Jack Vance - I racconti inediti
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- Название:I racconti inediti
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- Год:1995
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Joe lo sollecitò ansiosamente. In lontananza udì un grande tonfo, lo scoppio di un’esplosione enorme. Joe rabbrividì, squittì in preda all’agitazione, aprì a ventaglio le penne del copricapo in tutte le direzioni.
«Un uomo non muore che una volta,» rifletté Allixter, «e se è il mio turno, almeno il Capo e Schmitz non avranno la soddisfazione di saperlo.»
Spalancò la porta con una spinta, e stava per entrare nella stanza quando Joe indicò sopra la sua testa e squittì: «Pericolo.»
Allixter guardò in alto. Vide un grande martello, che oscillando dall’articolazione composta da una superficie sferica posta in una cavità in mezzo al soffitto, era rimasto inclinato contro la parete; apparentemente era lo strumento che aveva fracassato il cranio al cadavere sul pavimento.
«Pericolo,» disse Joe. «Parlare molto.»
Allixter entrò nella stanza, spingendo il Linguaid davanti a sé. «Vorrei essere a casa,» disse ad alta voce. «Vorrei sapere dove mi ha portato il teletrasporto. Così vicino eppure così lontano, ed eccomi qui a dipendere dalla mia voce per mantenermi in vita, come un canarino.»
Il Linguaid, selezionando le parole traducibili, squittiva e rantolava così che la stanza risuonava di un miscuglio di suoni.
Allixter pensò: «Perché dovrei parlare, quando c’è un parlatore meccanico perfettamente efficiente qui a portata di mano?» Spinse il Linguaid in mezzo alla stanza, spostò l’indice in modo che ripetesse il Ciclo A, assieme alle interpolazioni registrate di Joe. Adesso, pensò, ci sarebbero stati suoni sufficienti da distrarre chiunque.
Occhieggiando diffidente il martello sospeso, Allixter studiò la stanza. Era fuori di dubbio che c’erano in corso delle riparazioni al macchinario quando la morte aveva fermato la mano del meccanico. I pannelli erano stati rimossi dalla parete, e la facciata dell’unità mobile era stata smontata. Camme varie, ingranaggi, assi, assemblaggi di indescrivibile natura montati in piccole scatole, erano ordinatamente disposti su un vassoio accanto a una rastrelliera di attrezzi. A quanto pareva il meccanico aveva appena cominciato quando — Allixter rivolse uno sguardo ansioso al martello immobile.
No, pensò Allixter, troppo precario, troppo rischioso.
Si arrampicò sull’unità mobile. Appollaiato sulla sommità prese dalla cintura la torcia termica che gli serviva sia come arma che come attrezzo. Allungandosi sull’apertura diresse la torcia sull’asse. L’asse prese fuoco, il metallo si fuse in uno spruzzo di scintille, il martello cadde con gran fracasso, mancando il Linguaid per pochi pollici. Allixter si batté una mano sulla fronte, incastrò di nuovo la torcia nella cintura.
Una voce emise dei suoni nella lingua nativa, strillando, sibilando, gemendo, protestando. Allixter ridiscese in fretta sul pavimento, si guardò attorno cercando l’origine della voce. Il sudore gli scendeva giù per la schiena, formando rivoletti lungo la spina dorsale.
Era solo nella stanza.
La voce continuò, e dopo un momento ne localizzò la provenienza: un diaframma di metallo dalla parte opposta della stanza. Direttamente sopra di esso una lente sfaccettata di circa sei pollici di diametro era montata in modo da sporgere leggermente all’interno della stanza.
Spinse il Linguaid lì vicino, disse: «Amico, amico. Venire fuori, vedere.» Doveva essere un compagno del cadavere, pensò Allixter, forse qualcuno che osservava a distanza attraverso la lente sfaccettata.
Chiunque fosse, disse in inglese: «Costruire molte parole incrociate. Costruire parole attraverso macchina.»
Evidentemente l’osservatore era un essere intelligente, pensò Allixter. Benissimo, Ciclo B. Diede inizio alla sequenza ma la voce non fece alcun tentativo di fornire parole per l’automa. Disse invece: «Uomo parlare. Uomo parlare.»
