Fred Hoyle - L’insidia di Andromeda

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L’insidia di Andromeda: краткое содержание, описание и аннотация

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Si perché il romanzo «L’insidia di Andromeda» non solo è il seguito del primo «A come Andromeda» ma si inserisce cronologicamente dove quest’ultimo termina, con gli stessi personaggi e l’evoluzione della vicenda…

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Quando fu fuori, la furia del vento lo investì, facendolo vacillare. Cominciò ad avanzare faticosamente e non ricavava sollievo dall’aria che inspirava. Con la testa bassa ed il corpo piegato contro la forza soffocante del vento, avanzò in mezzo a turbini di sabbia fuori della porta del laboratorio. Il suo zelo ed il suo ottimismo se ne erano andati. Il tempo era qualcosa che non si poteva comprare.

A circa cinquemila chilometri di distanza, l’alba sorgeva su una Londra colpita dal disastro. Pochi poliziotti con l’elmetto si tenevano nel mezzo delle strade più larghe, ben lontani dai fabbricati. Di tanto in tanto, lo scampanellio di un’ambulanza passava attraverso l’ululato del vento. Qualche luce illuminava debolmente il primo piano del Ministero della Scienza, uscendo dalle poche finestre che non erano state strappate dall’uragano e chiuse con tavole.

La luce grigia dell’alba accentuava l’aria sfinita dei quattro uomini seduti intorno ad un tavolo in disordine. Per parecchie ore non erano riusciti a farsi venire un’idea costruttiva. La discussione si era quindi trasformata in litigio, in un futile atteggiamento ipercritico delle menti troppo stanche.

Neilson, uomo di solito tranquillo e buon collaboratore, era stato il primo a cedere all’esasperazione, quando Osborne ed il segretario del Primo ministro si erano ingolfati in una interminabile discussione sulle responsabilità dei vari dipartimenti e della finanza a proposito dell’allargamento delle attività, stabilito la sera prima.

«Avete un talento straordinario, qui,» disse, «per impantanarvi in problemi burocratici mentre sta succedendo il finimondo.»

«Siamo stanchi, professor Neilson,» ribatté seccamente il ministro, «e stiamo solo facendo quello che ci sembra necessario.»

«Mi dispiace,» disse Neilson.

Il segretario del Primo ministro cercò una sigaretta, trovò il pacchetto vuoto e, dopo averlo appallottolato, lo gettò in un angolo. «Non c’è più energia elettrica in metà del paese, e l’altra metà è sott’acqua, o coperta di neve, o buttata giù dall’uragano. La gente sta morendo più rapidamente di quanto l’esercito impieghi a seppellirla. Se lei potesse almeno darci una specie di previsione della durata di tutto ciò…»

Neilson era sul punto di rispondere, quando un segretario entrò e si diresse in punta di piedi verso Osborne.

«Un messaggio urgente per lei, signore,» disse, «portato da un corriere dall’aeroporto di Londra.»

Osborne prese la busta gialla e la strappò. Con deliberata lentezza, spiegò la carta leggera e lesse.

Quando ebbe finito, alzò gli occhi. «Viene dall’Azaran,» disse, «da parte di Madeleine Dawnay.» La porse al ministro.

«Voi due fareste meglio a vedere questa roba insieme,» disse il ministro al segretario del Primo ministro ed a Neilson. «Si risparmierà del tempo. S’intende che il Gabinetto deve essere immediatamente informato.» Attese impazientemente mentre i due uomini leggevano il messaggio. «Qualche proposta, Neilson?» chiese poi.

Neilson annuì. «Può farmi andare in Azaran… oggi stesso?» chiese.

10

Vortice

Il quadrimotore scese sul campo, fece una curva, e quindi si fermò. Trolley elettrici avanzarono per scaricare il cargo. I membri dell’equipaggio, stanchi per il volo da Londra, durante il quale non avevano mai fatto scalo, né raggiunto i duemila metri d’altezza, continuamente sbattuti dal vento senza sosta, scesero la scaletta e si avviarono verso gli uffici. Un arabo in uniforme ed un europeo con l’elmetto li salutarono con indifferenza, mentre il capitano porgeva le carte di bordo, L’europeo le scorse e le passò all’arabo, quindi stese la grossa mano per prendere i documenti personali dell’equipaggio. Lasciò subito passare il capitano, ma, dopo aver guardato i due uomini che stavano davanti a lui, riabbassò il capo sulle carte.

