Fred Hoyle - L’insidia di Andromeda

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L’insidia di Andromeda: краткое содержание, описание и аннотация

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Si perché il romanzo «L’insidia di Andromeda» non solo è il seguito del primo «A come Andromeda» ma si inserisce cronologicamente dove quest’ultimo termina, con gli stessi personaggi e l’evoluzione della vicenda…

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Madeleine lo salutò distratta. «Niente da fare con André,» disse, continuando a lavorare sulle note prese dagli strumenti di registrazione. «Ha cercato di aiutare, credo, ma non ha abbastanza forza per fare il necessario. Però, sono riuscita ad avere alcuni dei dati che volevo per merito di Abu.»

«Trovato niente?» domandò Fleming.

«Non molto; ma so quello che fa.» Tolse una provetta attaccata verticalmente, con la bocca al di sotto di uno dei tubi che uscivano dal recipiente. «Assorbe l’azoto. Se ne trova meno del tre per cento in questo campione di aria proprio sopra la superficie dell’acqua. Toglie anche un poco di ossigeno, non molto… ma vedi tu stesso.»

Andò verso un mobile schedario, e ne trasse un pacco di carte disordinate. «Da’ soltanto un’occhiata a queste formule, vuoi, John? E dimmi se hai visto qualcosa di simile prima d’ora.»

Egli studiò in silenzio i dati. «Ho già detto che mi sembravano familiari; ed è ancora così.» Rese le carte.

«È un’altra sintesi,» mormorò Madeleine.

Fleming parve molto allarmato. «Non un altro inizio?» esclamò.

«No,» lo rassicurò lei, «abbiamo percorso all’indietro una lunga strada, per arrivare a questo. Ieri sera stavo lavorando su roba conosciuta. Era venuta fuori dal calcolatore di Thorness — oh, almeno un anno fa, quando ho cominciato la sintesi del DNA.»

«Fa parte di quello?» chiese Fleming a voce bassa, «del programma che ha costruito la ragazza?»

«No, è apparso del tutto separatamente.» La Dawnay pareva molto sicura. «Mi è servito come base per un esperimento; era necessario farlo, davvero; allora eravamo ad uno stadio in cui si stava ancora brancolando nel buio.» Andò verso il grande recipiente e guardò con aria disperata il liquido fermo ed opaco sul fondo.

«In pratica avevo creato alcuni di questi batteri.»

«E che cosa ne è stato?»

Madeleine rispose con sforzo evidente. «Sembravano innocui e privi di utilità. Un altro fallimento. Li tenni per un’intera settimana nelle provette. Non morirono, ma non si svilupparono. Soltanto, si moltiplicarono. Così vuotammo le provette e le sterilizzammo.»

Fleming sussultò. «Non ti rendi conto?…»

«Certo che mi rendo conto,» disse lei con voce tagliente, «i batteri furono buttati nel lavandino, scesero per i tubi, arrivarono nelle fognature, e di là al mare.»

«Il che è esattamente quanto quella maledetta macchina voleva che accadesse! Ma non potevano essere più di un’oncia o due, non possono essersi diffusi in questo modo…»

«Non è impossibile,» disse lei, «ho cercato di ricordare più o meno il periodo in cui abbandonai quell’esperimento. Naturalmente è un dato del tutto accademico; ma sono certa che si tratta almeno di un anno fa. Con questo recipiente che abbiamo messo qui, ho potuto calcolare la velocità di riproduzione. È fantastica. Nessun virus o batterio fino ad ora conosciuto si riproduce con un ritmo paragonabile a questo. Ed ora la base di partenza è molto più vasta. Puoi immaginare il tipo di progressione, adesso che ha invaso tutti i mari principali.»

«E quanto ci vorrà,» chiese Fleming, «per…»

Madeleine lo guardò. «Forse un altro anno; probabilmente di meno. L’acqua di tutti gli oceani avrà raggiunto allora il massimo di saturazione.»

Fleming studiò il grafico appeso alla parete, che registrava ora per ora l’azoto contenuto nell’aria al di sopra del recipiente. «Non fa nient’altro oltre ad assorbire l’azoto ed un poco di ossigeno?» domandò.

«Nient’altro, per quanto sono riuscita a scoprire io,» rispose lei, «ma, normalmente, il mare assorbe l’azoto molto, molto lentamente. Il plancton e così via. Qualsiasi impianto per la composizione dei concimi artificiali ne consuma, in una settimana, quanto il mare ne assorbe in un anno. Ma non ha importanza. Ce n’è in abbondanza. Questi batteri, però, potrebbero facilmente assorbire tutto l’azoto che c’è nell’atmosfera terrestre; ed è, infatti, quello che sta accadendo adesso. Un abbassamento della pressione atmosferica. Alla fine non vi sarà più azoto, e quindi nemmeno piante. Quando la pressione scenderà al punto più basso della scala, non ci sarà più modo, per noi, di assorbire ossigeno, e perciò non vi saranno più animali.»

