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Fred Hoyle: La voce della cometa

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Fred Hoyle La voce della cometa

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Fred Hoyle, nato nel 1915 nello Yorkshire, astronomo e matematico, è autore di romanzi di fantascienza basati su ipotesi rigorose. Tra essi «La nuvola nera» (1957), «A per Andromeda» (1962), «Inferno» (1974).

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L’espressione scettica ricomparve di nuovo sulla faccia di Isaac Newton.

«Sì», annuì. «Glielo prometto solennemente. Terrò presente la riservatezza. Me ne dimentico di rado.»

Isaac Newton parcheggiò la macchina, una grossa Mercedes, ed entrò nel centro del disarmo di Ginevra — un centro che deteneva un record di risultati negativi fin da prima del 1939 quando c’era la Lega delle Nazioni. Dopo aver mostrato il distintivo e la tessera d’identità, venne accompagnato nella sala delle conferenze da una ragazza di aspetto senz’altro più piacevole del luogo in cui si trovava. Mentre Isaac Newton si calava nella poltroncina nella zona riservata agli osservatori accreditati, i delegati delle superpotenze presero posto fronteggiandosi su varie file, come due eserciti dell’epoca classica, solo che ogni delegato portava appeso al risvolto della giacca un cartoncino con il nome, una cortesia che non si usava tra gli antichi contendenti di cause ormai dimenticate.

Un delegato russo cominciò a parlare, e l’americano s’infilò con gesto formale la cuffia in testa, apparentemente per ascoltare la traduzione simultanea di ciò che stava dicendo il russo, ma in realtà per sognare a occhi aperti. Senza alcun entusiasmo, anche Isaac Newton si mise la cuffia. Aveva il compito di preparare una relazione, tecnica e di altro genere, sulla maniera in cui il deterrente nucleare britannico veniva menzionato nelle trattative. Benché si trattasse di un argomento che i russi sfruttavano per agitare le acque ogni volta che a loro conveniva, esso non era assolutamente all’ordine del giorno, e ciò aveva consentito al Primo Ministro di chiedere una relazione tecnica piuttosto che un rapporto diplomatico. Al Foreign Office questa procedura non piaceva affatto, tanto più che la relazione veniva redatta da un «outsider» come Isaac Newton anziché da un «addetto ai lavori», che avrebbe offerto la garanzia di non disturbare lo «status quo».

Il russo parlava da un’ora e quindici minuti e Isaac Newton decise che ne aveva abbastanza. Poteva sempre leggere la traduzione, una cosa che doveva fare comunque, come del resto facevano gli americani. Ormai conosceva il percorso per uscire dal palazzo come il palmo della propria mano. Sgusciò alla chetichella fuori della sala delle conferenze e stava già per premere il pulsante di un ascensore quando un uomo che gli parve di conoscere entrò nella cabina, dietro di lui. L’uomo non si era servito della cuffia per la traduzione simultanea nella sala delle conferenze per cui apparteneva evidentemente «all’altra parte».

«C’è in vista una conclusione positiva?» chiese Isaac Newton mentre l’ascensore si metteva in moto.

«Una conclusione positiva è sempre in vista», rispose l’uomo.

«Lei dev’essere molto impegnato.»

«In Russia siamo sempre molto impegnati.»

«Immagino che debba essere una vita felice», insistette Newton, facendo del suo meglio per ingraziarsi l’individuo.

«Una vita molto felice», fu la gutturale risposta.

L’ascensore si fermò ed entrambi uscirono. Isaac Newton fece un cenno con la testa, sorrise, e disse: «Bene, sono contento di averla conosciuta. Fa sempre piacere conoscere gente allegra».

Questa piccola conversazione rispecchiava in certo senso la situazione. Quali che fossero le notizie di carattere tecnico che Newton decideva di segnalare al Primo Ministro, era pur sempre convinto che ben poche cose importanti sarebbero accadute sul fronte delle grandi potenze se non ci fosse stato un drastico cambiamento di approccio. Newton sarebbe rimasto sbalordito se avesse immaginato quanto vicino fosse il momento di un simile cambiamento e in quale misura lui stesso sarebbe rimasto coinvolto.