«Ha…hmm,» disse Allixter rivolto a se stesso. «Il ragazzo è piuttosto ragionevole, vuole imparare l’inglese. Sembra che tocchi a me parlare, invece che a lui. Suppongo che questo sia compreso nel mio salario, anche se in verità ho firmato il contratto come meccanico, e non come un dannato linguista. Oh, insomma…»
Si mise all’opera, e fornì parole inglesi per le sequenze rappresentate e per le relazioni.
Il Ciclo B, con i pronomi, venne completato. Iniziò il Ciclo C. La voce disse: «Più parole, più veloce. Tutto viene capito e ricordato.»
«Hmm,» mormorò Allixter, «ho tra le mani un vero e proprio genio. Il ragazzo ha una mente che è come una spugna. Benissimo, gli darò tutto quello che è in grado di assorbire.» E descrisse le situazioni sullo schermo nei minimi dettagli, integrando i primitivi concetti con materiale aggiuntivo, nominale e verbale.
In due ore aveva completato i Cicli C, D, E, e F, normalmente il lavoro di un mese.
Spegnendo l’interruttore, disse: «E ora, amico mio, dovunque tu sia, dovresti essere capace di parlarmi, e forse potrai rispondere ad alcune domande.»
La sua stessa voce gli rispose dall’altoparlante. Allixter fece tanto d’occhi per la sorpresa. «Chiedi, gli archivi forniranno informazioni. Questa è la loro funzione.»
«Innanzitutto…» Allixter fece una pausa. Cosa c’era innanzitutto? Mentre ci pensava udì un cigolio, un sibilo. Sopra la sua testa il manico mozzo oscillò verso di lui. Se il martello fosse stato ancora sospeso, Allixter sarebbe stato simile al cadavere sul pavimento.
Allixter si acquattò allarmato. «Chi sta cercando di uccidermi? Perché? Tutto ciò che voglio è tornare sulla Terra.»
L’altoparlante disse con calma disarmante: «Le strumentazioni protettive cercano di ucciderti perché il circuito inibitore è disorganizzato.»
«E come dovrei riuscire a sopravvivere?» chiese Allixter con uno sguardo preoccupato al cadavere.
«Un impulso costante emesso dall’unità di attenzione toglie energia al monitor B-sub C e mantiene aperto il relè. Per tutto il tempo in cui fornisci materiale che tiene occupata l’attenzione, i congegni di protezione automatici non funzionano.»
«Ce la metterò tutta,» disse Allixter. «La conversazione è sicura?»
«Finché tiene occupata l’attenzione. Tre secondi sono il tempo critico. Tale è il tempo necessario per fare fluire la carica oltre i condensatori del relè.»
«Tu chi sei? Chi sta parlando?»
«La voce è l’unità automatica della Macchina del Pianeta.»
«E questa cos’è?» chiese Allixter perplesso.
Il messaggio venne ripetuto. Allixter ristette stupefatto e sgomento. «Allora se ho capito bene sei una specie di… robot?»
«Sì.»
Tre secondi passarono rapidamente. In fretta Allixter chiese: «Qual è la tua funzione? Cosa fai?»
«Quando la macchina in riparazione coordina gli impianti dislocati in tutto il mondo che accumulano energia dai soli, la funzione è di applicare tale energia agli usi designati.»
«Che sono?»
«Estrazione meccanica di metalli preziosi, scorificazione, affinazione, leghe e parti metalliche finite di macchinari, gestione di cisterne fotosintetiche producenti composti di fluorosilicio e fluoro-carbonio, combinazione e fabbricazione di articoli in Classificazione Zo, programmazione Ba-Diciannove tramite Pec-Venticinque. Quando i prodotti sono completi, vengono consegnati al pianeta padrone Plagigonstok attraverso il traduttore.»
Allixter colse nella spiegazione un accenno di schiarimento. «Allora credo di capire che questo pianeta è la colonia di un altro mondo? Plagi… Plagi… qualcosa. E i nativi, dove si inseriscono?»
«I nativi forniscono manodopera non specializzata e versatile dove necessario. Vengono pagati con prodotti di prima necessità.»
Allixter scoccò un’occhiata al cadavere. «Dove sono tutti i… come li chiami?»
«La domanda è inesatta.»
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