«A meno che…» cominciò Fleming.

«Non ci sono a meno che.»

Fleming guardò Abu Zeki, che era rimasto silenzioso in attesa sul fondo della stanza.

«Madeleine,» disse, «grazie ad Abu Zeki abbiamo la possibilità di mandare una lettera a Londra.»

La Dawnay non si mostrò molto interessata. «Per dire cosa?»

«Quello che sta succedendo.»

«È inutile.» Si strinse nelle spalle. «Però va bene, se tu vuoi. Sarà comunque un gesto, anche se troppo tardi.» Si chinò di nuovo sul recipiente, guardando il fluido. «La ragazza aveva ragione,» disse, «il calcolatore ha creato la vita. Questa volta, però, ha anche fatto la morte. Per quello che ci riguarda c’è scritta la parola FINE — laggiù, nell’acqua.»

«Li avvertiremo lo stesso,» disse Fleming. «Il cugino di Lemka è pronto a correre il rischio. Devi essere breve, ma metterci dentro tutto quello che sai.» La sua voce era decisa e scosse un poco la Dawnay, rompendo la sua apatia. «Va bene, John,» gli rispose.

Abu sorrise. «Aspetterò fino a che la relazione sia finita, professoressa,» disse, «poi andrò in città per il pranzo. È quello che faccio sempre. Mio cugino va allo stesso ristorante.»

Fleming si mosse verso la porta. «Buona fortuna a tutti e due,» disse, con giovialità forzata. «Forse potremo rivederci qui stasera stessa?»

Uscì nel vento caldo, dirigendosi verso la sua abitazione. Gli faceva piacere essere di nuovo solo; era difficile, per lui, fare la parte dell’ottimista. E poi voleva del tempo per riflettere. Aveva sempre riflettuto meglio in solitudine, con una bottiglia di whisky al fianco.

Mandò a chiedere una nuova bottiglia. Il cameriere tornò dopo cinque minuti; la Intel non lesinava i comfort fisici, come droga spirituale e mentale per i suoi prigionieri.

Saltò la cena, e così si trovò ad essere leggermente ubriaco, quando tornò al laboratorio. Il vento soffiava violento come sempre, e la notte era già scesa. Non c’era stato nemmeno il solito breve crepuscolo. Abu si trovava già con la Dawnay. «Ho visto mio cugino,» disse a Fleming, «ha preso il messaggio. Non so, naturalmente, come è andata all’aeroporto, ma ho sentito che l’aereo è partito in orario. Proprio un’ora fa.»

Fleming lo ringraziò. «Forse non passerà, forse all’altro capo sarà ignorato, o, anche se non lo sarà, non sappiamo cosa potranno fare, se accetteranno di studiarlo. Sarebbero obbligati a credere una quantità di roba dura da ingoiare.» Incrociò le braccia. «Così, di fatto, siamo sempre soli. Il che significa che abbiamo bisogno della ragazza. Vada all’infermeria, Abu, e dica all’infermiera di portarla qui.»

«Ora?» chiese Abu pieno di dubbio.

«Ora,» ripeté Fleming. «Kaufmann la tira fuori dal letto tutte le volte che vuole fatto un lavoro al calcolatore. L’infermiera deve obbedire, povera ragazza.»

«Che cosa ti proponi di fare con lei?» chiese la Dawnay con aria di disapprovazione.

«Usarla come un’alleata.»

«Non accetterà la parte. E, in ogni caso, è troppo debole.»

«Dovrà provarci, non ti pare? È l’unica cosa che abbiamo. Se il calcolatore di Thorness ha creato un batterio, deve poter fare anche un antibatterio. Io non sono esperto in questo campo, Madeleine, ma mi pare che questo sia un fatto sicuro, in biologia, no?»

«Conosci per caso un’altra bestiaccia che agisca obbedientemente nella direzione opposta?» domandò Madeleine.

«Il calcolatore la conoscerà.» Fleming non raccolse il sarcasmo. «Mi rendo conto che non è lo stesso calcolatore, ma è pure riuscito a ricostruire la formula per quello originale e, comunque, André ed io lo abbiamo fatto funzionare. Possiamo farlo di nuovo per ottenere un antidoto.»

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