3

Due mesi più tardi, Isaac Newton prese un volo di primo mattino da Ginevra per Londra. Grazie all’alta statura e alle falcate lunghe riuscì a precedere gli altri passeggeri e fu quindi il primo ad affrontare la dogana di Heathrow. Non aveva bagaglio all’infuori di una cartella che s’era portato sull’aereo, per cui si diresse immediatamente verso l’uscita riservata ai passeggeri che non avevano nulla da dichiarare. Qui, comunque, venne bloccato da uno zelante doganiere il quale nutriva sospetti su tutti i passeggeri che dimostravano di avere fretta.

«Lei risiede in Inghilterra?» gli chiese l’uomo.

«No, in Svizzera.»

«Le dispiace aprire la cartella?»

Isaac Newton aderì alla richiesta e spiegò: «Documenti riguardanti la mia attività».

Il funzionario rovistò con la mano dentro la cartella, evidentemente alla ricerca di stupefacenti, e non si accorse della relazione di Isaac Newton sulla quale il Foreign Office avrebbe messo tanto volentieri le mani. Alla fine, il doganiere si scostò dal banco con un cenno della testa. Mentre si avviava rapidamente al posteggio dei taxi, Isaac Newton non tenne conto del consiglio di Sherlock Holmes, quello di prendere sempre il terzo taxi della fila, e prese invece il primo.

«Dove devo portarla, signore?» chiese l’autista.

«Al numero 10 di Downing Street.»

Quando il taxi s’immerse nell’intenso traffico del centro di Londra, Isaac Newton si mise a osservare le manovre delle macchine che aveva intorno, dapprima senza particolare impegno, poi con una certa attenzione. C’era come al solito un po’ di gente in attesa davanti al numero 10 di Downing Street. Che cosa aspettava? Che crollasse il mondo, presumibilmente. Un uomo con un walkie-talkie si spostò improvvisamente nella Whitehall. Un rappresentante dei mass media? Forse sì, forse no.

L’agente di polizia di servizio davanti al numero 10 era stato avvertito e Isaac Newton venne fatto entrare immediatamente nella residenza del Primo Ministro dove fu accolto da un giovanotto snello dai lisci capelli biondi. «Mi chiamo Pingo Warwick e sono il segretario particolare del Primo Ministro. Il Primo Ministro la attende.»

«Mi dispiace di essere un po’ in ritardo. C’è molto traffico. Immagino che sarei dovuto arrivare a Londra già ieri sera», fece Isaac Newton in tono di scusa, stringendo la mano di Pingo Warwick.

«Non ha importanza. Prima di farla entrare debbo dirle della colazione. Ci sarà una delegazione del Qatar, ma lei è comunque il benvenuto…»

«Vorrei prendere l’aereo del pomeriggio per tornare a Ginevra.»

Pingo Warwick annuì.

«Lo avevo immaginato leggendo il suo messaggio.» Poi salì insieme a lui la scala per raggiungere lo studio privato del Primo Ministro.

«Ha fatto buon viaggio?» chiese il Primo Ministro, come formalità.

«C’era solo un tizio della dogana che a momenti voleva sequestrare la mia cartella.»

«Non gli ha fatto vedere il passaporto diplomatico?»

«No, l’ho tenuto di riserva. Le sono arrivati i documenti?»

«No. Sarebbero dovuti già essere qui?»

«Li ho mandati con la valigia diplomatica.»

«Quando?»

«Due giorni fa. Il che non può considerarsi un gran ritardo, vista la concezione del tempo che hanno a Whitehall.»

L’osservazione fu sul punto di provocare un’esplosione da parte del Primo Ministro.

«Non un gran ritardo, eh?»

Lo disse in tono risentito. Isaac Newton finse di non accorgersene e gli porse un raccoglitore blu contenente pochi fogli.

«Ho preparato un breve riassunto della relazione integrale. Le basteranno pochi minuti per leggerlo. A proposito: qualcuno ha seguito il mio taxi da Heathrow.»

«Ne è certo?» chiese il Primo Ministro inarcando le sopracciglia.

«Durante gli ultimi tre mesi ho preso l’abitudine di stare abbastanza attento. Mi è venuta l’idea che a parecchia gente sarebbe piaciuto impedire che questi documenti arrivassero a lei.»

«Allora farò bene a leggerli subito», disse il Primo Ministro aprendo energicamente il raccoglitore. Il tono era di nuovo risentito.

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