Fred Hoyle - L’insidia di Andromeda
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Cercò con impazienza di lisciarne le spiegazzature. «Questa è la maggior parte delle cifre per le eliche di DNA,» cominciò. «Il calcolatore ha messo insieme un’analisi che credo lei sarà d’accordo con me nel riconoscere fattibile. Per quello che posso giudicare io, si tratta, potenzialmente, di un batterio. Ma la struttura molecolare è una cosa. Ottenere i componenti e riuscire a sintetizzarli è un’altra; questo, però, potrebbe forse creare l’antibatterio di cui abbiamo bisogno.»
Neilson studiò i numeri. «E questo è il lavoro della macchina costruita da Jan?»
Madeleine annuì.
«Non posso fare a meno di domandarmi…» Un tremito smorzò la sua voce.
Fleming sedeva accanto alla culla, rigirando con aria assente un giocattolo sospeso dall’alto per il divertimento del bambino. «Che cosa sarebbe successo se suo figlio fosse rimasto,» terminò.
Neilson si volse verso di lui. «Gli hanno sparato a sangue freddo,» disse, «davanti ai nostri occhi. Se trovassi quell’uomo…»
«Non posso dirle chi ha premuto il grilletto,» disse Fleming, «ma so chi gli ha detto di farlo. Un uomo che si chiama Kaufmann, e che ’bada a noi’ qui dentro.»
«Mi piacerebbe conoscerlo,» disse Neilson.
«Forse sarà possibile.»
La Dawnay cominciò a raccogliere le carte. «Almeno la morte di suo figlio è stata rapida,» disse con compassione, «il che è meglio di quello che accadrà a noi. Se questo non funziona.» Ricacciò le carte sotto la cintura della gonna. «Dovrebbe venirne fuori molto di più, se soltanto la ragazza riuscisse ad occuparsene.»
«Come sta?» chiese Neilson.
La Dawnay abbassò gli occhi sul bambino; era sveglio e sorrideva alla vista di tante facce intorno a lui. «Ha un tipo di vita artificiale,» mormorò, «non come…» si volse di scattò, allontanandosi dalla culla. «C’è qualche elemento costitutivo che manca, nel suo sangue. Qualcosa che io non sapevo, e di cui il calcolatore non ha tenuto conto.»
«Non può ottenere un aiuto per sé, dalla macchina?» chiese Neilson.
«Non c’è tempo,» rispose Fleming, «avrebbe potuto farlo, suppongo, ma c’era questo lavoro per l’antibatterio. Ha scelto di prodigarsi per questo…»
Neilson fissò Fleming pensosamente. «È una decisione difficile,» disse.
Fleming fece una pausa per accendere una sigaretta. Aspirò profondamente. «Sì,» disse alla fine, «una decisione difficile, come dice lei.»
Si alzò, allontanandosi dagli altri. Si avvicinò alla finestra, e guardò fuori, nella notte. In fretta, per allentare la tensione, la Dawnay cominciò a domandare a Neilson se volesse delle copie dei dati del calcolatore. Neilson scosse il capo. L’unica cosa utile, spiegò, sarebbe stata una provetta dell’antibatterio. «Se la ragazza riuscirà a completare l’analisi,» disse, ma Fleming lo interruppe.
«Silenzio!» esclamò; lo guardarono. «Sta venendo Lemka.»
Lemka, che era rimasta di vedetta sulla strada, stava infatti arrivando di corsa, attraverso il cortile della casa. Sentirono il rumore dei suoi sandali sul rozzo impiantito.
«Siamo sorvegliati ininterrottamente,» disse la Dawnay, «ma stanotte pensavamo di essere sfuggiti.»
Lemka si precipitò nella stanza, con gli occhi spalancati per l’eccitazione. «Stanno venendo,» esclamò, «soldati. Un camion intero!»
Tutti rimasero immobili per qualche secondo. Poi la Dawnay afferrò le carte che aveva infilato nella cintura e le mise in mano a Lemka. «Nasconda queste,» disse, «suo marito potrà riprenderle più tardi e restituircele.»
Lemka le prese, volgendosi poi verso Neilson: «La stanza di mia madre,» disse con voce ferma, «non entreranno là.»
«Spero che lei abbia ragione,» disse lui, e la seguì sorridendo.
