istante che il frontone collocato tanto precariamente sui suoi sostegni gli atterrasse sulla testa.

La veduta era diversa da quella che spaziava sullo scialbo mare di cenere. Da lì il panorama, sebbene strano e ultraterreno, possedeva un certo fascino ossessionante. Una lunga vallata tenebrosa giaceva annidata tra due basse colline. A due o tre miglia di distanza, in fondo alla valle, c’era un lago calmo come vetro, e lo specchio della superficie rifletteva lo sciame di soli multicolori.

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