Algis Budrys - Il giudice

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Ecco un bellissimo esempio di classica distopia fantascientifica: un mondo futuro rigidamente stratificato in classi separate da un ferreo codice sociale, in cui il giudice è anche il freddo esecutore materiale delle sue sentenze. Chi ce lo propone è Algis Budrys, un veterano della fantascienza degli anni cinquanta (e questo romanzo breve appartiene al suo periodo migliore), un autore noto per alcuni suoi ottimi romanzi come
(Progetto Terra),
e
, ma che ha prodotto anche un’incredibile quantità di bellissimi racconti ingiustamente dimenticati.

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Ma se Normandy era stato obbligato a compiere passi drastici, allora che cosa dire della possibilità di Sam Joyce di fronteggiare nella maniera giusta quella crisi?

— C’è qualcosa che credo di dovervi dire — si affrettò ad aggiungere Joyce, conscio di essere nuovamente in preda al panico. Doveva dichiarare la propria posizione il più in fretta possibile, prima che Kallimer e Normandy pensassero di poter contare su di lui. — Non… non sono sicuro di aver capito il significato delle vostre parole — continuò, mentre Kallimer e Normandy lo fissavano in modo strano. — Ma c’è qualcosa che dovete sapere.

Si fermò per scegliere con cura le parole. Doveva convincere quegli uomini che non stava agendo d’impulso, ma che aveva ben riflettuto. Avevano diritto ad una spiegazione, dopo aver pensato che lui li avrebbe aiutati. Ed era importante anche per lui personalmente. Probabilmente questa era la decisione più importante della sua vita.

— Sono stato Giudice Capo per un tempo relativamente lungo — cominciò. Era vero; aveva sempre pensato che Il Messire avesse in lui un buon servitore, e fino a ieri anche il Messire era sembrato d’accordo. Si guardò le mani. — Ho un buon curriculum, ho fatto del mio meglio.

«La mia storia la conoscete. Ho cominciato molti anni fa, in un tribunale minore e sono salito un gradino alla volta. Nessuno, quando ero giovane, era più abile con la pistola o nel condurre il rituale del Processo. — Guardò Normandy e Kallimer cercando di capire se lo seguivano. — Sento di essere stato un buon Giudice; di aver servito la Legge del Messire come Lui desiderava. Ma ho sempre saputo di non essere l’uomo più brillante del foro. Non ho consegnato alla storia giudizi famosi e non sono il principe degli avvocati. Semplicemente sono stato… — fece un gesto incerto — Giudice per molto tempo. — Fece una breve pausa.

— Ma questo — continuò a voce bassa, — supera le mie capacità. — Abbassò ancora lo sguardo; — So di non essere in grado di fare il mio dovere come si deve in questa circostanza. Voglio dare le dimissioni in favore del Giudice Kallimer.

Ci fu un lungo silenzio. Joyce non alzò lo sguardo, ma rimase seduto a riflettere a tutte le cose sciocche che aveva fatto e pensato in quei due giorni.

Alla fine sollevò gli occhi e vide l’espressione interrogativa di Normandy. Il viso di Kallimer era assolutamente privo di espressione.

Normandy unì le punte delle dita e vi soffiò sopra. — Capisco. — Guardò Kallimer in modo indecifrabile e parve che i due si scambiassero un messaggio silenzioso.

Kallimer parlò adagio — Signor Joyce, vi conosco abbastanza per poter dire che questa non è stata una decisione affrettata. Le dispiacerebbe dirmi che cosa vi ha indotto a prenderla?

Joyce scosse la testa. — Affatto. Ho deciso che questa è l’unica interpretazione possibile degli avvenimenti di ieri sulla piazza. Mi sembra chiaro che l’intento del Messire fosse proprio di spingermi a fare questo.

Normandy sollevò di scatto la testa e fissò Joyce — Che io sia dannato! — esplose.

Kallimer fece una smorfia. — Non era certo questo che mi aspettavo dalla nostra conversazione di ieri — mormorò. Guardò Joyce con ammirazione perversa. Poi parlò a Normandy: — Bene, Giudice, eccole il suo uomo onesto.

Normandy lanciò a Kallimer un’occhiata acida prima di voltarsi di nuovo verso Joyce. La sua voce era stridente.

— Tutto questo è molto bello, ma voi non darete le dimissioni. Almeno non adesso e non in favore di Kallimer. Avete ancora un Processo da presiedere, e Kallimer vuole il mio posto, non il vostro.