Fu bussato alla porta, non molto violentemente né con troppo rumore. Lemka uscì dalla stanza della madre ed aprì la porta. Un caporale la salutò e le parlò in arabo; dietro di lui c’erano due soldati, con i fucili ancora appesi alla spalla.
«Dice di essere venuto a prendere lei ed il professor Fleming,» tradusse Lemka, indirizzandosi alla Dawnay.
«Dica loro che veniamo subito,» rispose la Dawnay, con quello che sperò essere un sorriso gioviale, ma anche naturale. «Andrà tutto bene; così, non si preoccupi. Ma dovrà trovare un posto più sicuro per il professor Neilson. Ci terremo in contatto in qualche modo.»
Lemka stese la mano, afferrando affettuosamente quella di Madeleine. «Mio cugino troverà qualche cosa. Ora sarà meglio che non parliamo più, altrimenti i soldati si insospettiranno.»
Uno dei soldati insistette per andare nella piccola macchina di Zeki, ed il caporale fece segno a Fleming di rimanere dietro il camion. Il tempo era un poco migliorato, il vento soffiava forte ma regolare.
Al campo, l’edificio del calcolatore brillava di luci. Due soldati si staccarono dagli altri ed accompagnarono Fleming e la Dawnay nell’interno. Kaufmann era seduto alla scrivania di uno degli uffici, con il volto ridotto ad una maschera di rabbia compressa. Abu gli stava al fianco con aria impacciata.
«Allora, che cos’è questa storia?» ringhiò il tedesco appena furono entrati. «Perché eravate fuori senza il permesso?»
«Il permesso di chi?» domandò la Dawnay, «e perché un permesso per visitare degli amici — la famiglia di un collega?»
Kaufmann cercò di sostenere il suo sguardo ma non ci riuscì. «Sapete che non è ritenuto opportuno farvi uscire senza una scorta,» scoppiò.
Fleming fece un passo avanti, a pugni chiusi. «Adesso mi stia a sentire, gauleiter teutonico…» cominciò, ma Abu Zeki gli si mise di fronte. «Hanno mandato a prendervi perché era urgente. La ragazza ha avuto un collasso mentre stava lavorando agli schermi.»
«André?» Fleming era già sulla porta. «Vado da lei,» gridò verso gli altri.
«È grave?» domandò la Dawnay ad Abu.
«È molto debole,» rispose lui, «ma l’uscita ha emesso un’altra serie di dati, prima che si sentisse male.» Prese dal tavolo un mucchio di fogli e li diede alla Dawnay.
Kaufmann si schiarì la gola. «Sarete sorvegliati di più, in futuro,» li avvertì, ma sembrava incerto e preoccupato. «Quanto è importante per noi quella ragazza?»
«Praticamente quanto la vostra sopravvivenza. Non vivrete a lungo se lei non riuscirà a terminare questo.» Madeleine sopportava a fatica di parlare con il tedesco, ma, quando vide la paura nei suoi occhi, si rese conto per la prima volta che non era invulnerabile e che su di lui si sarebbe potuta fare qualche pressione. «Così, per l’amor del cielo — e per lei stesso, cerchi di non interferire con noi più di quanto deve.»
Il tedesco la guardò pieno di dubbio; quindi se ne andò senza parlare.
L’angolo dell’infermeria dove stava André era buio. L’infermiera, seduta accanto al letto vicino ad una luce schermata, si alzò in piedi quando Fleming entrò senza rumore. Cominciò a protestare per l’intrusione.
«È tutto a posto,» disse lui, «non la sveglierò, voglio soltanto vederla.»
La ragazza sospirò annoiata, e lo accompagnò verso il letto. Appena i suoi occhi si abituarono all’oscurità, Fleming riuscì a scorgere la forma del corpo emaciato di André sotto il leggero copriletto. I capelli e la testa erano una macchia imprecisa sul bianco del guanciale. Si chinò e vide che gli occhi di lei erano aperti e lo stavano guardando.
«Avrei dovuto essere qui con te,» sussurrò, carezzandole delicatamente i capelli. Le sue dita le toccarono la fronte; era fredda ed umida.
Debolissima, la sua voce lo raggiunse, lenta ed esitante. «Ho fatto quello che volevate. Adesso la professoressa Dawnay ha tutto quello che le serve.»
Il cervello di lui seguiva appena le parole della ragazza. «Avrei dovuto essere qui con te,» disse di nuovo.
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