«Chi è questo?» chiese in tedesco. I due membri dell’equipaggio lo fissarono con l’aria di non capire. Quello ripeté la domanda in cattivo arabo.

Yusel, il cugino di Lemka e il più giovane dei due, sorrise accattivante. «Il mio secondo ufficiale di rotta. Lui non capire arabo o altra lingua usata prima.»

L’uomo della Intel si accigliò. «Non mi è stato notificato nessun cambiamento nell’ordine dell’equipaggio. Perché ha portato con sé un secondo ufficiale di rotta?»

Yusel spiegò. «Per abituarsi con rotta. Dobbiamo volare tanto basso. Su non c’è pressione di aria.»

Non del tutto soddisfatto, l’uomo della Intel rilesse i documenti. Non trovandovi appigli, li gettò attraverso il tavolo. Yusel li raccolse, e guidò il suo compagno attraverso le stanze dell’equipaggio, dove entrambi si tolsero le uniformi. Il suo compagno era Neilson.

«Il peggio è passato,» gli disse Yusel, «ora la porterò alla casa di mia cugina. Là sarà al sicuro. Suo marito, il dottor Abu Zeki, si metterà in contatto con lei appena potrà.»

Neilson annuì. «Più presto è, meglio è.»

Yusel lo portò alla casa di Abu, quindi ritornò a Baleb. Era già tardo pomeriggio, quando entrò nel ristorante, ma dovette aspettare un’ora perché suo cugino arrivasse. Quando giunse, Abu Zeki aveva l’aria furtiva di un uomo che sa di essere sorvegliato. Sottovoce, davanti a due bottiglie di coca-cola fatta nel paese, Yusel lo informò dell’arrivo di Neilson.

«Vuole vedere il professor Fleming e la professoressa Dawnay,» terminò.

Abu Zeki si guardò intorno ansiosamente, scrutando il piccolo caffè vuoto. «Non so se potranno venir via tutti e due,» disse, «ma gliene parlerò.»

Appena ebbe saputo che Neilson padre era in salvo e nell’Azaran, Fleming decise di rinunciare ad essere prudente e di andare a vederlo. Disse alla Dawnay di tenersi pronta a partire appena fosse scuro, se voleva correre il rischio di venire anche lei.

Il tempo fu d’aiuto. Una violenta tempesta scoppiò proprio al tramonto con lunghi lampi e brevi raffiche di pioggia, che colpivano le case e la sabbia turbinante. Le sentinelle si rifugiarono tremanti e spaventate in tutti i ripari che poterono trovare. Fleming e la Dawnay si avventurarono sotto un diluvio di pioggia, senza che nessuno li fermasse.

Il viaggio fu spaventoso. La piccola automobile slittava sullo spesso strato di fango, fatto di sabbia del deserto. Ma la pioggia era caduta solo in una zona e, dopo quaranta minuti, correvano su terreno asciutto, mentre la tempesta li accompagnava con l’eco dei tuoni ed il riverbero continuo dei lampi.

Fleming provò un senso di sollievo irragionevole, quando Lemka aprì la porta, vedendo Neilson in piedi dietro di lei. Il saluto silenzioso dell’americano, il modo nel quale gli afferrò la mano, erano assurdamente tranquillizzanti.

Per la Dawnay, Neilson era qualcuno che significava un raggio di quella speranza della quale rifiutava di ammettere l’esistenza, e tuttavia non era sicura di capire perché fosse venuto. Sedettero entrambi in silenzio, trattenendo la propria eccitazione, mentre il grande uomo tranquillo mangiava nel suo modo metodico un grappolo d’uva, raccontando quello che era successo a Londra. Per la prima volta, sentirono che Osborne era sopravvissuto alle rivoltellate nella loro prigione di campagna, e che Neilson stesso era stato chiamato perché «cercasse di sondare questa storia del clima,» come disse lui — e come anche gli altri avessero sommato due più due, trovando che la fonte di tutto era stata Thorness. A quel punto si erano fermati senza poter andare avanti, fino a che non ebbero ricevuto il messaggio della Dawnay.

«C’è davvero qualche speranza?» chiese Neilson.

«Tanta quanto un granello di sabbia nel deserto.»

Madeleine spostò il piccolo vassoio sul quale Lemka aveva messo la cena di Neilson, e sparse sul tavolo il fascio di carte che si era portata dietro, nascondendolo sotto la cintura del vestito.

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