— Non prima che voi vi siate ritirato, Giudice — intervenne Kallimer rivolgendo a Normandy un sorriso sardonico. — Ho detto chiaramente che non ho nessuna intenzione di competere con voi. Inoltre, io sono in ogni caso il vostro unico erede naturale. — Sogghignò per la prima volta da quando Joyce lo conosceva. — Non ne nascono molti come noi ad ogni generazione, vero Giudice?

Joyce sedeva intontito, incapace di dare un senso all’esplosione di Normandy.

— Giudice Normandy… — disse alla fine.

— Che cosa?

— Voi dite che ho ancora un Processo…

— Sì!

— Ma se Il Messire ha mostrato che non mi considera più competente, il Processo verrebbe pregiudicato…

Normandy si alzò di scatto dalla sedia e si allontanò dal tavolo. Lo sguardo era fiammeggiante e gli tremavano le mani. — Accidenti al suo Messire! Non si è intromesso nel vostro ultimo processo, vero?

— Signore?

Normandy bestemmiò ancora e si voltò. — Kallimer, parlate voi a questo idiota. Io ne ho abbastanza. — Uscì a grandi passi dalla sala delle udienze e sbatté la porta dietro di sé.

Kallimer lo guardò uscire mentre un debole sorriso esasperato tingeva la piega divertita della sua bocca.

— Sta invecchiando, Joyce — sospirò Kallimer. — Be’, suppongo che verrà il giorno in cui nemmeno io avrò più pazienza. È un piedistallo traballante il suo.

Joyce era completamente sconvolto, e sapeva di essere improvvisamente impallidito.

Kallimer si rivolse a lui. — C’è stato un aggiornamento nella vostra agenda giudiziaria, — gli disse. — Domani presiederete uno speciale processo di massa contro i tecnici che l’Esercito avrà stanato da Nyack. Saranno incriminati come «membri del popolo». La loro origine non verrà specificata… non ha senso allarmare la nazione, vero? Suppongo che ci sarà una certa varietà di accuse. Le preparerò questa sera. Ma in ciascun caso il verdetto sarà di colpevolezza completa. Voi, io e un paio di altri Giudici ci occuperemo delle esecuzioni.

Joyce riuscì a controbattere solo le ultime affermazioni. Stavano succedendo troppe cose.

— Un processo di massa? Qui a New York, intendete dire. Per i ribelli di Nyack? Ma è illegale!

Kallimer annuì. — E lo sono anche l’incriminazione ingiusta e il verdetto pregiudiziale. Ma lo è pure la ribellione.

«Il piano di Normandy è brillante. I ribelli verranno puniti, ma la maggioranza della popolazione non saprà per quale motivo. Soltanto le altre organizzazioni ribelli sparse per il paese si renderanno conto di quello che è successo. Frenerà il loro entusiasmo dandoci il tempo di sradicarle.

Joyce guardò il pavimento per nascondere l’espressione del proprio viso. Kallimer non sembrava affatto preoccupato di infrangere lo spirito della Legge. Normandy era ancora più reciso.

Era un passo terrificante nella sua logica, ma c’era una sola risposta possibile. Entrambi stavano agendo come se fosse l’uomo a dettare la Legge e sempre l’uomo ad amministrare il verdetto finale; come se non esistesse nessun Messire.

Guardò Kallimer, domndandosi se il suo viso rivelasse il vuoto improvviso del suo stomaco. Era come se stesse guardando il Giudice Aggiunto da una grande altezza o dal fondo di una voragine.

— Che cosa intendeva dire Normandy con il mio ultimo processo? — chiese a bassa voce.

— Prima di tutto, Joyce, ricordatevi che Il Messire è onniscente. Lui conosce molti più crimini di noi. Anche se giudichiamo un caso in modo errato è possibile che tuttavia il nostro verdetto sia giustificato da qualche altro crimine dell’Imputato.

Fissò Joyce mentre un pizzico di ansietà gli attraversò il viso; si sporse ancor di più, e quello che prima era stata una sensazione di vuoto, divenne per Joyce un’ondata di disgusto e nausea.

— Questo lo accetto — disse Joyce, mentre le parole gli uscivano a fatica dalla bocca. Ma voleva che Kallimer continuasse.

Kallimer strinse le spalle. — Forse è così — mormorò.

Con un amaro e profondo divertimento che tuttavia egli riuscì a controllare, Joyce comprese l’odio che Kallimer doveva provare nei confronti di Normandy, che gli aveva lasciato questo compito da svolgere.

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